A un vincitore nel pallone 

  

Beata allor che ne’ perigli avvolta,
Se stessa obblia, nè delle putri e lente
Ore il danno misura e il flutto ascolta;
Beata allor che il piede
Spinto al varco leteo, più grata riede. 

(Giacomo Leopardi, 1821)

Parafrasi:  Beata è la vita quando, essendo trascorsa nel pericolo, dimentica sé stessa, e non valuta il danno delle ore putride e lunghe, né avverte il passare del tempo;  altrettanto beata quando, dopo aver spinto il piede fino al passo del Lete (il fiume dell’oblio: alle soglie della morte), torna indietro più “cara e pregiata” di prima.

E’ il finale di questo poco conosciuto canto. Il tema verrà ripreso nell’operetta morale “Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez”, 1824, in cui L. esalta il coraggio di vivere nuove esperienze noncuranti del pericolo, la gioia del rischio come antidoto alla noia (leggi taedium vitae). Attenzione però: L. intende il pericolo calcolato razionalmente e finalizzato a uno scopo per cui valga la pena vivere. Esclude pertanto la banale e furbastra “vita spericolata/maleducata/esagerata/scemata”, né esorta a “guidare come un pazzo a fari spenti nella notte, per vedere se poi è tanto difficile morire”.  Quanto a coloro che si fanno legare i piedi a un elastico per buttarsi dal ponte, a mio parere, siamo all’interno di un’auspicabile darwiniana selezione naturale.

Il poeta e l’impoeticità del mondo moderno

Leopardi, 25enne,  pose il problema se si potesse ancora fare poesia, in una fase della storia umana dominata dal primato dell’economia (Bollati).  Afferma l’impoeticità del mondo moderno,  connotato dal primato dell’utile (leggi: business), primato che è il segno dell’imminente morte della poesia, intesa come consolazione e come stimolo vitale all’agire (Bandini).  Allora Leopardi chiede dunque  “perdòno se il poeta segue le cose antiche, se adopra il linguaggio e lo stile e la maniera antica, se mostra di accostarsi alle antiche opinioni, se preferisce gli antichi costumi, usi, avvenimenti, se imprime alla sua poesia un carattere d’altro secolo, se cerca di essere, quanto allo spirito e all’indole, o di parere, antico.  Perdòno se il poeta, se la poesia moderna non si mostrano, non sono contemporanei a questo secolo, poiché esser contemporaneo a questo secolo è non esser poeta, non esser poesia. Ed ei non può essere e insieme non essere (Zibaldone , 12 luglio 1823).

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