Alessandria città da scoprire

Alessandria città da scoprire

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Breve viaggio in Alessandria a scopo turistico

In pagina 

Autori

  1. Giancarlo Patrucco per la cura dei testi
  2. Clemente Accornero per quella delle immagini

Introduzione

Diciamoci la verità, poche cose si sanno della nostra città, dentro e fuori; forse una sola: quella di Gagliaudo che con la sua mucca riesce a trarre in inganno nientemeno che Federico Barbarossa e il suo esercito assediante. Eppure, Alessandria ha molto altro da vedere tra palazzi, personaggi e opere; tante che porterebbero via forse troppo tempo a ogni visitatore arrivato da fuori. Così, abbiamo pensato di ridurre i tempi di soggiorno a un week end comprendente il meglio di quel che è da vedere. Ve lo presentiamo in ordine dalla parte del Tanaro verso il sobborgo di San Michele fino a raggiungere il capo finale, nella piazzetta davanti alla scuola Carducci. Con una sola, doverosa eccezione, quella di Gagliaudo, il padre di tutti noi:

(1) La leggenda di Gagliaudo

(2) La cittadella

(3) Il tinaio degli Umiliati

(4) Le sale d’arte (tavole di Artù)

(5) Il duomo “perduto” e quello attuale

(6) L’arco della Battaglia

(7) La chiesa di Santa Maria di Castello

(8) San Francesco in Alessandria (resti della chiesa e statua della lupa)

Se volete conoscere di più, venite a trovarci. Prima, però, sappiate che il grande Dante Alighieri ha citato Alessandria nella sua Divina Commedia e noi, nell’anniversario che in questo 2021 lo riguarda, vogliamo restituirgli l’onore. Eccovi il passo:

Purgatorio, canto 7/133-136

“Quel che più basso tra costor satterra, guardando in suso, a Guglielmo Marchese, per cui e Alessandria e la sua guerra fa piangere Monferrato e Canavese”.

(Il marchese è Guglielmo VII “Spadalunga”)

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1) La leggenda di Gagliaudo

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La statua sul fianco sinistro del duomo

L’assedio ha inizio nell’ottobre del 1174, ma già sei mesi dopo la città è stremata. Ai difensori di Alessandria sono rimasti solo venti chicchi di grano a testa mentre fuori dalle mura l’esercito dell’imperatore Barbarossa ha cibo a volontà.

Vive nel borgo un contadino, Gagliaudo Aulari, con la sua mucca. Era la sola che possedeva, ma era così magra e denutrita da far spavento dopo che, da quando la città era sotto assedio, non poteva più farla pascolare. Fuori, dall’alto delle mura, Gagliaudo guarda i cavalli dell’esercito di Barbarossa pascolare liberi, poi guarda la sua mucca morir di fame.

Mentre è intento a quei pensieri, viene messo al corrente del fatto che il Consiglio dei Sapienti ha in pratica deliberato di arrendersi. Allora, Gagliaudo decide di bussare alla porta con il cappello in mano e propone un piano, beh – chiamiamolo tentativo – che consiste nel riempire la greppia della mucca, poi farla scappare mentre intorno le corrono dietro gridandole che la biada non è finita. Barbarossa esplode d’ira. Poi fa chiamare il macellaio e tagliare in due la vacca. Vedendo anche lui il grano di cui l’animale è pieno, capisce che è ora di levare le tende (12 aprile 1175).

Secondo le cronache, la statua di Gagliaudo viene collocata sul campanile nel 1292, trasportata da ignoto luogo ove prima si trovava. Si è dubitato e si dubita circa il significato della statua. Comunemente si fa passare per una cariatide, ma senza alcuna prova seria. Si vuole che essa appartenesse a un palazzo dei re longobardi a Marengo. Si dubita persino, sia dell’esistenza dell’eroe alessandrino, sia che avesse veramente il nome di Gagliaudo, sia che glielo abbia attribuito la riconoscenza popolare nel significato primitivo di “gagliardo”.

2)  La Cittadella

Nacque a seguito del trattato stipulato nel 1703 durante la guerra di successione di Spagna, tra l’Imperatore d’Austria e il Duca di Savoia Vittorio Amedeo II: al Duca furono cedute le province di Alessandria e di Valenza come ricompensa per essersi schierato con gli Asburgo.

Nel 1707 la città di Alessandria fu annessa ufficialmente ai territori dello stato sabaudo e, da subito, fu chiara l’esigenza di incrementarne la sicurezza con la costruzione di una cittadella fortificata. La Cittadella sarebbe così divenuta l’elemento centrale del sistema difensivo piemontese. Dopo la sconfitta delle truppe piemontesi nella prima campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte (1796), la cittadella e la città di Alessandria passarono sotto il dominio francese.
Tre anni dopo le forze austro-russe costrinsero i francesi a deporre le armi, ma già il 14 giugno 1800, a seguito della battaglia di Marengo, i francesi si impossessarono nuovamente della fortezza e della città.

La Cittadella di Alessandria: una fortezza a forma di stella

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Nelle immagini, due vedute della fortezza

 3) Il tinaio degli Umiliati in Alessandria

Gioiello degli Umiliati fu un ordine religioso che fiorì in Lombardia e nel nord Italia in pieno Medioevo (la loro più importante casa fu l’Abbazia di Viboldone). Uno dei molti movimenti sorti in quel periodo, che propugnavano un ritorno verso una spiritualità più austera e una vita frugale, in contrasto con i costumi rilassati e la ricchezza diffusa, spesso ostentata anche dal clero stesso. Fu una reazione al materialismo e al privilegio.

Gli Umiliati si suddividevano in tre gruppi: i chierici, che divennero un ordine religioso (praticavano il celibato e vivevano in una casa comune); i laici, uomini e donne organizzati in gruppi di vita comunitaria (non prendevano i voti e potevano sposarsi); il terzo gruppo era composto sempre da laici che però praticavano solo una forma limitata di povertà volontaria.
Tutti e tre i gruppi si impegnavano a dare ai poveri quello che eccedeva il normale fabbisogno. Le persone che ne fecero parte erano spesso ricchi cittadini, nobili, religiosi e altre persone privilegiate.

Le comunità umiliate femminili, invece, per lo più sottoposte alla regola benedettina, furono spesso il nucleo da cui si svilupparono, soprattutto nel XV secolo, veri e propri monasteri di clausura (furono soppresse nel XVIII e nel XIX secolo).

Gli Umiliati si occupavano principalmente della lavorazione della lana, fondando fiorenti manifatture tessili e accumulando ingenti guadagni con i quali finanziavano attività bancarie.

Tentarono di stabilire un nuovo stile di vita per tutti, proponendo modelli di vita quotidiana molto più restrittivi; infatti promossero e diedero il via a una serie di leggi che avevano lo scopo di proibire diverse spese di lusso e voluttuarie.

Con la controriforma nel XVI secolo i movimenti di questo tipo, che potevano facilmente scivolare su posizioni eretiche o di opposizione di principio alla Chiesa, vennero scoraggiati. Gli Umiliati in particolare erano sospettati di calvinismo; entrarono in contrasto sempre più acceso con l’arcivescovo di Milano san Carlo Borromeo fino a che un membro dell’ordine, Gerolamo Donato detto Il Farina, tentò addirittura di assassinarlo con un colpo di archibugio alle spalle. Il colpo mancò il bersaglio e l’attentato provocò una dura repressione. L’ordine fu infatti soppresso il 7 febbraio 1571 con una bolla di papa Pio V.

Gli Umiliati sono presenti in Alessandria fino allo scioglimento dell’Ordine, avvenuto nel febbraio del 1571 ad opera dell’unico papa alessandrino: san Pio V. L’opportunità venne fornita dall’attentato di cui abbiamo detto sopra, i beni dell’Ordine sono incamerati dalla Chiesa e, pare, anche utilizzati per finanziare la guerra contro i Turchi.

La fagia (struttura organizzativa formata da diverse case dipendenti da una casa madre) alessandrina introduce nuove tecniche per la lavorazione dei tessuti e diventa fonte di nuove risorse economiche per la città. Ciò permette di fondare nuove case dipendenti dal preposto alessanndrino, come le case di Acqui, Asti, Casale, Tortona, Alba, la chiesa Opificio di Santa Marta e san Germano a Genova. Tra questi, resta la chiesa che vediamo, dedicata a san Rocco.

Nell’isolato di cui fa parte la chiesa, compreso fra via Lumelli e piazza san Rocco, si trovano i resti dell’attività manifatturiera degli Umiliati, nota come“tinaio” in quanto nelle vasche – o tini – avveniva la colorazione dei tessuti. Abbiamo detto “resti” visto che sul sito oggi fanno mostra di loro un edificio moderno che dà su via Lumelli e un locale uso negozio/ufficio (ad oggi) vuoto, che dà sulla piazza,

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Il tinaio dall’interno

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Il tinaio dall’esterno

4) Gli affreschi delle stanze di Artù

Le Sale d’Arte comunali sono oggi collocate nei nuovi locali ristrutturati dell’edificio che ha ospitato fin dalla seconda metà dell’ottocento il museo, la pinacoteca e la biblioteca di Alessandria.
La nuova sede, oltre a proporre una riflessione sull’identità civica della città che vede le sue radici nel medioevo, accoglie gli affreschi ispirati alle splendide storie di Artù.

Si tratta di un ciclo di affreschi, commissionati alla fine del XIV secolo da Andreino Trotti, condottiero e membro di un’importante famiglia alessandrina, per festeggiare la vittoria ottenuta nel 1391, al fianco di Gian Galeazzo Visconti, contro le truppe francesi.

Gli affreschi si situano successivamente a questa data e prima del 1402, anno di morte di Galeazzo Visconti e del Trotti medesimo e vennero con ogni probabilità eseguiti da un artista proveniente dai cantieri viscontei di Pavia che deve aver avuto come modello e guida un codice illustrato delle storie di Lancellotto e di Artù.

La fonte letteraria degli affreschi è il celebre romanzo “Lancelot du Lac”, il più famoso dei testi della saga cavalleresca di re Artù, tratto dalla “Vulgate Arthurienne” di Chretien De Troyes.

In origine, le quindici scene del ciclo decoravano le pareti della grande sala di rappresentanza della Torre Pio V di Frugarolo (AL) che fu prima curtis carolingia, poi castrum e mansio fornita di hospitium dei cavalieri gerosolimitani e in seguito divenne residenza signorile di Andreino Trotti.

Dopo l’esito favorevole dell’impresa militare, il Trotti poté ampliare le sue proprietà e apportò importanti modifiche alla torre, innalzandola di un piano. Inoltre, sembra che uno degli affreschi, (La Madonna del Latte), sia stato voluto nella chiesa di San Giacomo della Vittoria dallo stesso committente degli affreschi di Frugarolo, Andreino Trotti.

Della sala decorata si erano praticamente perse le tracce documentali quando fu ritrovata, nel 1971, nella torre ridotta a rudere e colombaia, fra infiltrazioni d’acqua, in condizioni disastrose. Ma la bellezza degli affreschi fece scattare una mobilitazione che consentì di staccarli e, al termine di un lungo e delicato processo di restauro, di presentarli al pubblico in una mostra nel 1999-2000 che poi venne resa permanente.

Alle scene del ciclo si aggiunge un sedicesimo frammento raffigurante una “Madonna in trono con bambino”.

Lancillotto è riconoscibile dalla sigla “L” dipinta vicino a lui; Galehot ha sempre lo stesso cappello e una corta barbetta bionda come dettava la moda del tempo; Ginevra ha una lunga treccia bionda che le scende lungo la schiena, mentre la Dame de Malohaut porta i capelli sul capo intrecciati con un nastro.

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5) Il duomo “perduto” e quello attuale

Nell’anno 1169 venne fatta l’offerta ad Alessandro III, in un modo specialissimo, di un pezzo di terreno dell’estensione di tre jugeri, il quale si trovava nel centro della nuova città che dal grande pontefice aveva assunto il nome. L’offerta, fatta in nome di Alessandria dai suoi consoli, mirava a far sì che la chiesa, la quale si doveva edificare dagli alessandrini, ricevesse splendore dalla particolare protezione della Santa Sede. La cattedrale fu incominciata quasi subito e nel 1178 era compiuta quantunque già prima che vi fosse posta l’ultima mano, cioè nel 1175, avesse ricevuto il titolo di cattedrale. Un antico statuto ci riferisce essere stata ogni persona obbligata a pagare una tassa per l’edificazione di questo duomo.

Disegno di Luigi Visconti

Il Chenna vorrebbe che questa prima cattedrale non fosse affatto sontuosa, dato che poco tempo dopo sia stata riedificata. Sarà vero: quello però che par certo si è che la riedificazione si impose perché l’antica era angusta, né poteva comodamente servire a una città che in pochi anni si era rapidamente allargata. Nei primi tempi del Comune il popolo si radunava nelle chiese. Nelle chiese si tenevano le assemblee, i consigli, le credenze; talora sulle sue piazze o intorno ad esse si radunavano gli abitanti per ascoltare e deliberare sui più gravi affari pubblici. Le chiese costituivano il centro della vita politica delle città italiane. La cattedrale veniva propriamente considerata come appartenente al Comune; di fatto, come dicemmo, tutti i cittadini vi concorrevano nell’edificarla anche in forza di una legge generale. I palazzi comunali non servivano, nei tempi più remoti, se non all’amministrazione ordinaria della giustizia e alle assemblee più ristrette.

Di qui si capisce il motivo per cui gli alessandrini ben presto trovarono inadatta la primitiva piccola chiesa principale, atteso l’ammirevole sviluppo che, grazie alla sua ottima posizione strategica, prendeva di giorno in giorno la città. Di fatto, un secolo dopo si intraprendeva la fabbrica di una nuova cattedrale. E’ appunto quello che avvenne di tante altre cattedrali: quando le cattedrali incominciarono a servire ad adunanze popolari, si sentì tosto il bisogno di allargarle.

Le notizie circa la struttura di questa seconda cattedrale di Alessandria si possono desumere da tre fatti:

l. da un disegno della facciata; disegno che si può credere conservato tuttora nell’aula capitolare, sebbene non manchino altre copie importanti presso privati;

2. dai diversi storici alessandrini, nonché dai documenti tuttora esistenti negli archivi;

3. dalla stretta relazione che, secondo taluni, si trova fra la vecchia cattedrale, ora demolita, e l’architettura di Santa Maria di Castello, tuttora esistente.

Le porte della cattedrale erano tre: quella di mezzo era la più riccamente ornata come, del resto, si usava comunemente. La facciata deve aver patito qualche modificazione nell’abbattimento delle torricelle; abbattimento accaduto negli ultimi tempi, quando i trofei di Casale (l’angelo e il gallo) furono trasportati sul vertice della cupola dell’orologio che trovasi nella facciata del palazzo comunale.

Nell’interno della cattedrale esistevano diverse cappelle. Si fa menzione:

1. della cappella contenente il miracoloso simulacro della Beata Vergine, cappella che nel secolo decimo quarto prese il nome della Salve.

2. della cappella della santa Croce, terminata insieme alla fabbrica della cattedrale, cioè nel 1297. Era tutta chiusa da un’inferriata e si trovava vicino a quella della Salve.

3. della cappella di santa Caterina, di cui è menzione in un’iscrizione riferita dallo Schiavina e dal Ghilini.

4. della cappella di san Giuseppe. Aveva il suo coro e, dietro di esso, anche una speciale sacrestia.

5. della cappella di san Silvestro, che poi mutò nome e si chiamò della Madonna dell’Uscetto.

Il campanile sorgeva a sinistra di colui che guardava la facciata. Esso non formava corpo colla chiesa, quantunque nel secolo tredicesimolo troviamo per lo più, negli altri luoghi, incorporato. Quando fosse stato incominciato non si può sapere con precisione: la fabbrica del campanile allora non coincideva quasi mai con quella della chiesa. Secondo i nostri cronisti avrebbe avuto principio nel 1292 e, rimasto incompiuto per le guerre sino al 1510, un decreto della città ordinò che fosse condotto a termine.

Il nome di Gagliaudo, l’eroe popolare, è celebre fra gli alessandrini. Secondo le cronache questa statua venne collocata sul campanile nel 1292, trasportata da ignoto luogo ove prima si trovava.

I trofei cittadini non solo si adunavano attorno alle chiese, ma anche attorno ai campanili: il campanile medioevale aveva qualcosa di profano, che lo pareggiava a una torre comunale. Così sopra la porta del campanile, oltre alla statua di Gagliaudo stava una rozza scultura in rilievo raffigurante una lupa cavalcata da un puttino, mentre un altro stava davanti scherzando colla belva; scultura allusiva al miracolo del beato Francesco operato in Alessandria, il quale rese mansueto il fiero animale che infestava 1’agro alessandrino. Sulla porta erano pure scolpite le misure: esse servivano di controllo nelle controversie che sorgevano in tempo di fiera e di mercati.

Tra il 1990 e la fine del secolo, si tentò di riportare alla luce ciò che rimaneva della struttura, interrata dietro ordine di Napoleone il quale voleva che le sue truppe, passando di lì per intercettare gli austriaci, trovassero la strada senza ostacoli. Il tentativo degli anni moderni, promosso dal sindaco Mara Scagni, non riuscì ad evolversi per i molti impacci ché si vennero a trovare. Così, dopo qualche settimana di inutili rimestii, lo scavo fu fermato e coperto.

Peccato.

Ma c’è di più.

Vi ricordate dei tre versi che Dante Alighieri indirizza a Guglielmo 7°, marchese di Monferrato, e di cui abbiamo fatto menzione all’inizio? Ebbene, il potere di Guglielmo nel territorio era tale da suscitare forti apprensioni fra i Comuni della zona. Così, gli Alessandrini, chi dice pagati da Asti e chi da Matteo Visconti, invece di corrispondere alla richiesta di rinforzi che il marchese era andato a reclamare, lo presero prigioniero.

Nella piazza dove si ergeva il duomo trovava dunque posto anche il bargello. Qui, chi dice racchiuso in una gabbia di ferro e chi chiuso in una cella sotterranea, il marchese restò per un anno e mezzo, fino alla sua morte nel 1292.

Duomo di Alessandria - Wikipedia

La facciata della cattedrale odierna, in stile neoclassico, fu edificata tra il 1820 ed il 1822, ed abbellita da quattro affreschi che raffigurano episodi della vita dell’apostolo Pietro e, nel timpano, Dio Padre, signore del cielo e della terra. Sulla sommità della facciata sono cinque statue, raffiguranti Gesù e i quattro evangelisti. Affianca la facciata l’alto campanile, vero simbolo della città di Alessandria, edificato a partire dal 1889. Costruito a più riprese per problemi finanziari venne finito nel 1922. Alto 106 metri, presenta 4 rosoni con un campanone e tre campane.

La chiesa, a tre navate, presenta un ampio presbiterio sul quale spiccano, nell’atrio della porta laterale di sinistra, la Madonna che conduce S. Teresa a venerare S. Giuseppe e la Madonna e Santa Elisabetta, di scuola genovese e l’altare maggiore, opera del 1954. Nel fondo, 5 vetrate istoriate e l’organo a canne, costruito nel 1929. Lo strumento è a trasmissione elettrica ed è collocato sui due matronei che si affacciano sul presbiterio con due bifore per lato; la mostra è composta da canne  disposte in cuspide all’interno di ciascuna delle aperture, con bocche a mitria ad andamento opposto rispetto a quello superiore delle canne. La consolle è situata a pavimento e dispone di tre tastiere di 58 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 30.

Il coro, in stile barocco (XVIII secolo) presenta scene della vita di San Pietro del pittore Costantino Sereno.

Di particolare rilevanza storica è la cupola del duomo su base ottagonale con 24 nicchie che ospitano altrettante statue dei santi protettori delle ventiquattro città che componevano la Lega Lombarda, con i relativi stemmi cittadini. Essa fu costruita tra il 1875 e il 1879 a ricordo del VII centenario della vittoria della Lega Lombarda sul Barbarossa nella battaglia di Legnano (29 maggio 1176).

6) La battaglia di Alessandria

Risultato immagini per alessandria - arco di trionfo della battaglia del 1391

Arco di trionfo

Via san Giacomo della Vittoria ad Alessandria è una strada lunga e stretta affondata nel centro storico, nell’incastro di vie delimitanti il vecchio ‘recetto’ medievale della città. Al centro circa del percorso viario, addossata alle altre case di antico segno gentilizio, si erge la chiesa di san Giacomo della Vittoria. Tale intitolazione si riferisce alla grande vittoria sui francesi di Giovanni III di Armagnac, conseguita il 25 luglio 1391 dal veronese Jacopo del Verme, capitano del Visconti.

Il conte D’Armagnac giunge alle porte di Alessandria e la pone sotto assedio. Alcuni cittadini alessandrini, avuta notizia del suo arrivo, vanno incontro al condottiero per informarlo dell’esatta posizione delle truppe francesi asserragliate presso Alessandria.

Lo scontro decisivo avviene nei pressi di Castellazzo il 25 giugno del 1391. La battaglia dura complessivamente tre ore, nelle quali la cavalleria del duca D’Armagnac si difende dagli attacchi in maniera valorosa, cercando più volte di non farsi accerchiare dalle soverchianti truppe nemiche. Ma la stanchezza dovuta alle scaramucce militari dei giorni precedenti e le capacità di direzione del Dal Verme, oltre che la disparità enorme delle forze in campo e la bravura inesorabile dei balestrieri, (ai tempi arma micidiale contro la cavalleria), hanno ragione delle forze francesi..

Dopo la brillante vittoria delle truppe viscontee e degli alessandrini guidati da Jacopo dal Verme, grazie al clamore suscitato dall’episodio militare è lo stesso condottiero veneziano a prendere l’iniziativa per la costruzione di una chiesa celebrante l’importante episodio bellico. Ricorrendo al bottino conquistato, il Dal Verme compra alcune case e poi le fa abbattere, recuperando così lo spazio utile alla costruzione del monumento. Il nuovo luogo di culto viene denominato “San Giacomo della Vittoria” per celebrare così il conflitto concluso con successo.

Chiesa di San Giacomo della Vittoria (esterno)

Della vecchia struttura trecentesca purtroppo non resta molto, la facciata attuale è di epoca successiva e la chiesa è stata oggetto di restauri e rimaneggiamenti continui lungo il XIX e XX secolo.

San Giacomo della Vittoria (Alessandria)

Chiesa di San Giacomo della Vittoria (interno)

7) Santa Maria di Castello

La chiesa risale, così come oggi si presenta, è situata presso l’antico borgo Rovereto e fonde nella sua struttura stili di epoche diverse, come quello tardo – romanico della costruzione con il portale rinascimentale e, al suo interno, diverse opere di epoche successive (il crocefisso, l’altare, la fonte battesimale, la sacrestia).

L’edificio presenta uno stile romanicogotico e un portale rinascimentale. L’interno è composto da tre navate con copertura di volte a crociera. Conserva una scultura cinquecentesca rappresentante la Deposizione, realizzata in terracotta policroma, sono inoltre presenti un coro seicentesco in legno e una lapide trecentesca appartenente a Federico Dal Pozzo.

Eccovi un’immagine dell’esterno e, a seguire, una della navata centrale.

Molto importante anche il convento adiacente affidato prima ai Padri Somaschi e successivamente alle Suore di Carità. Nel Risorgimento Italiano fu utilizzato come caserma e come reparto ospedaliero durante le epidemie in cui venivano isolati malati contagiosi. Di proprietà del Demanio a partire dal 1866 fu destinato in parte ad accogliere magazzini, prigioni e corpi di guardia. Durante la prima guerra mondiale fu utilizzato insieme a parte della chiesa come deposito di generi di monopolio.

Successivamente alla fine della grande guerra il convento diventò sede dell’istituto Nazionale Orfani di Guerra e successivamente, affidato alle Suore Salesiane, ospitò una scuola.

La Chiesa, situata nella omonima piazza, è il cuore di Borgo Rovereto (importante quartiere del centro storico Alessandrino). All’inizio degli anni 2.000 si intrapresero lavori di accertamento degli interni e di riqualificazione della piazza che ne sottolinearono il valore storico e la resero più accessibile ai visitatori.

8) Chiesa di San Francesco

Nella “Vita II” di Tommaso da Celano (n. 1200), primo biografo di San Francesco, è scritto “Mentre si recava a predicare ad Alessandria di Lombardia, fu ospitato devotamente…”.

Scrive il Chenna: “Vi ha certa tradizione che il convento di Alessandria sia stato fondato dallo stesso san Francesco, Padre de’ Minori Conventuali, nell’occasione che egli fu in Alessandria, (nel 1210 secondo il Ghilini, ma nel 1220 secondo il Lumelli) ”. Nel 1290 la chiesa era già forse perfezionata, giacché papa Nicolao IV con Breve del 13 dicembre dell’anno medesimo concesse indulgenza per chi si fosse recato ad “ecclesiam fratrum Minorum de Alexandria per visitarla, ed in essa orare”.

Non è certo comunque che l’edificio a cui si riferiscono questi documenti sia quello tuttora esistente, o piuttosto una precedente struttura della quale alcuni vogliono rintracciare qualche segno nell’odierna sacrestia.

I lavori dell’attuale chiesa dovettero iniziare nel medesimo sito allo scadere del XIII secolo per volere del nobile Guglielmo Inviziati e furono portati a termine nei primi decenni del ‘300.

Al secondo decennio del XIV secolo dovrebbe risalire la costruzione del campanile e di una cappella forse dedicata a san Ludovico, entrambi voluti dal patrizio alessandrino Antonio Boidi.

Disegno di Luigi Visconti

L’edificio è suddiviso in tre navate da slanciati pilastri a fascio, sormontati da capitelli cubici smussati alla base, talvolta arricchiti da stilizzate foglie d’acanto e da decorazioni zoofitomorfe.

Fino al XIX secolo l’interno presentava la spazialità delle chiese a sala, per la quasi coincidente altezza d’imposta delle volte delle tre navate.

Con la soppressione degli ordini monastici il convento di san Francesco divenne proprietà del demanio. Il decreto emesso a Saint Cloud il 23 Germinale (1803) lo destinò a caserma di cavalleria. L’edificio fu quindi tramezzato orizzontalmente (1816) con la costruzione di un voltone e del soprastante pavimento. Più tardi venne costruito un “cavedio” (chiostrino) nella parte centrale, per la presa d’aria e luce dal tetto. Scopo di quell’intervento fu recuperare spazio allestendo i magazzini al piano terra e i dormitori al piano superiore.

Su ordine di Carlo Alberto (1833) l’intera struttura divenne caserma e ospedale militare, come si può vedere dalle immagini qui sotto:

Risultato immagini per alessandria ex ospedale militare

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ma la facciata come pure gli interni subirono un visibile deterioramento.

Cesare Bertea, soprintendente ai monumenti del Piemonte, con lettera del 1° dicembre 1919, notificò che in forza della legge n. 364 del 20 giugno 1909, la chiesa di san Francesco aveva un grande valore archeologico e architettonico e che perciò sarebbe stata sottoposta ad attenta vigilanza. Con questo provvedimento si avviò la storia della chiesa di san Francesco come bene da tutelare, essendo di proprietà del Comune di Alessandria. Vi offriamo una immagine dell’interno, confidando nel fatto che si esercitino tutti gli interventi possibili, di restauro e di conservazione.

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La lupa: statua commissionata dagli alessandrini:

Fu intorno al 1220 che Francesco d’Assisi, diretto in Francia, si fermò nei pressi di Alessandria dove ammaestrò una lupa che terrorizzava la popolazione: un bassorilievo che ritrae questo episodio è conservato ancora oggi all’interno della cattedrale.

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Ma il pezzo forte è un altro. E’ da sapere che nel secolo XIII, intorno alla città di Alessandria, esistevano ancora moltissimi e fitti boschi, dove vivevano animali feroci. Infatti in un luogo selvaggio e nascosto, una lupa aveva messo al mondo una cucciolata di lupacchiotti e, diventata più crudele dovendo sfamare tante bocche, si aggirava insaziabile fin dentro la città. La tradizione dice che cercava di saziare la sua ingorda fame su chiunque, preferendo soprattutto i fanciulli. In quel periodo, diretto verso la Francia, San Francesco attraversò l’Alessandrino e subito venne richiesto il suo aiuto: il frate, ritirandosi nella sua cella ordinò alla bestia di abbandonare la sua ferocia e di ubbidire all’uomo, come un qualunque animale domestico. L’indomani un contadino esce dalla città, con suo figlio, e va a lavorare il piccolo campicello. Dopo poco tempo si avvicina la lupa e subito il fanciullo le si avvicina e inizia a giocare con l’animale, che, mansueto, si sottomette senza dare segni di ostilità; anzi il bambino le sale in groppa ed entrambi entrano trionfalmente in Alessandria. La voce si sparse in un batter d’occhio, tutti seppero del miracolo e senza dover convocare assemblee ufficiali, si votò una legge secondo la quale si doveva alimentare la lupa con il denaro pubblico. Gli Alessandrini vollero ricordare per sempre il prodigio e fecero scolpire un bassorilievo in marmo raffigurante la scena della lupa con il fanciullo. Questa semplice scultura venne collocata sopra la porta del campanile del duomo, e, distrutto questo nel 1803 ad opera dei soldati di Napoleone, il popolo ne fece installare un’altra nello spazio erboso all’esterno della scuola elementare Carducci.

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