Azienda aperta in sicurezza. Un’occasione per la Solvay

La Solvay di Spinetta Marengo è troppo nota per rifarne la cronistoria. Basti sapere che l’area dell’impianto chimico  ha più di cento anni, che si sono susseguite numerose proprietà, che si è prodotto di tutto. Dai concimi per l’agricoltura, a pigmenti e prodotti chimici per gli utilizzi più disparati, persino prodotti per l’industria bellica. Un’azienda che, altrettanto notoriamente, registra ogni anno considerevoli ricavi di miliardi, regolarmente segnalati negli appositi bollettini, consultabili anche sul web. Un’azienda con una buona, anzi ottima salute, dal punto di vista economico ma che ha dovuto sempre fare i conti con il “pregresso”, con almeno quattro zone di accumulo e stoccaggio di materiali pericolosissimi di cui è difficile fare un’opera di bonifica adeguata, con contenziosi legali infiniti, con storie di incidenti e di morti sul lavoro (moltissimi nell’arco dei centovent’anni di funzionamento dell’insieme). Una azienda che alterna parti nuove e all’avanguardia con altre  obsolete, sì – non vogliamo usare giri di parole – semplicemente obsolete, che necessiterebbero di trasformazioni radicali. Anche alcune modalità di produzione sarebbero migliorabili se solo si volesse. E’ il caso dei composti perfluoroalchilici e polifluoroalchilici che potrebbero essere sostituiti da altri ben noti (1) e che con opportuni interventi strutturali, risparmierebbero al territorio rischi e emergenze. Situazioni di difformità – al limite della pericolosità vera e propria – che si sono manifestate in falde attigue e anche  distanti dalla fabbrica, con rotture di parti importanti della struttura produttiva, incidenti di vario tipo, comprese esalazioni di elementi di produzione nell’aria sovrastante e circostante l’azienda. Probabilmente l’esito dell’incontro del 23 giugno (con la richiesta di implementazione dell’impianto di cC6O4) è già scritto. Con un crescente imbarazzo delle strutture tecniche di controllo e amministrative che, di fronte alla documentazione addotta da chi da sempre si oppone all’allargamento, non hanno potuto che assumere una posizione di contrarietà al potenziamento dell’impianto. Forse ci saranno richieste di ulteriori varianti e approfondimenti. Sicuramente così come è stato presentato, non passerà.

Fatte queste considerazioni, invitiamo i lettori a trascrivere, fotocopiare, ricopiare quanto ha diffuso l’ufficio relazioni con il pubblico della Solvay. Vi sono affermazioni importanti di cui dovremo tenere tutti conto.

Si comincia con una domanda apparentemente banale ma fondamentale nel momento in cui ci si rivolge ad un pubblico generico e solitamente poco informato: “Cosa sono i PFAS?” a cui segue una risposta tranquilla e quasi colpevolizzante: si tratta di “Un gruppo ampio e diversificato di qualche migliaio di composti chimici (perfluoroalchilici e polifluoroalchilici) con proprietà fisiche, ambientali e biologiche molto diverse. Vengono utilizzati in molti prodotti essenziali e di uso quotidiano come negli smartphone, nelle automobili, negli aerei, nelle batterie, nei sistemi  di purificazione dell’aria e dell’acqua e in indispensabili dispositivi medici.” La colpevolizzazione, forse non voluta, sta tutta nel ricordare che i prodotti della lavorazione di questi composti sono alla base delle nostre abitudini di vita. Quindi…”se volete le comodità dovete anche mettere in conto i rischi”. Almeno…questa è la lettura che diamo noi.. Poi si passa più nello specifico:”Cos’è il C6O4?”   “Il C6O4 è un coadiuvante nel processo produttivo appartenente alla categoria generale dei PFAS, registrato in conformità alla normativa Europea (REACH) e approvato dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare. È già stato oggetto di una trentina di studi scientifici presso laboratori accreditati.” Ci si deve accontentare dell’informativa “coadiuvante nel processo produttivo appartenente alla categoria generale dei PFAS” senza andare oltre. Con l’aggiunta di una serie di garanzie di rito. E’ autorizzata…è legale….è registrata….è approvata.… Con la specificazione immediatamente successiva che ci si trova di fronte a prodotti assolutamente non pericolosi. Infatti alla domanda ; “I PFAS sono tutti ugualmente dannosi per la salute e l’ambiente?” La risposta è lapidaria e impegnativa:  “Solo alcuni composti come il PFOA sono stati considerati un potenziale pericolo per la salute. Solvay non ha mai prodotto PFOA e lo ha eliminato completamente dal proprio processo produttivo”. Affermazione importante, quella di non aver mai avuto a che fare con gli PFOA, di cui prendere nota. Condizioni di sicurezza, d’altra parte, confermate dal fatto che:   “L’acqua è ed è sempre stata potabile.” Concisa risposta alla domanda (un po’ di tutti) “I PFAS hanno inquinato tutta l’acqua potabile?” Ovviamente questa affermazione vale in quanto non vi sono mai state ordinanze sindacali o prefettizie che ne vietassero l’uso o contestazioni effettive provenienti da ASL e ARPA. Pur in presenza di acqua che più volte ha dato problemi. Ricordiamo che la “Frascheta” è l’area dove si pesca più a fondo per trovare falde accettabili. Addirittura oltre i 150 metri.    Sempre sulla salubrità del prodotto si ricorda che:   “Il C6O4 è una sostanza completamente diversa dal PFOA, possiede un profilo tossicologico migliore, non è biopersistente e non è bioaccumulabile.” Precisazioni collegate alla domanda: “Il C6O4 è come il PFOA, è cancerogeno e bioaccumulabile?.” Per la verità quelle che noi abbiamo trasformato in domande erano “affermazioni” ritenute false (o comunque parziali), a cui si risponde con vere argomentazioni. Sempre appartenente alla colonna delle notizie etichettate come “falso” è anche la seguente: “Il C6O4 rappresenta un elemento di preoccupazione per la salute e avrà conseguenze devastanti.”  Un po’ generico e populista ma, con i tempi che corrono ci può stare. Netta l’argomentazione definita “vera”, quindi – di fatto – la risposta:  “Il bio-monitoraggio sui lavoratori e la sorveglianza medica dei dipendenti non indicano alcuna correlazione con effetti patologici legati all’esposizione professionale al C6O4.” Passaggio cruciale di tutta quanta la questione perchè se vengono fatte bene le analisi, se i periodi di verifica sono quelli prescritti a norma di legge, se i medici e il sistema di controllo sono “sul pezzo”, non ci sarà da preoccuparsi. E noi, fedeli al motto “carta canta” trascriviamo e mettiamo in memoria che “bio-monitoraggio sui lavoratori e sorveglianza medica dei dipendenti non indicano alcuna correlazione con effetti patologici” specifici.  Facciamo notare, anche qui, l’importanza del riferimento a maestranze e, comunque, dipendenti in servizio. Notazione di rilievo.

Dello stesso tono l’antinomia “vero” / “falso” del  passaggio successivo: “Esiste un rischio per la salute  da contaminazione da PFAS nella provincia di Alessandria”    A cui fa da contraltare la frase seguente: “La produzione dello stabilimento di Spinetta Marengo è gestita sotto il costante controllo delle autorità e le emissioni vengono regolarmente segnalate e monitorate.”  Anche qui siamo nel campo delle competenze di legge e ci meraviglieremmo del contrario. E, per finire, a domanda delle domande, che lasciamo nella forma  originale del testo (rielaborata solo per quanto riguarda il punto interrogativo):  “Il C6O4 avrà un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute?“. Risposta: “Il C6O4 viene rimosso con efficienze di abbattimento superiori ai requisiti previsti dalle migliori tecnologie.”   E qui c’è l’unica concessione al dettaglio tecnico ricordando che “una volta assorbito dalle resine a scambio ionico o dai carboni attivi ad alta efficienza, viene inviato alla distruzione termica. Le emissioni di C6O4 sono trattate e costantemente monitorate nel pieno rispetto dei limiti approvati per l’impianto, applicando le migliori tecnologie disponibili (BAT) per l’abbattimento delle emissioni in aria e in acqua.”  Sistemi di controllo, monitoraggio e abbattimento che, per espressa dichiarazione della proprietà, sono stati ulteriormente perfezionati e, secondo la fabbrica, dovrebbero essere sufficienti per arrivare ad un disco verde.  Ma le cose non sono chiare; di quella trentina di studi citati circa la metà esprime perplessità sulla sicurezza del prodotto, collegando le valutazioni allo stato degli impianti, alla adeguatezza dei sistemi strutturali, ai tempi di lavoro e al logorio dei materiali, oltre al peso relativo delle eventuali tracce in dispersione. Infatti il raggiungimento di una buona qualità ecologica e chimica dei corpi idrici in Europa, che la Direttiva Quadro Acque (2000/60/CE) aveva fissato al 2015, non è più procrastinabile. E proprio nelle acque va a concentrarsi quel tipo di inquinante. Diverse le cause del mancato conseguimento dei risultati, tra cui gli scarsi finanziamenti erogati, un’attuazione troppo lenta della direttiva da parte degli Stati membri e un’insufficiente integrazione degli obiettivi ambientali nelle politiche settoriali. L’Italia, da questo punto di vista, è in forte ritardo. “La piena attuazione della Direttiva Acque, peraltro, è fondamentale per contrastare i cambiamenti climatici: serve a migliorare lo stato ecologico dei corpi idrici, restituire spazio ai fiumi, mitigare il rischio alluvioni ed evitare alterazioni dei corridoi fluviali rispettando la naturalità. Per una ripartenza post-Covid, occorre che anche le aziende facciano la loro parte” (2).

Per ora, quindi, ci si dovrebbe accontentare di ciò che si è ottenuto in passato. Con un impegno a procedere a tutte le bonifiche necessarie, aggiornando dati e informazioni rispetto a quanto generalmente conosciuto (3a – 3b). L’obiettivo di tutti è quello di avere una fabbrica ben inserita nel territorio, che continui a dare lavoro a chi ci abita , che chiuda definitivamente con il pregresso e che sappia fare produzioni in condizioni effettivamente “green”, procedendo ad un graduale mutamento di prodotti e mezzi di produzione. I denari ci sono, le competenze anche, l’attenzione del territorio…pure. Manca solo la volontà di iniziare a percorrere nuove strade che non siano le scorciatoie facili di bonifiche parziali e di incrementi a sistemi di produzione di vecchia concezione e di elevata pericolosità. Per questa riconversione potrebbe essere coinvolta in modo consistente tutta la parte dell’UniPO (Università del Piemonte Orientale) che proprio nella specializzazione delle discipline scientifiche legate all’ambiente, al recupero dei siti e alle bonifiche, potrebbe assumere un ruolo di rilievo internazionale.

 

(1) https://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/reach/relazionefinalestudiopfas.pdf

“Studio finalizzato all’individuazione di potenziali sostituti delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) a catena lunga di minore impatto ambientale e sanitario” . Istituto Mario Negri.

(2) Sono le parole di Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente

(3 a)

https://www.solvayspinettamarengo.com/it/binaries/Solvay%20Lab%2030%20settembre%202014-203455.pdf

“La Bonifica: stato di avanzamento, risultati e piano di attività a settembre 2014 .  Polo Chimico di Spinetta Marengo”

(3 b)

http://www.arpa.piemonte.it/news/lo-stato-di-avanzamento-delle-attivita-di-bonifica-dello-stabilimento-solvay

“Lo stato di avanzamento delle attività di bonifica dello stabilimento Solvay”

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