Alice: “Arte…mi chiami Arte?”

La presentazione del nuovo romanzo di Gianni Vacchelli ” Alice danza nella notte ” – Bolis edizioni- ieri sera alla Libreria Claudiana di Milano, è stato un momendo dove il dialogo ha messo fuori i suoi begli occhietti, un dialogo tra Generazioni ( titolo di  un altro libro di Vacchelli)  dato che con l’autore due giovani ragazzi hanno potuto mettere in vita le loro intuizioni, le loro esperienze, il loro immaginario, dialogando appunto, con le altre età presenti, non per questo meno feconde.

Questo è abbastanza confortante nel clima che abbiamo intorno, dove le molte dimensioni dell’umano che siamo sono continuamente scarnificate da completa mancanza di conoscenza e di amore.   Ieri sera invece la danza era completa, il padre e l’educatore, il sognatore e il realista, lo scrittore e il politico, l’immaginazione, l’anima il corpo e lo spirito.

Il nuovo libro di Vacchelli, dichiarato figlio del Finnegans wake di Joyce, ci insegna ancora una volta ( e ne abbiamo sempre bisogno ) che più noi siamo vivi, più vivi sono i nostri morti e il dialogo con loro non è mai interrotto.    Quanti spunti, quanti raccordi inusitati, quale musica si possono tirare fuori dalle profondità comuni, rintracciando volti e storie, ridando voce a chi non l’aveva potuta avere.  Ricordiamoci sempre dei dominati e dei dominatori e che se cervello cuore e pancia non stanno insieme, mal ce ne viene .

I personaggi che via via escono dal libro, come dal magico cilindro del mago, non sono avulsi da corpo e anima, e si ficcano nelle nostre per svegliarci e liberarci dall’imbarbarimento in atto che ci fa sempre più precipitare in un non umano disperato e liquefatto.

Alice è il bambino che vive in noi, che non chiede altro che essere ascoltato e amato,  un “puer” che sa che la sua arte non è separabile da quella del “senex”, nastri colorati e intrecciati , pennarelli multicolori nell’aria, petali e capelli, carni speziate, ibride bestie, miracoli per amor del cielo e della terra. Folle di folle  che contengono i nostri tanti occidenti e i nostri tanti orienti, come l’albergo Pagoda del libro infatti rammenta.

Molti e molti ancora gli spunti, i mutamenti, gli ologrammi, le voci, gli schermi virtuali e i vini frusciantiin calici finemente screziati e, se l’autore me lo permette, dico che ancor più vale la pena di leggere questo libr- che vorrebbe parlare di un prossimo futuro che però è- forse – già un presente passato -per tre pagine, dove il canto di un padre s’alza nella ferocia del dolore e nella delicatezza delle sue braccia, che sole possono confortarci nei momenti in cui crediamo di non farcela più.

L’inferno , a differenza del paradiso, non è mai perduto. Ci siede accanto e ci invita a scendere dentro lui, è solo da lui che la luce potrà essere ritrovata.

L’amore per Dante del nostro autore è anche in questo libro: dov’è la selva oscura ? chi sono gli animali che ci vengono incontro? C’è sempre un Virgilio?

Alice ci risponde, chiedendo al padre di darle nome: Arte..mi chiami Arte?

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