1948-2018. Settant’anni dopo: la Costituzione tradita

« Finché questi articoli( art. 4 e 36 della Costituzione, n. d.r) non saranno veri, non sarà vero il resto; finché non sarà garantito a tutti il lavoro, non sarà garantita a tutti la libertà; finché non vi sarà sicurezza sociale, non vi sarà veramente democrazia politica; o noi realizzeremo interamente questa Costituzione, o noi non avremo realizzata la democrazia in Italia».
Lelio Basso (1952).

« E” difficile accettare con animo leggero il fatto che l’obiettivo della stabilità dei prezzi sia indicato senza alcun riferimento al livello occupazionale e, dunque, al benessere delle comunità che si sono date questa nuova Costituzione monetaria. Ho provato ripetutamente nel corso del negoziato a inserire tra i criteri anche il livello di disoccupazione… Senza successo».
Guido Carli ( 1993).

E’ possibile parlare di un avvenuto tradimento dello spirito e della lettera della Costituzione della Repubblica italiana? Non è paradossale fare una tale affermazione proprio in occasione della celebrazione del suo settantesimo compleanno? ( la Costituzione fu firmata congiuntamente dall’allora presidente della Repubblica De Nicolao, dal presidente del consiglio De Gasperi e dal presidente dell’Assemblea costituente Terracini, il 27 dicembre 1947, ma entrò in vigore il 1° gennaio 1948). Non si sono forse succeduti nelle settimane scorse gli atti celebrativi di questo anniversario, atti celebrativi a cui televisioni e giornali hanno generosamente dato risalto, e tra cui hanno fatto spicco quelli del giudice costituzionale e già presidente del consiglio Giuliano Amato, del presidente della Repubblica Mattarella e del presidente del consiglio Gentiloni?
Si vuole forse qui insinuare che tali atti celebrativi e confermativi del ruolo tutt’ora cogente della nostra Costituzione si presentino, in termini platonici , come «sofistica», ossia come meri esercizi retorici e demagogici che nascondono la verità sull’effettiva possibilità che la carta costituzionale possa tutt’ora essere la nostra stella polare? E poi, un tale giudizio negativo sull’effettiva attuale cogenza della nostra carta costituzionale non contraddice il fatto che, poco più di un anno fa ( il 4 dicembre 2016), è stato sconfitto, mediante referendum popolare, il tentativo di riformare alcuni articoli importanti della seconda parte della costituzione , quella che disegna la fisionomia e il compito delle principali istituzioni dello Stato italiano? Sono tutti interrogativi legittimi a cui la gravità di un giudizio di tradimento della costituzione è tenuta a rispondere.
Cominciamo dall’ultimo. In effetti tra i propositi che perseguiva la Riforma costituzionale Boschi, accanto a un prospettato rafforzamento del potere dell’esecutivo a scapito del potere legislativo e giudiziario, o a una controriforma dell’obbrobriosa Riforma del Titolo quinto, del 2001 , sulle autonomie e competenze degli enti pubblici territoriali( Regioni e Provincie), controriforma che nè risolveva « quel pasticciaccio brutto» nè avrebbe superato i conflitti di competenze e autorità tra Stato centrale e enti locali, vi era quello di assegnare al senato un ruolo diverso rispetto alla camera dei deputati accentuandone alcune funzioni ritenute particolarmente« insidiose» per la tenuta della nostra sovranità nazionale da parte di costituzionalisti e giuristi critici di tale progetto.
Proprio quelle prospettate nuove funzioni assegnate al nuovo Senato avrebbero costituito un vulnus sulla sovranità della nostra costituzione. Basterebbe prendere il testo di riforma dell’articolo 55 della Costituzione, nei seguenti passaggi:
« Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato ».
O ancora alcuni passi della riforma dell’Articolo 70:
«La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere ( dunque anche dal nuovo senato,ndt,) per………… la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, ……..I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma,( articolo che introduce l’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione, ndt,) approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione….».
Il senso di tali passi dei due articoli in questione si chiariva completamente comparandoli alla premessa, La relazione illustrativa, della Riforma costituzionale a firma di Maria Elena Boschi:
« Lo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo d’integrazione europea e in particolare l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea da cui sono discesi tra l’altro l’introduzione del semestre europeo e la riforma del patto di stabilità e crescita, e alle relative stringenti regole di bilancio,quali le nuove regole del debito e della spesa, le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale e l’esigenza di coniugare quest’ultima con le rinnovate esigenze di governo unitario della finanza pubblica connesse anche ad impegni internazionali, il complesso di questi fattori ha dato luogo a interventi di revisione costituzionale».
Si trattava evidentemente, manifestato anche con una certa dose di candore, di assegnare al senato riformato il ruolo di guardiano dell’applicazione delle norme dei Trattati dell’Unione Europea , sia quelle già stabilite , sia quelle in futura elaborazione da parte della Commissione Europea, all’interno dell’attività ordinaria delle istituzioni dello Stato italiano, ossia di costituzionalizzare le regole e le istituzioni dell’Unione europea, esautorando non solo nei fatti ma anche nella forma codificata la sovranità della nostra Costituzione.
Ma, tirato un sospiro sollievo per il fallimento di un tale progetto di riforma , s’intende qui argomentare che «nei fatti» il tradimento e la violazione della nostra carta costituzionale erano già avvenuti , a partire dalla firma dei Trattati Europei fondativi di Maastricht , seguiti poi dai Trattati confermativi di Lisbona, dai trattati di materia di politiche economiche successivamente ratificati dai paesi membri della Ue noti sotto il titolo di Fiscal Compact per finire( per il momento) all’applicazione dei regolamenti della nuova Unione Bancaria Europea( UBE) tra cui il«famigerato» Bailin.
Nel momento in cui ha ratificato i trattati costitutivi dell’Unione europea di Maastricth nel 1992 e poi tutti gli altri a seguire, l’Italia ha accettato il«vincolo esterno» e cioè di subordinarsi all’autorità delle leggi e delle istituzioni dell’Unione Europea, esautorando« di fatto» la sovranità della nostra costituzione. Di fatto e non anche nella forma perché in teoria in qualsiasi momento l’Italia potrebbe decidere di recedere e uscire dall’Unione Europea , secondo quanto previsto e stabilito dall’articolo 50 del TUE( Trattato dell’Unione Europea) e riacquistare la piena sovranità della sua Costituzione, mentre se la Riforma costituzionale avesse vinto all’appuntamento referendario del 4 dicembre 2016, si sarebbe poi dovuto indire un nuovo referendum per abrogare la costituzionalizzazione diretta dei vincoli europei.
Quello scampato pericolo non deve però distogliere l’attenzione dalla condizione coatta a cui sottostà la sovranità costituzionale del nostro Stato nazionale da ormai un quarto di secolo. Qualche «anima bella», a dirla in termini hegeliani, potrebbe domandare: quale sarebbe il problema , anche se fosse avvenuta una cessione di sovranità dello Stato italiano alle Istituzioni e regole sovranazionali dell’Unione e dei Trattati europei? Non contemplano forse i Trattati della Ue una Carta dei diritti fondamentali che si richiama ( in verità in forma assai meno avanzata ) agli stessi principi dei diritti universali dell’uomo proclamati ad es. nell’articolo 2(«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, …») e articolo 3 della nostra Costituzione(« Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali …») ?
A costoro bisognerebbe però immediatamente fare alcune osservazioni. La prima è che la nostra Costituzione non acconsente in alcun modo a cessioni della sua sovranità ma unicamente: « ….consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo»( art. 11) .Ora si potrebbe chiedere agli europeisti idealisti se l’ assoluta assimetria venutesi a creare nelle condizioni politiche ed economiche tra i diversi Stati membri della UE, a seguito dei Trattati e delle istituzioni europee , possa corrispondere al principio di limitazioni di sovranità in condizioni di parità con gli altri Stati allo scopo della pace e della giustizia tra i popoli.
Bisognerebbe inoltre ricordare che qualsiasi reato contro la personalità giuridica dello Stato è punita dal nostro codice penale, e la cessione di sovranità è un reato contro la natura stessa dello Stato: non esiste Stato nazionale se esso non può esercitare la sua sovranità giuridica e istituzionale su un popolo e su un territorio delimitato da confini. Più in generale la nostra Costituzione prevede che i suoi principi fondamentali, i primi 12 articoli, non sono emendabili, perché costituiscono i lineamenti fondamentali immutabili della forma repubblicana. Fare un’azione che va contro tali principi sarebbe un’ atto eversivo della forma democratica dello Stato. «Sì, d’accordo» potrebbe insistere qualcuno«ma comunque quella Carta dei diritti fondamentali esiste nei Trattati europei e dovrebbe rassicurarci almeno sulle intenzioni, magari travisate, magari deviate nella loro applicazioni, ma a cui comunque ci si possa sempre appigliare in una controversia giuridica internazionale , per far valere quella direttiva generale».
Effettivamente quella Carta è sancita dall’articolo 6 ,primo comma del TUE( Trattato sull’Unione Europea, compendio dei Trattati fondativi di Maastricht e dei Trattati confermativi di Lisbona) con le seguenti parole:«L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati».
Però subito dopo aggiunge:« Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati». E ancora al secondo comma di quel medesimo articolo 6 viene ribadito:« L’Unione aderisce alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» ma immediatamente si precisa che«tale adesione non modifica le competenze dell’ Unione definite nei trattati».
Ma quali sono queste famose competenze dell’Unione che non devono subire interferenze o modificazioni giuridiche da parte dei principi della Carta dei diritti fondamentali ? Già l’articolo 3, comma 3, del Trattato sull’Unione europea ne chiarisce lo spirito generale in modo alquanto eloquente:« L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’ economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico».
Al di là della contraddizione terminologica insita nella definizione di«economia sociale di mercato » l’accento sul« fortemente competitiva», a vent’anni dall’adozione di tale modello ( adozione dell’ Ecu, regime di cambi fissi, nel 1997), si è manifestato più nei rapporti interni tra i sistemi economici nazionali degli Stati membri della Ue , ( e in particolare del mercantilismo tedesco nei confronti del resto d’Europa) che al suo esterno; in questo contesto l’affermazione della forte competizione è servita ad abbattere le protezioni sociali e ad affermare la deregulation o il lassez faire economico.
Se poi andiamo al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea dove sono esplicitate le istituzioni della Ue e le loro specifiche competenze, e in particolare nella parte relativa alla Politica economica e monetaria ,all’articolo 119, primo comma, troviamo la seguente enunciazione:« Ai fini enunciati all’articolo 3 del trattato sull’Unione europea, l’azione degli Stati membri e dell’Unione comprende, alle condizioni previste dai trattati, l’adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza». Già qui sono spariti i riferimenti all’«economia sociale » , alla«piena occupazione» e al «progresso sociale».
Ma è il secondo comma del medesimo articolo che definisce le regole fondamentali: «Parallelamente, alle condizioni e secondo le procedure previste dai trattati, questa azione comprende una moneta unica, l’euro, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nell’Unione conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza». Quindi il mantenimento della stabilità dei prezzi, e cioè la lotta( preventiva ) all’inflazione, diventa l’obiettivo principale, a cui le stesse «politiche economiche generali» ispirate al «principio di un’economia di mercato aperta» e «in libera concorrenza» devono essere subordinate.
Il comma 3 del medesimo articolo 119 non fa che ribadire gli stessi principi:« Queste azioni degli Stati membri e dell’Unione implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile»( ossia senza uno squilibrio pronunciato tra importazioni ed esportazioni all’interno di un paese, ndt.).
La istituzione europea detentrice del potere di fare le leggi e di attuarle , potere legislativo+potere esecutivo , la Commissione europea , i cui componenti, i commissari alle differenti materie di governo, non sono direttamente eletti dai cittadini europei ma unicamente dai capi di stato e dai primi ministri dei governi nazionali, non fa che seguire questi principi generali e attuarli in modo zelante e rigoroso. La Banca Centrale Europea, che come tutte le banche centrali detiene il monopolio assoluto di creazione, emissione, e distribuzione della moneta unica, l’euro, si attiene al mandato che gli è assegnato dall’articolo 123, comma 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea:
« Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali».
Questo divieto di farsi creditore in ultima istanza degli Stati nazionali o degli enti pubblici di grado via via inferiore dei singoli Stati( regioni, provincie e comuni) viene ribadita all’Articolo 124:« È vietata qualsiasi misura, non basata su considerazioni prudenziali, che offra alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri un accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie».
Precedentemente , il comma 2 dell’articolo 123 , precisava a chi devono andare i crediti a tassi agevolati della Bce ( o tramite acquisto di titoli di Stato o privati – azioni e obbligazioni – o tramite prestiti a interesse a breve o media scadenza) con cui essa immette liquidità nell’economia :« Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati». Dunque gli enti creditizi di proprietà pubblica, le banche a statuto pubblico, là dove ce ne fossero( consistenti in Germania , ridotti al lumicino in Italia) devono ricevere crediti al pari delle banche private.
Ogni Banca centrale del mondo è tenuta a gestire e sorvegliare l’emissione della propria moneta nazionale per evitare che un eccesso di moneta in circolazione in rapporto alla quantità di beni e servizi esistenti in un determinato mercato possa procurare fenomeni d’inflazione( almeno secondo il caso classico di scuola teorizzato dal neoliberismo).
Ma nessuna Banca centrale al mondo, con la cospicua eccezione proprio della Bce , si attiene esclusivamente a tale mandato preventivo dell’inflazione senza contemplare anche la prevenzione del fenomeno opposto ossia la recessione economica portatrice di deflazione monetaria ( rarefazione della circolazione di moneta) e a cascata riduzione degli investimenti, della produzione, dei salari, dei prezzi e infine dei consumi con l’unico segno + , l’aumento della disoccupazione. La doppia ottica determina invece il mandato duale della Federal Reserve statunitense, prevenzione dell’inflazione + concessione di crediti al ministero del tesoro per il sostegno all’occupazione, e analoghi statuti per la Banca centrale d’Inghilterra o per la Banca centrale del Giappone, tutte Banche«dipendenti» dai loro Governi Nazionali , mentre la Bce è indipendente dagli Stati europei ma non dal suo consiglio di amministrazione costituito dalle maggiori banche private.
Inoltre l’articolo 126 stabilisce che :« Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi » . La Commissione Europea sorveglia l’andamento del debito pubblico degli Stati membri e la loro disciplina di bilancio e che vengano contemplati in particolare i seguenti criteri riportati in Protocolli aggiuntivi:1) il rapporto tra deficit pubblico (disavanzo tra entrate e uscite annuali dello Stato ) e Pil( prodotto interno lordo) annuo non superiore al 3% ; 2) il rapporto tra debito pubblico di uno Stato ( il totale dei suoi deficit annui ) e il Pil annuo non superiore al 60%. Questo secondo criterio è visto come meta ideale a cui devono tendere tutti gli Stati membri della Ue , non rientrando pressochè nessuno entro quei limiti, ma differenziandosi per chi vi è più vicino o più lontano.
Questa gerarchia degli obiettivi delle politiche economiche e monetarie viene quindi ribadito dall’articolo 127 del TFUE:« L’obiettivo principale del sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato Sebc, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il Sebc sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea».
Se la lotta alla disoccupazione diventa secondaria rispetto alla stabilità dei prezzi intesa come lotta preventiva all’inflazione, questo obiettivo porta a scartare , come potenzialmente inflazionistiche, politiche attive del lavoro, e cioè politiche di investimenti pubblici nell’economia. La gerarchia stabilita di obbiettivi esige tale rifiuto.
Ulteriori trattati europei di materia economica e monetaria firmati tra il 2011 e il 2012, Six Pack , Mes ( Meccanismo europeo di stabilità detto anche Fondo salva Stati) e il cosiddetto Fiscal compact hanno inasprito le politiche economiche dell’Unione Europea, realizzando politiche di austerity controproducenti, in epoca di grave recessione economica,« procicliche» invece che« anticicliche», con cui ha viaggiato in parallelo una revisione peggiorativa degli stessi criteri e parametri stabiliti a Maastricht: il limite di deficit consentito in situazioni normali non era più fissato al 3 per cento del prodotto interno lordo ma doveva essere pari a zero,e cioè tendere al pareggio di bilancio annuo, mentre per il debito pubblico veniva fissata una soglia di riduzione annua pari al 5 per cento della parte eccedente il 60 per cento del prodotto interno lordo. Misure totalmente irrazionali e irreali rispetto a ciò che il contesto della crisi della Zona Euro esigerebbe.
L’Unione Bancaria europea e il Bailin, nuovo meccanismo di salvataggio di Banche in default, non più affidato al risanamento da parte dello Stato nazionale, ma scaricato sulle spalle degli investitori e clienti di quell’istituto bancario, e in particolare nell’ordine sui suoi azionisti, obbligazionisti e correntisti, ma singolarmente non sui suoi banchieri, i suoi funzionari più alti di grado o sugli organismi di controllo( Banca Italia e Consob), ha completato (per il momento) la legislazione europea , ossia quelle«competenze » di funzionamento dei Trattati europei che sono esentate da qualsiasi interferenza da parte dei principi esposti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Come si è visto si è dimostrata inconsistente la leggenda secondo cui prima dei Trattati europei approvati dal 2011 in poi, ( Six Pack, Mes, Fiscal compact, UBE, Bailin) l’architettura di principi, regole e istituzioni cogenti della Unione europea in materia di Politiche economiche e monetarie, istituzioni a cui agli Stati membri devono assoggettarsi, principi e regole che devono essere seguiti scupolosamente, pena in caso contrario l’attuazione di procedure d’infrazione e relative pesanti sanzioni pecuniarie, fosse compatibile con quella Carta dei diritti fondamentali. Al contrario quest’ultima ha dimostrato di non avere alcun valore cogente di legge.
Il modello costituzionale della Ue si rivela così essere sideralmente lontano, anzi polarmente antitetico a quello della Costituzione della Repubblica democratica italiana. Potremmo definire il modello politico, sociale ed economico sovranazionale europeo una ripresa di un capitalismo ante crisi del 1929, nel quale lo Stato ha un ruolo marginale, che è vincolato dal sistema aureo ed è ispirato alla filosofia del laissez-faire. Forte concorrenza”, “stabilità dei prezzi” e “indipendenza della Banca centrale” dai governi sono i principi sovraordinatiagli altri dai trattati europei . A questi si aggiunge la « denazionalizzazione » della moneta unica denominata euro, che era il sogno vagheggiato dal caposcuola del pensiero liberista Von Hajek, perché per lui la denazionalizzazione della moneta rappresentava il modo per sganciare l’emissione di moneta dai governi, che in tal modo non avrebbero più avuto a disposizione la leva della creazione di moneta da parte della banca centrale per finanziare l’intervento pubblico nell’economia.
Moneta straniera + Banca centrale indipendente+ Commissione europea rappresentano poi l’assurgere del modello liberista alla sua massima configurazione di potere giuridico-politico e cioè la sua«sublimazione » in« ordoliberismo», che fa del liberismo un modello di Stato sovranazionale dotato d’imperio di leggi e procedure che ha nel monopolio del potere economico la sua cogenza.
Se lo confrontiamo con il modello della Costituzione della Repubblica italiana, ci troviamo su una posizione diametralmente opposta. Se vogliamo dare una definizione di che cosa sia la nostra Costituzione , quale sia il modello economico e sociale che essa porta avanti come esito di un lungo processo storico, lo troviamo nelle parole dell’economista statunitense Hyman Minsky:« Il processo per cui un sistema che possiamo caratterizzare come un capitalismo nel quale lo Stato aveva un ruolo marginale, che era vincolato dal sistema aureo ed era ispirato alla filosofia del laissez-faire, fu sostituito da un capitalismo interventista nel quale lo Stato ha un ruolo rilevante e che è reso flessibile grazie all’azione della banca centrale».
Questo modello di«capitalismo interventista » che prevede un ruolo centrale di regolatore dell’economia da parte dello Stato si oppone diametralmente al modello liberista che lascia al mercato il compito di regolare l’attività economica. Il capitalismo interventista previsto nella nostra Costituzione si arricchisce del concetto dinamico di«democrazia progressiva» per il quale il compito della democrazia è quello di promuovere l’eguaglianza e la libertà dei cittadini.
Che cos’è dunque la nostra Costituzione ? E’ lo sforzo da parte dell’Assemblea Costituente di affermare la «democrazia sostanziale » e non meramente formale; poiché la democrazia formale o liberale , come sosteneva il giurista e costituzionalista Mortati,« non è una vera democrazia», la «democrazia o è sociale, e cioè include i diritti sociali, o semplicemente non è». L’uguaglianza sostanziale dei cittadini a cui mira la nostra Costituzione prevede, come magnificamente si esprime il giurista e magistrato Luciano Barra Caracciolo «un progetto di democrazia “necessitata” e cioè l’obbligo da parte dello Stato di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”, etc( articolo 3)».
Ossia, precisa Caracciolo:«Lo Stato deve risolvere il conflitto sociale che viene scatenato all’interno degli ordinamenti di economia capitalistica, per la sua intrinseca visione del mondo, da quella oligarchia ristretta che detiene il controllo dell’economia . I nostri padri costituenti erano perfettamente consapevoli che il centro di gravità del conflitto sociale è il mercato del lavoro. Come si fa a risolvere il conflitto sociale regolando il mercato del lavoro? Garantendo la piena occupazione.
Certamente tale obbiettivo non può essere raggiunto per decreto del governo o per legge parlamentare ma attraverso politiche economiche d’intervento dello Stato, e cioè «politiche keynesiane» come precisò l’economista Federico Caffè, consulente economico di Meuccio Ruini, allora presidente del Gruppo dei 75, coloro che scrissero effettivamente la Costituzione.
Entrambi, Ruini e Caffè, furono anche membri delle due fondamentali commissioni – Commissione Economica per la Costituente e Commissione per la costituente per i problemi del lavoro– che fecero riferimento oltre che a Keynes, a Beveridge ( già ministro degli interni del governo Churchill durante la guerra ) e al suo famoso Rapporto in cui si istituisce il mercato del lavoro non merce, non soggetto esclusivamente al meccanismo della domanda e dell’offerta.
Il conflitto sociale sul mercato del lavoro per gli estensori della nostra Costituzione si risolve innanzitutto, ricorda Caracciolo, « ponendo dei principi concettuali e giuridici quali quelli formulati nei seguenti articoli. L’ articolo 1, ” La Repubblica è fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo….”( intendendo un popolo di lavoratori, qualsivoglia lavoratori senza distinzione tra lavoratori salariati o lavoratori autonomi , di qualsivoglia forma di lavoro purché non fondato sulla rendita finanziaria). L’articolo 3, secondo comma : ” E’ compito della Repubblica ( governo e parlamento, ndt) rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Questa formulazione coincide con la seconda parte dell’articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. E in che modo la costituzione poteva rendere effettivo il diritto al lavoro?Attraverso la costituzione economica, materia del Titolo II della parte prima della Costituzione, Rapporti economici ( art. 35-47).
Caffè confermò che l’obbligo di attivazione della Repubblica si esplicava in questa sezione economica della Costituzione. Si parte dalla tutela del lavoro in ogni sua forma( art. 35), si passa per “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa” ( art.36), o per” L’economia privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”( art.41), e si finisce con” La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; coordina e controlla l’esercizio del credito”( art.47) il che significa che lo Stato deve detenere il potere monetario e di indirizzo dell’economia. Tutta l’attività della Repubblica volta ad affermare il diritto al lavoro, quale fondamento della sovranità popolare , è inderogabile. In questa ottica lo Stato dovrà agire attraverso tutta una serie di strumenti in cui saranno ricalibrati i mezzi ma non ricontestabili i fini , e cioè il perseguimento della piena occupazione, secondo il modello dell’economia keynesiana».
Si è voluto riportare per intero l’argomentazione di Luciano Barra Caracciolo perché illuminante in modo inequivocabile su quale sia la sostanza della nostra Costituzione , cioè una democrazia del lavoro sostanziale, una democrazia fondata innanzitutto sui diritti sociali. A questo punto si palesa in tutta la sua evidenza la distanza siderale che da questo modello presenta quello adottato dai Trattati europei, un modello non più di democrazia ma di oligarchia dei poteri economico-finanziari alleati al progetto economico mercantilista, e cioè di colonizzazione economica degli altri Paesi Membri dell’Unione Europea, da parte della Germania( con il tentativo della Francia, per lo più velleitario, di essere un partner alla pari).
Il tradimento ai danni della nostra Costituzione, quale esautoramento della sovranità dello Stato nazionale a favore di autorità sovranazionali non democratiche, un tradimento che si è tradotto nei termini materiali di sofferenza, di disoccupazione e impoverimento di milioni di persone nel nostro paese a partire in particolare dalla crisi di debito privato del sistema finanziario del 2008, trasformato in crisi del debito pubblico da parte dell’Unione europea dal 2010 in poi, e scaricato così sui bilanci degli Stati membri dell’ Eurozona , è inequivocabile.
Per invertire la rotta ci vorrebbero forze politiche di governo che fossero in grado di assumersi il gravoso compito di fronteggiare questa situazione, e per fare questo ci vorrebbe innanzitutto una conoscenza approfondita di natura economico-giuridica dei problemi esistenti ma anche una corrispondente volontà politica , il che comporterebbe il coraggio di scontrarsi con quei poteri oligarchici che non solo hanno egemonizzato i posti chiave dei nostri« governanti europei », ma che hanno ormai infiltrato anche le fila della nostra classe politica nazionale, trasversalmente all’intero arco delle forze partitiche , da destra a sinistra.
A questo progetto di dominio dell’oligarchia economico-finanziaria, anzi della sua« rivincita» è essenziale il supporto dell ‘opera di«formattazione» delle coscienze dei cittadini, dell’opinione pubblica, da parte di quel«clero» d’ intellettuali e di giornalisti del sistema dei media che se non proprio come il«migliore dei mondi possibili » fa passare il messaggio che è comunque« l’unico mondo possibile» ,che «There is no alternative » , come direbbe Margaret Tatcher. Un progetto economico-politico oligarchico che per la sua piena affermazione oltre che nei fatti politici, economici e giuridici, cosa che sta già avvenendo, deve riuscire a disattivare e a cancellare anche nelle coscienze dei cittadini l’alternativa storicamente esistita di democrazia avanzata del lavoro proposta dalla nostra Costituzione. Chiunque voglia fare proprio con animo sincero lo slogan« attuare la Costituzione » è tenuto a sapere che questi e nessun altro sono i termini della posta in gioco.

BIBLIOGRAFIA

Luciano Barra Caracciolo:

Euro e (o?) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile tra costituzione e trattati europei . Dike giuridica editrice.

La costituzione nella palude. Indagine sui trattati al di sopra di ogni sospetto. Edizioni Imprimatur.

Vladimiro Giacchè:
Costituzione Italiana contro trattati europei. Il conflitto inevitabile. Edizioni imprimatur

Giuseppe Palma:
Il tradimento della costituzione. Mabed – Edizioni Sì.

Marco Mori:
Il tramonto della democrazia. Analisi giuridica della genesi di una dittatura europea. Edizioni Agorà &Co.