Alcune considerazione sui “ Venerdì di Gaza”

E’ vero, si tratta di una visione di parte, quella di A. Feldman del “Times of Israel”, ma – per una volta – vediamo con gli occhi degli “altri” quello che sta succedendo a non più di due ore di distanza di aereo  da noi. Sunteggiamo il contenuto, poi – alla fine – proviamo qualche valutazione autonoma…

Times of Israel (1) con un “redazionale” non lesina  un attacco all’HCDH (2) reo di aver richiesto un atteggiamento differente dall’armata israeliana nella opposizione ai manifestanti che bruciano pneumatici (3) , lanciano pietre (“anche di tre chilogrammi”, secondo Feldman) e fanno uso di “molotov” con cariche di vario tipo. Quello che viene chiesto da questo “Alto Commissariato”  è di evitare sempre e comunque l’uso delle armi. Viene anche sollecitata una qualche forma di indagine tesa a smascherare chi – fra le forze armate – ha comunque usato le armi ad alzo d’uomo con conseguenti vittime e feriti.

I fatti, almeno nella loro generalità, sono conosciuti. E anche associazioni per il dialogo, come l’israeliana “Bet’zehel” li hanno segnalati per tempo, rivolgendosi allo stesso “Alto Commissariato” e ad organizzazioni non governative inglesi e spagnole.

Comunque, è sicuramente pesante la presa di posizione ufficiale viene da Zei Raad Al Hussein che, senza perifrasi, segnala che “ogni settimana assistiamo a modalità d’ingaggio basate sull’uso della forza contro manifestanti disarmati”. La frase, molto netta, viene “concretizzata” con la descrizione in dettaglio degli eventi riguardanti 42 manifestanti morti, per lo più giovani e giovanissimi, e ben situazioni comportanti 5500 feriti fra i manifestanti.  Le forze di  sicurezza di frontiera, per il momento, registrano “solo” dodici feriti, di cui uno solo in gravi condizioni.

L’articolo del “Times of Israel”  è pacato nel riferire che migliaia di “Gazaouis” si dispongono tutti i venerdì lungo la linea di confine che separa Israele dalla “Striscia” per rivendicare il diritto dei palestinesi a ritornare sulle terre da cui furono cacciati o da cui sono fuggiti al momento della creazione dello Stato di Israele nel 1948. E’ tranquillo nel definire “attenta” e “misurata” la reazione israeliana a questa nuova forma di “Intifada per il ritorno”. Si tratta sicuramente del risultato  di un lavoro coordinato e ben coadiuvato da mezzi di comunicazione d’avanguardia, che ha evitato a membri dei giovani battaglioni di confine di essere “troppo coinvolti” o, peggio, di rispondere  in modo inconsulto e poco ponderato.

Zied lamenta anche l’ irrigidimento dei “posti di blocchi” nei punti di controllo da una zona all’altra della “Striscia” e un po’ ovunque, da gerusalemme, a tel Aviv, alla Galilea. Questo – secondo  Feldman – in funzione anti Hamas. Si dilunga, infatti, nella storia delle varie componenti del gruppo, della sua capacità di presa politica e, soprattutto, dei suoi slogan durissimi con lo Stato Israeliano, anzi “da soluzione finale”, visto che ci si augura che Israele venga cancellato dalla carta geografica.

Tutto è cominciato circa un mese fa e, da allora, specie il venerdì (ma non solo) a Gaza e in altri centri della West Bank si sono avuti diversi momenti di tensione, se non proprio veri e propri scontri, specie nei tratti direttamente controllati dallo Tsahal (4) . All’inzio si sono avuti concentramenti  di circa diecimila persone, con grande partecipazione locale.

Sempre “Times of Israel” ci dice che i manifestanti hanno lanciato (praticamente in ogni frangente possibile) “ordigni esplosivi” e bombe incendiarie contro le truppe schierate lungo la frontiera. Hanno anche tentato più volte (sempre secondo “Times of Israel”) di danneggiare le recinzioni e di entrare in territorio israeliano. Fatti che si sono ripetuti nelle settimane successive, raggiungendo un picco, calcolato da analisti esterni, di oltre 30.000 partecipanti lo scorso venerdì. E’ sempre, poi, il rappresentante di HCDH a ricordarci che “è difficile immaginare che dei ragazzi, anche se nell’atto di lanciare pietre, possano costituire una minaccia di morte imminente o di ferite gravi per delle forze dell’ordine molto ben equipaggiate e protette”. Il tutto condito dal “refrain” della necessità di inchieste e di un diverso tipo di approccio con i manifestanti. Si fa anche riferimento alla difficoltà di reperire video attendibili (e non truccati) riguardanti tempi e modalità degli scontri. Anche su questo ci sono state contestazioni e continuano ad essere difficili le condizioni di acquisizione di prove certe.

Il dott. Zeid va anche oltre e, pur riconoscendo – come poco prima – la difficoltà a reperire prove sicure, nello stesso tempo denuncia l’inerzia e talvolta la connivenza degli organi di indagine. Soprattutto ne contesta  l’uso della forza quando non ve ne è assoluto bisogno. Purtroppo, termina l’articolista del “Times of Israel” non si vedono vie d’uscita rispetto all’attuale situazione di stallo. Si vocifera (ma sul “Jerusalem Post” del 20 aprile c’è stato un lungo articolo che ne parla) di un pagamento “cash” da parte di una Banca Saudita dei “martiri-manifestanti” con tanto di listino risarcimenti, dal più lieve, fino alla morte. Si cerca di capire, e in questo Aaron Feldman ha già dimostrato competenza, quale sia l’evoluzione della galassia politica “araba” palestinese. Se vi è ancora una coalizione “responsabile” facente capo alla vecchia Al Fatah, oppure se le sirene di Hamas e di molti altri incantatori con la scusa dell’islam o del richiamo alla “guerra santa”, stanno facendo nuovi proseliti, se lo stanno chiedendo tutti. Soprattutto quegli israeliani, e sono molti, che vedrebbero di buon occhio una riforma della Costituzione improntata all’eguaglianza sociale di tutti i cittadini al  di là della loro etnia e del loro credo religioso. Quelli che stanno imparando in fretta l’arabo, che cercano di eliminare in tutti i modi le barriere mentali e fisiche che dividono i due gruppi, evitando però di arrivare ad una divisione definitiva in due Stati autonomi. Su questo già manifestammo in più occasioni interesse e sostegno e pensiamo che sia una eventualità possibile in un prossimo futuro. Magari con una fase di intermezzo basata su di una totale autonomia di West Bank e Gaza territory. Un testo, quello di Feldman, non particolarmente di parte che segnala – a saperle leggere – novità nell’insieme dell’atteggiamento israeliano che potrebbero evolvere ancora in caso di sconfitta del blocco di centro-destra ora al potere e di Netaniahu in particolare.

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1) Titolo originale: “L’ONU condamne l’usage « excessif » de la force à Gaza mais ne parle pas du Hamas”

2) Le Haut-Commissariat des Nations unies aux droits de l’homme (HCDH) est une des agences spécialisées de l’ONU qui a pour but de promouvoir, de contrôler et de renseigner sur le respect du droit international des droits de l’homme et du droit international humanitaire dans le monde, selon l’adoption de la Déclaration et programme d’action de Vienne. La Haut-Commissaire a été Louise Arbour, de nationalité canadienne. La sud-africaine Navanethem Pillay a été Haut-Commissaire de 2008 à septembre 2014. Elle a été remplacée au 1er septembre 2014 par le prince jordanien Zeid Ra’ad Zeid Al-Hussein. Le mandat du Haut-Commissaire aux droits de l’homme a été créé lors de la mise en œuvre d’une exigence de la Conférence mondiale de Vienne pour les droits de l’homme de 1993, par l’Assemblée générale des Nations unies le 20 décembre 19935. Le HCDH est rattaché directement au Secrétaire général de l’Organisation des Nations unies. Son siège est à Genève.

(3) Così l’originale: “Des milliers de Gazaouis ont à nouveau convergé vendredi vers la frontière israélienne pour revendiquer le droit des Palestiniens à retourner sur les terres dont ils ont été chassés ou qu’ils ont fuies à la création d’Israël en 1948.

(4) “Tsahal”. “Fondate nel 1948 «per difendere l’esistenza, l’integrità territoriale e la sovranità dello Stato di Israele» e «proteggere gli abitanti di Israele e combattere ogni forma di terrorismo che minacci la vita quotidiana», le forze armate israeliane organizzarono, sostituirono e fusero tra loro le varie organizzazioni armate come la Haganah e la sua sezione operativa chiamata Palmach, di cui facevano parte anche ex-membri della Brigata ebraica (che combatté sotto bandiera britannica durante la seconda guerra mondiale), Etzel (o Irgun) e Lehi, a cui sino alla fine della guerra di indipendenza del 1948, fu concessa una vigilata libertà d’azione. Molto moderno nell’insieme dell’organizzazilone, nella preparazione e nelle dotazioni di servizio.

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