In attesa della sinistra

Gli evidenti errori commessi da Mattarella con l’incarico a Draghi lo hanno costretto a contraddirsi nel suo pur sincero e apprezzabile proposito di non essere rieletto alla presidenza della Repubblica. La decisione presa dal capo dello Stato nel febbraio dello scorso anno di affidare l’incarico di governo a un prestigioso quanto ambizioso tecnocrate, ha posto quest’ultimo in grado, tramite la pressione dei media controllati dalla grande finanza, di distorcere un dibattito democratico già molto debole con il suo oggettivo potere di ricatto: ai parlamentari non veniva lasciata scelta, o votare Draghi alla presidenza del consiglio, era la evidente minaccia implicita, o i mercati puniranno l’Italia facendo salire lo spread (il differenziale fra i rendimenti dei titoli di stato protagonista delle vicende dell’ultimo tormentato decennio in cui l’anti-democrazia e lo status quo hanno trionfato). Così Draghi, alla faccia della democrazia, è stato incoronato PdC con una maggioranza nordcoreana e praticamente senza opposizione. Ma come capita a tutti i “salvatori della patria”, lo abbiamo già visto con Monti, dopo i peana iniziali l’incantamento comincia a declinare mentre i morti e i feriti rimangono sul terreno. Questo è avvenuto senza nemmeno concedere, da parte del PdR, un nuovo giro di consultazioni da cui potesse emergere un altro nome e trattando con eccessivo disprezzo l’ipotesi delle elezioni anticipate. In molti paesi occidentali si è votato tranquillamente durante la pandemia e sono emerse soluzioni positive sia per lo sblocco della situazione politica, che per la soluzione della pandemia stessa: in Spagna e in Portogallo, che hanno avuto meno morti di noi (anche se va ricordato che l’Italia è stata colpita per prima) e hanno fatto meglio di noi in termini di vaccinazione di massa. In Israele, che è riuscito a sbarazzarsi dell’ingombrante Netanyahu. Negli USA che si sono liberati di Trump e sono ritornati agli impegni internazionali che il magnate aveva disdetto. E molti altri esempi: solo da noi la democrazia viene costantemente bloccata e rinviata, in controtendenza con gli altri paesi occidentali dove sia pure con le stesse difficoltà italiane, con una presenza totalizzante dell’economia finanziaria che divora la democrazia, un minimo di vivacità e di alternativa politica rimane.

Rimango perciò fermamente convinto che bisognava tornare al voto nel 2019 respingendo le macchinazioni di Renzi (pro domo sua) e tutta la melassa dei “grandi giornali” controllati da industria e finanza. Avremmo avuto un guadagno democratico netto perché la democrazia si difende con la democrazia e non rinviandola sine die. Quanto a Salvini e alla Meloni, non è affatto certo che avrebbero vinto le elezioni, come si diceva con troppa sicumera anche nel c.d. “centrosinistra”, dato che la destra era stata indebolita dalle follie del Papeete e dallo scontro con Conte, che invece era uscito bene e col plauso del paese dal duello con Salvini. Al contrario dopo un anno di governo Draghi, la Meloni con le sue posizioni sovraniste e nostalgiche (ma soprattutto inconcludenti) ha guadagnato molto terreno nelle intenzioni di voto. Inoltre votando nel 2019 Giuseppe Conte sarebbe diventato parlamentare, senza nemmeno il bisogno di chiedere un passaggio al PD, e avrebbe meglio controllato le mosse del cameriere Di Maio, il sabotatore interno al M5S e aspirante “Gennaro Migliore” della situazione. Conte non sarebbe forse rimasto alla presidenza del Consiglio, ma avrebbe giocato un ruolo importante e con più facilità di quanto possa fare in questo momento giocando dall’esterno del parlamento e di rimessa. Per di più il sulfureo Letta, che silenziosamente, dietro le battute e i sorrisi, agisce in nome e per conto di Draghi mentre si intesta un inesistente progressismo, non sarebbe diventato segretario del PD e sarebbe rimasto Zingaretti, politicamente molto modesto ma perlomeno incapace per indole delle macchinazioni letali tipiche dei feroci post-democristiani. E soprattutto Renzi sarebbe sparito dalla scena e farebbe a tempo pieno il conferenziere fra Abu Dhabi e Dubai. And last but not least, non avremmo avuto la pessima e dannosissima riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari.

Ora nelle elezioni per il Quirinale è evidente il ricatto posto da Draghi: o me o nessun altro al Colle, al massimo posso accettare che sia Mattarella, che mi ha incaricato, a farmi ombra. Ma nessun altro. Il “nonno al servizio delle istituzioni” puntava senza più infingimenti al ruolo di capo dello stato come culmine della sua luminosa carriera. Il povero Mattarella infine ha dovuto cedere alla pressione del parlamento, rendendosi conto che era in bilico il precario equilibrio politico da lui stesso creato incaricando Draghi. Penso sia ora evidente a tutti che non è stata una grande idea.

Ma c’è anche una notizia positiva: come le oche un tempo salvarono il Campidoglio, oggi i tanto bistrattati peones hanno salvato la dignità del parlamento, ribellandosi spontaneamente a Draghi, altamente impopolare fra i grandi elettori (mai andato oltre i 4 voti nei vari scrutini) e hanno spinto per la rielezione di Mattarella come unica soluzione praticabile al momento. E ribellandosi anche all’infido Letta e al cameriere Di Maio, che hanno fatto fallire “con il favore delle tenebre” (che ne dice Cassese di questa espressione?) tutte le ipotesi alternative che pur goffamente ma del tutto legittimamente (dopo il ritiro di Berlusconi) sono state poste in campo da Meloni, Salvini e Conte, con lo scopo losco poiché mai dichiarato apertamente ai loro elettori di portare Draghi al Colle. Va detto, nonostante la modestia di un Salvini che girava come una trottola e sparava nomi a raffica senza combinare niente, che il caos politico che i giornaloni italiani ed esteri hanno enfatizzato è stato la diretta conseguenza dell’atteggiamento distruttivo di Letta il cui vero candidato era Draghi e che dunque ha brigato con grande scorrettezza e feroce determinazione per far fallire ogni ipotesi alternativa. Anche con proposte migliori di quelle fatte da Salvini, dunque, la realtà è che di fronte alla scorrettezza di Letta e del PD, con l’aiuto dell’inserviente Di Maio, non c’era modo di uscirne. Ne esce meglio Conte le cui idee e azioni sono quello che sono ma che si è dimostrato una persona calma e perbene.

Ora per Draghi, il grande banchiere che nonostante l’educazione dai gesuiti non è riuscito a controllare la sua hybris, le cose si mettono meno bene. Il governo ne esce indebolito principalmente a causa sua (e di chi gli ha lasciato credere che l’incarico di governo era l’anticamera del Colle): il quadro politico intorno al governo stesso è in realtà terremotato. Sarà per lui più difficile arrivare all’obiettivo del Quirinale – e anche la presidenza della UE, che viene prospettata come possibile alternativa, non è per nulla scontata. Si dedichi dunque al contrappasso che giustamente gli tocca in sorte: rimanere a Palazzo Chigi e portare a termine il lavoro iniziato, a partire dalle essenziali azioni di contrasto della pandemia di cui negli ultimi giorni non si è più parlato, mentre i decessi sono tanti e le vaccinazioni sono ferme, la sanità in grande affanno, le scuole in difficoltà perché gli interventi strutturali necessari non stati nemmeno iniziati né finanziati.

Se davvero Draghi sarà il candidato dell’establishment europeo alla guida della UE per il 2024 (cosa di cui sinceramente dubito perché i Mr Wolf servono, ma difficilmente vengono candidati alle elezioni) sarebbe per la sinistra continentale un’ottima occasione per rendergli la pariglia e presentare una seria e credibile alternativa alla figura del banchiere che senza nessun rispetto per la democrazia e per la sofferenza di lavoratori e pensionati ha chiuso i bancomat alla Grecia nel 2015 e ha firmato, insieme a Trichet, la lettera della BCE del 2011 con cui commissariava il nostro paese causando anche da noi gravi sofferenze alle classi più deboli colpite dalla crisi, tramite i vari governi tecnici che si sono succeduti. In Italia la sinistra, a livello politico elettorale, non esiste più (meno che mai con un Letta a capo del PD) ma a livello europeo e internazionale qualcosa si muove e ci potrebbe essere poi una ricaduta positiva anche da noi, ripristinando in prospettiva, con una presenza attiva della sinistra, il tanto necessario polemos, quel conflitto sociale che rende viva la democrazia e che potrebbe perfino consentire ai poveri e onesti presidenti rieletti contro la loro volontà di andare tranquilli in pensione.

Filippo Boatti

31 gennaio 2022

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