Quando c’era la F.L.M. (2)

Intervento di Renzo Tornatore a Novi Ligure, presso il Circolo “Ilva”, il 22 giugno 2022, in occasione della presentazione del libro di Renzo Penna “Il Lavoro come Valore”. Tornatore, della Fim-Cisl, dall’anno 1975 all’’80 è stato l’operatore unico della Lega F.L.M. della zona di Novi

Nel febbraio 1962 mio padre – che faceva parte della Commissione interna della Cgil – fu licenziato dalla “VOSA”. All’Ufficio provinciale del Lavoro venne indotto a dimettersi in cambio di un piccolo risarcimento economico. Deluso per il mancato sostegno avuto dal responsabile del proprio sindacato, rifiutò la proposta e venne licenziato. Come reazione all’ingiustizia subita da mio padre decisi che non mi sarei mai iscritto al sindacato.

Nel 1968 vengo assunto alla “SIVAL” dove si confezionavano borse di pelle. I dipendenti erano 120, in prevalenza donne, e molti apprendisti. A dicembre si tiene una assemblea alla Camera del Lavoro dove viene rinnovata la Commissione Interna e richiesto un incontro alla proprietà che porta come risultato solo un paio di passaggi di categoria. Mentre le esigenze dei lavoratori erano altre: la mancata applicazione del Contratto di lavoro, uno scarso rispetto dell’azienda nei confronti dei lavoratori e condizioni pessime presenti nella sala della refezione e negli spogliatoi. Come reazione con una collega mi recai alla Cisl dove entrambi ci siamo tesserati, ma non abbiamo trovato una adeguata attenzione ai nostri problemi.

Decidemmo allora di fare da soli. Convocammo un’assemblea negli spogliatoi durante la pausa pranzo e, su scheda bianca, vennero eletti tre rappresentanti sindacali. Insieme a Franca Iacono e Paola Milanese anch’io risultai eletto. Avevo 25 anni mentre sia Franca che Paola erano più giovani. Presentammo delle richieste, ma la proprietà rifiutò di riceverci non riconoscendoci come rappresentanti sindacali. Come risposta decidemmo degli scioperi improvvisi ogni volta che i capi rimproveravano con toni aggressivi gli operai, specie i più giovani, o compivano rappresaglie nei confronti dei tre delegati. Dopo diversi giorni di questo tipo di protesta, senza che si ottenessero risultati, decidemmo di fermare la produzione presidiando la portineria. Con la tenda fornitaci dal Comune di Novi ci sistemammo di fronte alla fabbrica, organizzammo i turni sia di giorno che di notte e resistemmo per diverso tempo. Ricordo che alla sera veniva a trovarci un giovane sacerdote, Don Agnes rimaneva a discutere con noi a lungo e da lui ho imparato ad apprezzare le poesie di Prevert. Mentre alla mattina i titolari della vicina latteria ci portavano la colazione e il giornalaio un quotidiano. Sulla nostra vertenza il sindaco Pagella indisse un Consiglio comunale aperto che venne criticato dall’opposizione, ma che al termine decise lo stanziamento di un milione per sostenere la nostra lotta. Ricordo che venne a informarsi sulle ragioni della nostra lotta anche il sindacalista Vittorio Bellotti il quale, in seguito, risulterà decisivo per il mio percorso nel sindacato.

Nel luglio 1969, dopo diversi giorni di presidio, si raggiunse un accordo siglato presso l’Ufficio Provinciale del lavoro di Alessandria. Questo prevedeva l’adeguamento dei salari, la regolarizzazione delle categorie in base al Contratto e il riadattamento degli spogliatoi e della sala refezione. Importante in tema di diritti fu la conquista dell’assemblea in fabbrica durante l’orario di lavoro, un aspetto che la legge dello Statuto dei diritti dei lavoratori avrebbe previsto solo nel maggio 1970.

Il 1970 è anche l’anno nel quale inizio a lavorare all’ “Italsider”. Dopo qualche mese dall’ingresso in fabbrica, nell’elezione dei delegati che dovevano affiancare i rappresentanti della vecchia Commissione Interna, vengo eletto delegato nel reparto ricottura.

Nell’ottobre del 1972 ricordo di aver partecipato alla manifestazione decisa dalla F.L.M. a Reggio Calabria per liberare la città dai “boia chi molla”. Il nostro treno partito da Genova fu però fermato a Cisterna di Latina per l’allarme dovuto alla presenza di una bomba. Arrivati tardi a Reggio fummo così costretti a rimanere nella piazza della stazione e non potemmo partecipare alla manifestazione.

Nel Congresso della FIM – CISL del 1973 venni eletto nella segreteria provinciale e a Novi, insieme ad Acri, inaugurammo la prima sede della F.L.M. In seguito, su indicazione di Vittorio Bellotti e per fare esperienza, fui mandato, prima nelle zone di Casale ed Alessandria e poi in quella di Tortona.

Nel 1975 Acri diede le dimissioni e fui nominato operatore unico F.L.M. della zona di Novi Ligure. A Tortona subentrò al mio posto Michele Ventura.

In quegli anni nel territorio del novese era insediato il maggior numero di aziende delle Partecipazioni Statali facenti parte della provincia: “Italsider” con 2.400 dipendenti, “Morteo Soprefin” con 350, “Fabbricazioni Nucleari” di Bosco Marengo con 250. Inoltre la zona comprendeva ben 44 piccole e medie aziende per un totale di 4.000 addetti. La tenuta delle assemblee e le trattative aziendali richiedevano molto impegno; basti pensare che molte fabbriche lavoravano a ciclo continuo e, di conseguenza, ogni ora di assemblea doveva essere moltiplicata per quattro. Quindi dovetti fare ricorso al contributo di un formidabile gruppo di delegati, molto preparati e unitari che con passione collaborarono alla sindacalizzazione delle aziende metal meccaniche della zona.

Per fornire un servizio aggiuntivo ai lavoratori istituimmo anche la figura dell’operatore unitario del Patronato e per assolvere a questo compito Pino Robbiano fu distaccato dall’ “Italsider”. Robbiano, sia nella sua azienda che partecipando alle assemblee delle altre fabbriche, raccoglieva le domande e, secondo le preferenze dei lavoratori, destinava le pratiche ai diversi patronati. Quando i lavoratori non indicavano preferenze le pratiche venivano equamente suddivise tra i tre patronati delle confederazioni.

La prima grave crisi aziendale che dovetti seguire fu quella della “Carlevaro e Cattaneo”, una fabbrica che produceva riduttori di velocità per diverse macchine utensili. L’azienda fu prima messa in amministrazione controllata e, in seguito, dichiarata fallita dal tribunale. Grazie all’aiuto di un giovane avvocato di Novi, Rosamaria Canfora, e al sostegno dei Consigli di fabbrica della zona, riuscimmo a recuperare sia gli arretrati degli stipendi che le liquidazioni. Inoltre tutti i lavoratori della “Carlevaro” furono ricollocati in aziende della zona.

Nei contratti nazionali, 1973-’76, si ottennero numerose e importanti conquiste, come le “150 ore” per il Diritto allo studio e miglioramenti per la tutela della salute e il risanamento degli ambienti di lavoro (fonderie), che applicammo con la contrattazione aziendale, integrandole con il salario sociale (Rianimazione e villa Luciani,…).

Frutto dell’impegno e delle lotte del sindacato per maggiori investimenti nel mezzogiorno avrebbe dovuto essere realizzato il 5° Centro siderurgico di Gioia Tauro, ma, nel 1975, il governo Andreotti si limitò a posare la prima pietra… scordandosi di posizionare la seconda!

La seconda metà degli anni ’70 è stata caratterizzata da profonde ristrutturazioni industriali, ma, come sindacato, abbiamo dovuto fare i conti anche con il fenomeno del terrorismo. Ricordo, in particolare, la notizia, nel marzo 1978, del rapimento di Aldo Moro e la decisione di presidiare le sedi sindacali e, nel gennaio 1979, quella dell’uccisione, da parte delle brigare rosse, dell’operaio Guido Rossa, membro del Consiglio di fabbrica “Italsider” di Genova. Come risposta indicemmo nell’immediato grandi assemblee in tutte le aziende del novese.

Per conquistare il Contratto nazionale dei metalmeccanici del 1979 furono necessarie ben 179 ore di sciopero e la messa in atto da parte dei lavoratori di forme di lotta molto forti, come il blocco delle merci e blocchi stradali. Per il blocco alla stazione di Arquata Scrivia fui sottoposto ad un processo nei tribunali di Alessandria e Torino. Mentre ad Alessandria venni assolto, a Torino fu richiesta una condanna di sei anni…ma grazie al condono risultai prosciolto.

La fase finale del Contratto del ’79 evidenziò prime difficoltà unitarie anche nella F.L.M. e nei mesi seguenti una serie di fatti mi convinsero che l’esperienza unitaria della F.L.M. stava entrando in crisi. Una situazione che io, anche per l’esperienza unitaria vissuta nella “SIVAL” mi risultava difficile da accettare e vivere. Così, per ricercare una soluzione, ne parlai con il sindaco Armando Pagella che, da persona saggia quale era, mi consigliò di candidarmi al Consiglio comunale di Novi nelle liste del PCI. Per l’incompatibilità presente tra cariche sindacali e politiche fui costretto a dare le dimissioni nell’aprile 1980 e, d’intesa con il segretario provinciale della F.L.M. Vittorio Bellotti, mio amico e mentore, decidemmo di chiedere a Elio Bricola, delegato dell’ “Italsider”, di sostituirmi nella direzione della zona F.L.M. di Novi.

Ricordo ancora con tristezza le dichiarazioni di alcuni dirigenti sindacali di allora i quali sostenevano l’utilità della divisione, perché, affermavano, senza il “prezzo” che si pagava per l’unità i lavoratori sarebbero stati più forti.

I risultati di tanti anni di mancata unità ci hanno, senza alcun dubbio, dimostrato quanto quelle affermazioni fossero sbagliate e come, senza o con una debole unità tutto il mondo del lavoro risulti più debole.

Al termine di queste miei ricordi e riflessioni sull’esperienza della F.L.M. voglio

riportare la struggente lettera che l’amico Vittorio Bellotti mi inviò nel novembre 1985. In essa Vittorio, con la consueta lucidità elencava gli errori di chi aveva voluto la fine della F.L.M.

Caro Renzo

Ormai fuori dalle vere lotte della classe operaia, ma con molte “memorie storiche”. Ho partecipato all’ultimo direttivo della FIM-CISL, 21-11-’85- dove noi assieme tempo fa, siamo stati protagonisti e responsabili.

Sentendo la relazione di Luciano, dove annunciava al direttivo la fine della F.L.M. in comune accordo con CGIL-CISL-UIL, fino a marzo ’86 si fanno le scelte di sigla, dopo di che chi c’è, c’è, quelli che non si fanno timbrare come le mucche nel West, perché possessori di dignità e testardi nella speranza di cambiamento “nobiltà e arte dell’essere” si prendono il malloppo del fondo unitario e sarà diviso per 3, così vogliono i bilanci separati e così facendo si tagliano alla radice i sentimenti profondi dell’unità.

Renzo caro, ti scrivo perché mentre Luciano parlava mi sei tornato in mente. I nostri dialoghi, le nostre lotte, le nostre speranze per un mondo umanizzato capace d’amare.

In mente anche nei contrasti come la lite nella sede UIL sulle Zone e la partecipazione delle genti. Come a Vico Equense dove tutte e 2 eravamo ormai emarginati dagli “intellettuali” Torinesi (anticipatori della disfatta).

In mente l’acume politico, cioè l’aver capito in tempo l’inizio della fine dell’esperienza FLM.

Ti ricordi la nostra posizione nella famosa segreteria FLM di Lu Monferrato e i furbi della UIL uniti, asserivano che la scelta confederale rafforzava il mondo del lavoro, ci hanno messo in minoranza confondevano i lampioni con i lamponi, non s’avvedevano che perdevamo assieme alla unità, la speranza di essere con i lavoratori protagonisti di cambiamento. Si è abdicato ai partiti e alle ideologie, negando una grande esperienza autonoma che era, ed è stata, un umano tentativo di un gruppo dirigente legato seriamente alla base nelle aziende (in mezzo fra culture arcaiche) di applicazione della psicanalisi umanistica della teoria Marxiana a livello reale nelle fabbriche e nel nostro territorio, dopo “Lu”ci siamo persi, pazienza!

E’ un’esperienza che 100 saggi o 100 testimoni non riuscirebbero a scrivere tanto è stata vissuta e vera. Pazienza, ha vinto non la “verità”, ma la “opportunità”.

Dal “Capitalismo” non si esce, se non si cambiano criteri e modi di accumulazione, non si esce rivendicando capacità di consumo, anzi più consumi più il sistema si rafforza!

Ti ricordi le incomprensioni sullo 0,5%? Chi gestisce il processo ha poca importanza la ideologia che si richiama.

Il “consumismo” realizzato in occidente, oltre che sa disgregare e disumanizzare le genti, sta avviandosi rapidamente e catastroficamente sia in Cina che all’Est. Anche noi nel nostro piccolo siamo stati sopraffatti dalle catene dell’”Oscurantismo” e chi come noi ha “osato” ha pagato, ed il motivo oltre all’amicizia perché ti scrivo, tu per l’ideale hai pagato e continui a donare con amore agli ultimi. Tu meglio di me sai che la verità è liberante nella misura in cui la ricerchi, e non la possiedi, quindi la mia non è verità, ma sono convinto che se insieme “unitariamente” avessimo affrontato più seriamente nel movimento i problemi dell’accumulazione, ora saremmo in una fase più avanzata nella speranza di essere utili al mondo.

Con sentimento e gratitudine

Vittorio Bellotti

Concludo essendo grato all’amico e compagno Penna per avermi fatto rivivere una delle fasi più intense, emozionanti e formative della mia vita.

Ricordare l’esperienza unitaria della F.L.M. non è un semplice rimpianto per una storia finita, ma la speranza che questo libro sia un auspicio per un futuro migliore con più diritti per tutti i lavoratori.

Grazie Renzo Penna.

Novi Ligure, 22 giugno 2022

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