25 APRILE 2019. La Festa della Liberazione è di parte solo per i nostalgici del Fascismo

 

Cerco di dare una risposta sotto il profilo storico a due questioni ricorrenti che si pongono, entrambe, un obiettivo strumentale: La prima di mettere in discussione la Festa del 25 aprile, la seconda di considerare in maniera benevola il Fascismo e l’opera di Mussolini.

  1. a) Periodicamente c’è chi punta a considerare il 25 aprile una festa di parte, ritenendola ‘divisiva’. Vediamo, allora, perché si celebra il  25 aprile come “festa Nazionale della Liberazione” e chi lo ha deciso.

L’occupazione tedesca e fascista in Italia non terminò in un solo giorno, ma si ritiene il 25 aprile come la data simbolo della Liberazione perché quel giorno del 1945 coincise con l’inizio della ritirata da parte dei militari della Germania nazista e dei fascisti della Repubblica di Salò dalle città di Torino e di Milano; dopo che la popolazione si era ribellata e i partigiani avevano organizzato un piano coordinato per riprendere le città.

La nostra Provincia, ad esempio, si liberò completamente il 29 aprile ’45 con la resa dei tedeschi a Valenza, mentre il pomeriggio del  28 venne firmata la resa ad Alessandria – all’interno della Cattedrale – dal generale tedesco Hildebrand e, per i partigiani, da Luigi Longo, l’ammiraglio Girosi e il prefetto Livio Pivano. Ma per la vera pace si dovette attendere l’8 maggio con la definitiva resa della Germania

La decisione di scegliere il 25 aprile come “Festa Nazionale della Liberazione” fu presa il 22 aprile del 1946, quando il governo italiano provvisorio, guidato da Alcide De Gasperi, propose la data che fu stabilita con decreto da Filippo II di Savoia, in quanto era ancora in vigore la monarchia. La data fu fissata in modo definitivo nel maggio 1949, sempre su proposta di De Gasperi come presidente del Consiglio e dopo che nel giugno 1946 gli italiani con un referendum avevano deciso la fine della monarchia e l’inizio della Repubblica. Con la firma del liberale Luigi Einaudi, primo Presidente della Repubblica eletto secondo la Costituzione (Camera e Senato in seduta congiunta, senza, ancora, i rappresentanti delle Regioni). Enrico De Nicola, come Einaudi un liberale, in assoluto il primo Presidente, era stato indicato dall’Assemblea Costituente e rimasto in carica solo quattro mesi.

Quindi la proposta del 25 aprile come Festa Nazionale è stata proposta per due volte dal Democratico cristiano Alcide De Gasperi, nel ruolo di capo del Governo, e condivisa, la prima volta, dal monarchico Filippo II di Savoia e la seconda dal liberale Luigi Einaudi, dopo l’unanime approvazione del Parlamento.

  1. b) Il secondo argomento, anch’esso strumentale, si ripropone di dimostrare che “Mussolini e il Fascismo hanno fatto anche cose buone” e la guerra sia stata una sorta di incidente di percorso. Un luogo comune di recente ripreso anche da un politico con importanti responsabilità in sede europea che è stato, poi, costretto a smentire. Perché in Europa non ci perdonano d’essere stati il Paese che, per primo, ha ‘inventato’ il Fascismo.

Chi fa queste affermazioni giustifica, nella sostanza, la dittatura come forma di governo e considera ‘normale’ la mancanza della libertà. Il Fascismo in Italia, con la responsabilità della Monarchia e il sostegno degli agrari, si è imposto con la violenza, mettendo fuori legge tutti i partiti, sciogliendo i sindacati, assaltando le Società operaie e le Camere del Lavoro.

Gli avversari politici sono stati incarcerati, o mandati al confine politico, sin dai primissimi anni del regime:

Antonio Gramsci, Sandro Pertini, Vittorio Foa, Don Luigi Sturzo (fondatore del Partito Popolare, esiliato nel 1924), Piero Gobetti (liberale, morto nel ’26 in Francia).

La dittatura ha eliminato chi denunciava i misfatti del Fascismo:

  • Giacomo Matteotti, assassinato nel giugno del 1924;
  • Giovanni Amendola, aggredito da una squadraccia nel ‘25 e morto, in conseguenza delle percosse, nel 1926 esule in Francia;
  • I fratelli Rosselli (Carlo e Nello) assassinati in Francia nel 1937;
  • Leone Gisburg, più volte arrestato, torturato e morto in carcere nel ‘44;
  • nel ventennio 42 oppositori politici della dittatura sono stati fucilati su sentenza del tribunale Speciale.

E la guerra con la Germania nazista non è stata un incidente, ma perseguita e voluta sin dall’inizio: “libro e moschetto” era ciò che il regime proponeva ai ragazzi sin dalle prime scuole.

E poi sono del 1935-’37 i fatti tragici di cui si parla meno:

– gli 80.000 libici sradicati dal Gebel con le loro famiglie e condannati a morire di stenti nelle zone desertiche della Cirenaica dal generale Graziani;

– i 70.000 abissini barbaramente uccisi nel corso della impresa Etiopica anche con l’utilizzo dei gas asfissianti. Responsabilità, condivisa con Graziani, anche dal maresciallo Badoglio.

Le leggi razziali approvate nel 1938

La stragrande maggioranza degli storici, non solo italiani, ritengono che: Mussolini fu un pessimo amministratore, un modestissimo stratega, tutt’altro che un uomo di specchiata onestà, (per non parlare della corruzione dei Gerarchi), un economista inetto e uno spietato dittatore. Il risultato del suo regime ventennale fu un generale impoverimento della popolazione italiana, un aumento vertiginoso delle ingiustizie, la provincializzazione del paese e, infine, una guerra disastrosa.

Una guerra che ha avuto come conseguenza:

– 350.000 militari e ufficiali italiani caduti o dispersi nella Seconda Guerra mondiale;

– 45.000 deportati politici e razziali nei campi di sterminio, 15.000 dei quali non hanno fatto più ritorno;

– 640.000 internati militari nei lager tedeschi;

– decine di migliaia i civili (circa 150 mila) sepolti vivi tra le macerie dei bombardamenti delle città.

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Per comprendere la scelta e il sacrificio di Giuseppe Virginio Arzani, come la generosità del  carabiniere Domenico Salvatico – i due martiri giustamente celebrati dall’Anpi e dal Comune di Viguzzolo – occorre andare oltre le lapidi e i monumenti e riportare le loro due figure nel contesto e nella situazione determinata dall’Armistizio dell’8 settembre 1943.

Il periodo che va dalla defenestrazione di Mussolini (25 luglio 1943 per opera del Gran Consiglio del Fascismo) all’annuncio dell’armistizio con gli anglo-americani, dato dal maresciallo Badoglio la sera dell’8 settembre ’43, è caratterizzato anche nella nostra provincia da momenti di eccitazione, manifestazioni, speranze per la fine della guerra e la conquista di spazi di libertà  che, in un rapido capovolgimento di fronte, si tramutano in disillusione, abbandono, paura e terrore. La guerra, soprattutto al centro-nord, sta entrando nella sua fase più tragica soprattutto per la popolazione civile.

La città di Alessandria, tradizionale insediamento e presidio di militari, assiste sgomenta allo sbandamento e all’abbandono dell’esercito, sacrificato – come scrive Giorgio Bocca – alla segretezza dei negoziati (“Gli ordini che il Comando supremo invia alle grandi unità, ambigui come i suoi silenzi, sono dettati da quell’unica preoccupazione: che nulla trapeli, che l’alleato tedesco resti incerto nell’incertezza dei nostri soldati. L’annuncio dell’armistizio con gli anglo-americani dato da Badoglio l’8 settembre è il degno suggello; neppure nell’ora della decisione il capo del governo regio osa dire chiaro e netto ciò che l’avvocato Duccio Galimberti ha gridato su una piazza il 25 luglio: guerra al tedesco.”).

Nello stesso periodo Livio Pivano, il prefetto della Liberazione, cura e affigge manifesti incitando la popolazione a combatte e a “cacciare dall’Italia il Tedesco, l’eterno nemico”.

I militari sono così lasciati senza un indirizzo, una guida. Il Re e il maresciallo Badoglio, abbandonata la capitale, fuggono con ignominia al sud sotto la protezione degli Alleati americani.

In questo modo coloro che, come la ‘Divisione Acqui’, si trovano ad operare fuori dei confini devono, da soli, decidere da quale parte stare.

A Cefalonia e Corfu’ 16 mila soldati italiani appartenenti alla 33^ divisione da montagna “Acqui” decidono di combattere contro i tedeschi, divenuti dopo l’8 settembre del 1943, nemici ed oppressori dell’Italia. A Cefalonia e, in proporzioni  minori, a Corfu’ avvenne la più grande eliminazione di massa di prigionieri di guerra della seconda guerra mondiale. La divisione “Acqui” subì una sorte tanto tragica perché i tedeschi, considerandoli ammutinati, trucidarono migliaia di Soldati, Graduati e Ufficiali, eseguendo l’ordine speciale di ‘non fare prigionieri’, emanato da Hitler in persona solo per la Divisione “Acqui”.

Sono 640 mila i militare che operano in Italia e non riescono a sottrarsi alla cattura. Vengono internati nei lager tedeschi. Tra costoro 40.000 moriranno nei campi, mentre 600.000 e più prigionieri di guerra italiani languiranno per anni patendo la fame e il freddo rinchiusi tra i reticolati, in tutte le parti del mondo.

In questa situazione Giuseppe Virginio Arzani, nato a Genova nel 1922 da genitori di Viguzzolo, è un giovane sottotenente di Fanteria, un bersagliere che è uscito dall’Accademia militare di Modena e che decide, subito dopo l’armistizio, di mettersi alla testa di formazioni partigiane, con il nome di battaglia ‘Chicchiricì’ (probabilmente per le piume del cappello). Si distingue nell’attacco (durante il quale viene ferito) di una caserma dei tedeschi a Sarezzano e nei combattimenti, presso Tortona, per liberare alcuni partigiani fatti prigionieri. Alla fine di agosto del 1944 si batte strenuamente con i suoi uomini per difendere la Val Borbera e di fronte a soverchianti forze nemiche cade e viene trucidato a Cerreto di Zerba (Pc) il 29 agosto 1944. Dopo la sua uccisione le Brigate di partigiani che si costituiscono prendono il suo nome.

La decisione e il sacrificio di Virginio Arzani per la conquista della libertà rappresenta il riscatto compiuto da una minoranza eroica che supplisce le responsabilità della maggioranza degli italiani che il Fascismo hanno condiviso e che la guerra avevano accettato.

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Vediamo, in estrema, sintesi la situazione e ciò che accade dopo l’8 settembre ’43 e prima del 25 aprile ‘45, a livello nazionale.

Roma viene liberata dagli Alleati il 4 giugno del ‘44 e Firenze l’11 agosto ’44. Anche se l’azione dei partigiani si svolgerà soprattutto al Nord è giusto ricordare la resistenza dei napoletani che nelle “quattro giornate” libererano la città dai tedeschi, così come le numerose azioni dei GAP nella capitale. In risposta ad una di queste, l’attentato di via Rasella, ci sarà, nel marzo ’44, l’eccidio ad opera dei nazisti, delle Fosse Ardeatine, con 335 vittime.

In questo periodo e prima della Liberazione si svolgono, a nord della Linea Gotica e per iniziativa sia dei nazisti che dei repubblichini, le maggiori stragi di civili del conflitto. Citiamo solo le principali:

– il 12 agosto 44 l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema (Lu), con 393 vittime;

– tra il 29 settembre e il 4 ottobre del ’44 la strage di Marzabotto, in Emilia, 770 vittime;

– dal 7 e l’11 aprile ’44 quella a noi più vicina, l’eccidio della Benedicta a Capanne di Marcarolo nell’appennino ligure (147 fucilati, 400 deportati).

Dopo l’interruzione delle ostilità per l’inverno decisa e proclamata, nel novembre del ’44, dal generale britannico Alexander che costringe i partigiani ad una pericolosa inattività, nei primi mesi del 1945 operano nelle regioni del centro-nord del Paese diverse decine di migliaia di partigiani (250-300 mila, la stima) che combattono contro l’occupazione tedesca e la repubblica di Salò. Nel mese di marzo a sud della Pianura padana ha inizio l’offensiva finale degli Alleati, che si intensifica a partire dal 9 aprile  lungo un fronte parallelo alla via Emilia. L’offensiva fu da subito un successo, nonostante le volontà delle massime autorità tedesche e fasciste di continuare la guerra fino all’ultimo. Tra le azioni di resistenza e di opposizione al Regime è doveroso ricordare gli scioperi nelle grandi fabbriche di Torino e Milano del febbraio ‘43 e ‘44 che, al grido di “pane e pace” (più salario e basta la guerra), ebbero influenza e imitazioni anche in provincia di Alessandria.

Il 16 aprile ’45 il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, di cui facevano parte tutti i movimenti antifascisti e di resistenza italiani, dai comunisti ai socialisti ai democristiani e ai membri del Partito d’Azione) dichiarò l’insurrezione generale. Bologna fu attaccata dai partigiani il 19 aprile e definitivamente liberata con l’aiuto degli alleati il 21 aprile 44. Il 24 giunge la  notizia dell’insurrezione di Genova

Il 24 aprile 1945 gli alleati superano il Po, e il 25 aprile i soldati tedeschi e della repubblica di Salò cominciano a ritirarsi da Milano e da Torino. A Milano era stato proclamato, a partire dalla mattina del giorno precedente, uno sciopero generale, annunciato alla radio “Milano Libera” da Sandro Pertini, futuro presidente della Repubblica, allora partigiano e membro del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).

Le fabbriche furono occupate e presidiate e la tipografia del Corriere della Sera fu usata per stampare i primi fogli che annunciavano la vittoria. I partigiani continuano ad arrivare a Milano nei giorni tra il 25 e il 28, sconfiggendo le residue e limitate resistenze. Una grande manifestazione di celebrazione della liberazione si tiene a Milano il 28 aprile. Gli americani arrivano nella città il 1° maggio.

Vediamo, infine, ciò che accadde prima del 25 aprile ‘45, a livello della nostra Provincia

Il 15 marzo ’45 la divisione partigiana Pinan-Cichero emette un comunicato che è anche un appello: “La Brigata Arzani ha attaccato la caserma di Arquata Scrivia uccidendo in combattimento diciotto nemici e catturandone 165. In val Fontana un distaccamento della 2° Brigata ha attaccato una colonna nemica catturando dieci automezzi. Abbiamo nuovamente liberato Bobbio. Nei diversi scontri dall’1 al 15 marzo il nemico ha perduto nella nostra zona, tra morti, feriti e prigionieri, più di mille uomini e ingenti quantità di armi. Partigiani! Il nemico è battuto ovunque, il suo morale precipita. In Valle Scrivia e in altre valli, gruppi di soldati della Repubblica Sociale sono passati dalla nostra parte.”

Martedì 24 aprile, prima fra le formazioni alessandrine, la Pinan-Cichero inizia le operazioni insurrezionali. Nel pomeriggio il comandante della brigata Arzani Erasmo Marrè, Minetto, entra con i suoi partigiani a Tortona, mentre la brigata Po-Argo entra a Viguzzolo. L’Oreste inizia la marcia verso Genova liberando le località di Arquata, Serravalle,Cassano, Villavernia, Pietrabissara, Ronco Scrivia e Busalla. I partigiani della brigata Pio della divisione Mingo ottengono la resa del presidio di Voltaggio.

La mattina del 25 aprile, mercoledì, si scatena l’offensiva partigiana. La prima guarnigione ad arrendersi è quella di Tortona. Rinchiusi nelle caserme e circondati dagli uomini della Po-Argo, verso mezzogiorno i tedeschi chiedono di poter trattare la resa. Il maggiore Sommerhuber si porta a San Sebastiano Curone (sede del comando di brigata della Po-Argo) e alle 17,20 firma la resa del presidio tortonese. Nel frattempo in tutta la Valle Scrivia infuria la battaglia finale: vengono attaccati il campo fortificato di Borghetto con i tedeschi che si ritirano a Vignole; Cassano Spinola difeso da trecento tedeschi, Serravalle, Arquata e Villavernia. Scontri durissimi che si accompagnano a quelli affrontati dalla brigata Oreste più a sud. Infatti, dopo la conquista di Crocefieschi, i partigiani conquistano combattendo Sarissola, Busalla, Ronco Scrivia e Isola del Cantone. Nel frattempo la 108^ Brigata di Pianura sta rastrellando i tedeschi nella bassa Valle Scrivia e libera Pecetto, Piovera, Valenza, Castelnuovo e Pontecurone.

In tutte le città dell’alessandrino i partigiani e i CLN avevano preceduto gli anglo-americani, obbligando tedeschi e fascisti a cedere le armi.

Buona Liberazione! A tutte e a tutti Buon 25 Aprile!

 

* schema dell’intervento pronunciato a conclusione della Manifestazione del 25 Aprile 2019 nel Comune di Viguzzolo (AL)

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