Anche per noi arriverà un feroce Robespierre?

Se guardiamo il cammino dell’uomo dalle sue origini a oggi, non possiamo che rimanere stupefatti, ricolmi di giustificato orgoglio come partecipi di un’umanità in continuo progredire. Né ci preoccupa chi, cieco al divenire del mondo, nega fatti evidenti, pur traendone egli stesso vantaggio. Così è stato in passato e così sarà in futuro e non vediamo motivo per cui possa mutare un andamento verificato da 10 000 anni di storia. Non pensiamo per questo che esista un progetto organico, prefissato che privilegi una nazione a scapito di un’altra.

Lo “stellone d’Italia, che dovrebbe proteggerci, è un’ infantile sciocchezza propalata da analfabeti in malafede e diretta ad altri analfabeti in eccesso di ingenuità. Allo stesso modo lo era, questa volta tragicamente, la scritta “Gott mit uns”(Dio è con noi) incisa sulla fibbia del cinturone dei nazisti. Ne è dimostrazione la catastrofe che li ha travolti. Noi crediamo esista unicamente un rapporto dialettico tra bene e male, tra conoscenza ed incultura, tra razionalità ed irrazionalità, tra progresso e reazione in cui alla distanza, seppur in modo discontinuo, i dati positivi finiscono, per le loro stesse caratteristiche, di affermarsi su quelli negativi. Talvolta è proprio il negativo dell’essere dell’uomo a impedire il ristagno della Storia tramite una selezione naturale che non riguarda solo le specie viventi, ma le stesse civiltà.

Grandi civiltà come la Babilonese, l’Egiziana, la Romana o l’Araba non sarebbero mai sparite liberando prospettive prima impensabili al conoscere e al divenire dell’uomo, se non fossero state minate al loro interno da germi incurabili. Uno stato crolla per incompetenza delle sue classi di potere, per decadenza dei costumi, per arresto conoscitivo, per paralisi burocratica, per l’illusione di poter conservare il dominio senza adeguarsi ai tempi, per viltà, ferocia, corruzione o ambizioni sproporzionate al reale. Le follie di ieri sono identiche a quelle di oggi. Ossia per la follia suicida di chi lo governa, che alla fine travolge ogni cosa. Le follie di ieri sono identiche a quelle dell’oggi. E’ l’unica e sola cosa che nei secoli non sia mutata. Condividiamo quanto diceva John Adams, secondo Presidente degli Stati Uniti, “Mentre tutte le scienze sono progredite, quella del governo è ferma, e la si esercita oggi poco meglio di tre o quattromila anni orsono”.

Né vale illudersi di aver fatto progressi a riguardo con l’uso dei più aggiornati strumenti elettronici. Al di fuori delle apparenze, la realtà non è mutata. Anzi,con nuovi strumenti informativi a disposizione di masse sempre più grandi, diviene difficile l’arte antica della menzogna come mezzo di potere, e ciò rende il dominio assai più instabile e fragile di prima. Che differenza passa tra i re di Francia, sempre alla disperata ricerca di denaro a causa della loro corruzione e dei loro sperperi, che continuarono a ricorrere al credito fino a provocare la bancarotta dello Stato e la conseguente ribellione della borghesia e quanto sta avvenendo oggi in Italia? Nessuna! L’unico interrogativo è sul finale della vicenda: in Francia si sa come è stato, mentre in Italia non si sa ancora come finirà il Paese e la sua economia. Il proverbiale distacco tra la nostra classe di potere, cinquecentescamente chiusa nel proprio “particolare”, prigioniera dei propri miopi interessi personali, ed il resto non solo del Paese ma del mondo, ha ormai superato i confini del grottesco per dilagare nella follia. L’ultima è di questi giorni. Dopo esserci abbandonati a deliri grotteschi contro la Libia, auspicando scenari iracheni, ci si accorge che i pozzi di petrolio che si vorrebbe distruggere sono in realtà i nostri! Per di più dell’ENI, la principale azienda petrolifera di Stato, e costituiscono la nostra più importante fonte di energia con una percentuale pari al 27% del consumo nazionale. Mentre all’ENI sono disperati all’estero ridono, scrivendo sprezzanti articoli su di noi su testate che fanno l’opinione pubblica del mondo, come l’Economist e il Financial Times.

E così un’altra volta ci siamo coperti di ridicolo confermando il nostro ruolo di Pulcinella, di risibile Repubblica delle banane che non sa nemmeno quello che si fa.

L’Italia che produce, che lavora, che nonostante tutto ha mantenuto una propria dignità internazionale, un proprio ruolo produttore, deve contare di più, deve avere maggior peso nelle scelte del Paese. L’Italia è una nazione industriale trasformatrice di materie prime e tale deve rimanere negli anni a venire se vogliamo restare in Europa, se vogliamo sopravvivere. L’Italia ha oggi bisogno di chiudere definitivamente con un passato durato mezzo secolo, oltre il doppio del Fascismo. Per far questo è indispensabile un grande mutamento culturale, ideologico, morale e tecnologico. Dobbiamo recuperare una credibilità nazionale ed internazionale, smetterla di essere levantini per diventare europei. Ed esserlo a testa alta e non sopportati con risolini di spregio, come oggi avviene, unicamente perché siamo un mercato per merci provenienti da altri. Non abbiamo altra strada. L’alternativa è l’Africa.

Guido Manzone (*Aydin)

IL PICCOLO 4-04-1992

Ringraziamo Renza Manzone per l’opera preziosa che sta facendo… E’ un po’ come se Guido fosse ancora con noi…

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