Al party tedesco non siamo invitati

Favori dalla nuova Grande Coalizione non ne arriveranno. Loro spenderanno, noi no. Ecco perché

Leader of the Christian Democratic Union (CDU) and the acting German Chancellor Angela Merkel and Social Democratic Party (SPD) leader Martin Schulz shakes hands before exploratory talks about forming a new coalition government at the SPD headquarters in Berlin, Germany, January 7, 2018. REUTERS/Hannibal Hanschke

A rigor di logica un governo tedesco a trazione socialdemocratica non può che essere una buona notizia nell’Europa dei contabili. Meno rigore, più spesa, fine dell’austerity. Questa sembra la frettolosa traduzione della missione del nuovo cancellierato di Angela Merkel. Ma una virata a sinistra dell’esecutivo più importante dell’Unione, almeno negli ultimi dieci anni, non può cancellare le enormi differenze ancora esistenti tra i vari paesi.

L’Europa ha una doppia velocità se si guarda alla moneta: da una parte chi ha adottato l’euro e il mercato comune, dall’altra chi è entrato solo nel secondo. I primi crescono meno degli altri. E le grane per gli italiani proverranno sempre da Berlino o da Parigi, dove si parla la stessa lingua, quella del Fondo monetario internazionale. Il soffertissimo accordo raggiunto dalla Merkel per ripristinare la Grande Coalizione con la Spd e la Csu ha necessitato di oltre cento giorni per essere ratificato e verterà sostanzialmente su due cardini, tolti i lupi che tolgono il sonno ai lander: tetti all’immigrazione e riduzione delle tasse attraverso l’utilizzo del surplus di bilancio che si aggira intorno ai 45 miliardi di euro. Una ricetta dolce e amara, la cui bontà è tutta da verificare, se si pensa che i veri nodi ancora da sciogliere nell’Ue sono proprio la condivisione dei rischi nell’Eurozona e la solidarietà nell’accoglienza.

In Italia ci si illude che un concreto aiuto alla gestione dei flussi migratori arrivi dall’Unione Europea o da nuovi accordi con la Francia e che si possano ridurre le imposte facendo più debito. I tedeschi, invece, sono del tutto autosufficienti, anche ora che la Spd può contare su tre dicasteri di spesa strategici. Non sarà questa maggiore libertà di azione a fargli cambiare le carte in tavola. Tanto hanno risparmiato, grazie anche alle mani libere sul surplus di bilancio, tanto spenderanno. I soldi ci sono. I loro. A differenza dell’Italia, dove tutte le manovre illusionistiche dei partiti in vista delle elezioni portano ad un conto finale di oltre 200 miliardi di euro, tra redditi di cittadinanza, flat tax e abolizione della riforma pensionistica.

La Germania sarà pure un po’ più socialista ma il suo debito resta sempre vicino al 60% del Pil rispetto a quello della penisola. E le prospettive non sono buone. Si sta avvicinando la fine del programma di riacquisto di titoli di stato della Bce, il tanto amato Quantitative Easing, presto ci sarà un aumento dei tassi di interesse. Una riapertura del mercato secondario dei bond sovrani, di fatto finora congelato dal QE dell’Eurotower, comporterà un conseguente ineluttabile aumento del costo del denaro. L’Istituto Bruegel ha calcolato che un rialzo dei tassi sarà più gravoso per il Belpaese rispetto a Francia e Germania, che hanno indebitamenti assoluti maggiori, ma sono più attrattivi per un problema di rating e di affidabilità sui mercati. Questo significa che nella prossima manovra economica per il 2019 il governo che uscirà dalle urne il 4 marzo dovrà considerare almeno un paio di miliardi di euro in più di spesa per interessi. Altro che tagliare le tasse e aumentare le pensioni. Nell’arco della legislatura che si è appena conclusa, il debito è aumentato di 300 miliardi di euro e le premesse (e le promesse) per la prossima non sono di un cambiamento di rotta.

In questo contesto difficile, con un debito che viaggia sempre sopra il 132% del Pil, occorre essere consapevoli che Francia e Germania, pur in un contesto mutato e in assenza del mitico Wolgang Schauble, già ferreo titolare del ministero delle Finanze, non faranno più da spalla a Bruxelles nella concessione di flessibilità sui conti. Ne’ Macron, che pure ha un debito maggiore ma pur sempre un rating da doppia AA, contro la nostra incomprensibile tripla BBB, ne’ tantomeno la Merkel, saranno infatti disposti a far sforare il budget di Roma. Soprattutto Berlino, ora che è stato concesso ai socialisti di Martin Shulz di usare l’avanzo di bilancio per ridurre il prelievo fiscale.

A dispetto di quanto si pensi, quindi, favori dalla nuova Grande Coalizione tedesca non ne arriveranno e bisognerà evitare di abbassare le tasse aumentando il debito, proprio il contrario di quello che si appresta a fare la Germania dell’inossidabile cancelliera. Al party tedesco non siamo invitati.

 

Pubblicato originariamente su Huffington Post: http://www.huffingtonpost.it/roberto-sommella/al-party-tedesco-non-siamo-invitati_a_23356323/?utm_hp_ref=it-homepage