Anniversario Gezi

La sua ’immagine è diventata un’icona mondiale in poco tempo. Si chiama Hasan Huseyin Karabulut, quel ragazzo che tenne in mano un libro davanti ai poliziotti che avevano accerchiato il Parco Gezi proprio il primo giorno della rivolta, nel 2013. Oggi, dopo 9 anni, Hasan vive a Malta e racconta il significato di quel gesto e i suoi ricordi legati alla rivolta più grande nella storia della Repubblica di Turchia.

“Facevo parte dell’associazione di cultura lgbt, Lambda Istanbul. Tramite i loro canali di informazione sono venuto a sapere che le persone che protestavano contro la distruzione del parco venivano malmenate. Quindi sono andato, il terzo giorno, in Piazza Taksim”. Quella famosa piazza, palco di numerose importanti manifestazioni politiche che fanno parte della storia del paese. Quella piazza che per settimane, nel 2013, ospitò l’esperimento di autogoverno e politica orizzontale più grande della storia del paese. Infine è stata anche la piazza degli scontri ma soprattutto della violenza spietata della polizia.

Infatti proprio davanti a quei poliziotti in un momento di “tregua” Hasan decide di tirare fuori dal suo zaino un libro. “La polizia non voleva farci entrare al parco. Si era schierata per costruire una barriera. Il mio era un gesto di resistenza e protesta non violenta. Mi hanno sempre detto di usare la mia matita non l’arma così ho fatto anche in quel momento”. Quel libro era dell’autore russo Maxim Gorky con il titolo “In the world”.

In quella foto icona si vede Hasan sorridere. “Ci volevano privare di uno spazio comune in quel periodo e io leggendo quel libro volevo creare un mio spazio dove mi sarei sentito libero dove avrei potuto ridere anche. Infatti in quella foto si vede che rido ma ridevo per ciò che leggevo sul libro. Non perché prendevo in giro i poliziotti”.

Hasan anche prima della rivolta era attivo soprattutto nel movimento per la rivendicazione dei diritti delle persone lgbtqi+. “Scendevo in piazza anche prima di Gezi ma non solo per la nostra causa, anche per difendere i diritti di altre persone. Invece la minaccia della distruzione del Parco Gezi mi ha toccato particolarmente perché era un porto franco, un posto dove rifugiarsi e per alcune persone era un luogo di nascita politica e identitaria, quel posto. Non avrei potuto non reagire”.

In pochi minuti Hasan trova se stesso dietro la polizia, viene trascinato dall’altra parte della barricata costruita dai poliziotti. Forse per evitare che venisse fuori un’azione collettiva dello stesso genere ma ormai era troppo tardi, quella foto in pochi minuti aveva fatto il giro del mondo. Il simbolo della resistenza non violenta oggi è un’icona politica. “Non mi aspettavo che avrebbe fatto parte delle tesi di laurea o addirittura fosse sulla prima pagina delle riviste importanti”.

Quando parliamo invece del perché è stata così importante quella rivolta e perché il governo ha temuto molto Hasan ha delle idee chiare: “Noi abbiamo fatto una cosa senza precedenti, quella cosa che negli anni 80 e 90 le persone hanno provato a fare in Turchia ma non ci sono riuscite. È stata una protesta di massa messa in atto da quella generazione di persone definite apolitiche e succubi. La solidarietà è stata alla base di questa rivolta: noi le persone lgbtqi+ stavamo lì in piazza per sorvegliare mentre il collettivo dei “musulmani anticapitalisti” cercavano di pregare”.

Se parliamo della delusione invece, Hasan pronuncia queste parole: “Il linguaggio dei media non rappresentava la realtà ossia ciò che accadeva realmente in piazza. Le notizie erano false, parziali oppure manipolate. Pure un ragazzino come Berkin Elvan, assassinato con il candelotto di gas lacrimogeno sparato dalla polizia durante la rivolta mentre andava a comprare del pane, nel suo quartiere, era stato definito come un terrorista da alcuni media. Inoltre la violenza sfrenata dei poliziotti era impressionante: anche quando eravamo fermi ci aggredivano”. Mentre il governo centrale, in modo arrogante e presuntuoso, ignorava la rivolta oppure cercava di criminalizzarla con i media mainstream che si schieravano con Ankara. Così fu battezzato il termine “i media della fognatura” e contemporaneamente nascevano i nuovi media soprattutto sul mondo dell’internet, i media indipendenti e del popolo.

Secondo Hasan oggi una buona parte di coloro che hanno lottato in quei giorni ora sono fuori dalla Turchia e fanno parte della nuova diaspora. “Subito dopo Gezi è stata adottata la politica del terrore in quasi ogni angolo del paese perché il potere centrale ha avuto paura di noi e di ciò siamo stati in grado di fare”.

Gezi è stata anche una grande sorpresa per Hasan perché ha conosciuto Ege, oggi la definisce come la sua “mamma acquisita”. Una persona che ha conosciuto durante la rivolta con la quale ha costruito un legame molto forte.

Prima in Spagna poi a Malta poi in Sicilia e oggi di nuovo a Malta. Questo è stato il giro di Hasan in questi ultimi anni alla ricerca di lavoro e serenità. Oggi vive a Malta e lavora come educatore in una scuola dove studiano i ragazzi speciali. Inoltre porta avanti quei mestieri che faceva anche prima: produrre borse e bigiotteria artigianale, fare rasta e massaggi.

In tutto questo tempo la Turchia non gli è stata lontana anche dal punto di vista giuridico. In primis l’ex sindaco di Ankara ossia Melih Gokcek poi altre persone, nel 2015, hanno lanciato una campagna di linciaggio, sui social, nei suoi confronti creando delle false notizie. Hasan, tramite il suo avvocato, ha dimostrato che si trattava di una campagna di calunnia e così ha vinto il processo e è stato assolto.

Oggi, nei sogni di Hasan c’è anche la Turchia. “Un giorno vorrei tornarci. Vorrei costruire un progetto in una zona fuori dalle città grandi per produrre arte e agricoltura con le persone lgbtqi+. È il mio paese, prima o poi, ci ritornerò per viverci”.

Gezi è stata l’occasione di realizzazione del sogno di milioni di persone scese in piazza nel 2013 per circa 5 mesi ininterrottamente. Dalle reazioni del governo e dalle misure prese successivamente non è difficile pensare che Ankara abbia avuto una grande paura di perdere il potere. Quel potere non solo politico ma anche economico. Una rivolta popolare che manifestava la volontà di cambiare una serie di cose tra cui la cultura governativa che continua a polarizzare e dividere la società sempre di più tra “noi” e “voi”, una cultura di divisionismi, alienazione e emarginazione arricchita con le politiche di fondamentalismo, sessismo e omotransfobia. Infatti le vere protagoniste di questa rivolta sono state le donne e le persone lgbtqi+ giovani che vivono in Turchia, esattamente come Hasan.

I maxi processi su Gezi sono ancora in corso. Gli assassini di quegli 8 giovani uccisi non sono ancora stati né identificati né puniti. La criminalizzazione della rivolta è ancora oggi nel linguaggio quotidiano del governo. Tuttavia la lotta contro l’oscurità è ancora in corso e continuerà perché “Ogni luogo è Taksim e la resistenza è in ogni luogo!”.

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