Com’è il “tempo”?….contato.

Vogliamo cominciare dall’inizio? La prima volta che ci rendemmo veramente conto che qualcosa stava cambiando fu nel 1966, un po’ in tutta Italia, ma soprattutto a Firenze. Per l’eco che ebbe un fatto del genere a livello mondiale. Per le “1400” Fiat di allora trasportate in Via del Proconsolo come tappi di sughero,  per i manoscritti e le opere d’arte danneggiate o perse per sempre. Per le molte vite umane perse…e non per una guerra o una rapina. Si capì, in quel caso, che il “mondo di prima” era finito e ne stava cominciando uno nuovo. Se migliore o peggiore dipendeva (e dipende)solo da noi.

A ricordarci per l’ennesima volta cosa ci sta succedendo sono ben 11mila ricercatori di 153 Paesi, tra i quali circa 250 italiani. Alla base di tale posizione, l’analisi di 40 anni di dati scientifici. Più o meno dalla conclusione della “Commissione De  Marchi” che prese le mosse proprio dalla maledetta alluvione di Firenze.. I primi firmatari della “dichiarazione di emergenza climatica” sono Thomas Newsome, dell’Università australiana di Sydney (1), William Ripple e Christopher Wolf (2) , dell’Università statale americana dell’Oregon, Phoebe Barnard, dell’Università sudafricana di Cape Town e William Moomaw, dell’Università americana Tuft. La prima riguarda il settore energetico. Secondo gli scienziati, è essenziale sostituire i combustibili fossili con fonti rinnovabili a basse emissioni, lasciare sotto terra le rimanenti scorte di gas e petrolio, eliminare i sussidi alle compagnie petrolifere e imporre tasse che scoraggino l’utilizzo degli idrocarburi.

Come seconda misura, i ricercatori raccomandano di ridurre drasticamente e rapidamente le emissioni di metano, idro-fluoro-carburi, polveri sottili e altri inquinanti climatici di cui è accertata la nocività per l’ecosistema Terra e per la salute; la terza raccomandazione riguarda la natura. Gli esperti suggeriscono di ripristinare e di proteggere ecosistemi quali foreste, zone umide, praterie e torbiere, essenziali per catturare l’anidride carbonica presente a dismisura in atmosfera. Come quarto punto, i ricercatori sottolineano l’urgenza di passare a una dieta più equilibrata e a base di vegetali, riducendo le carni rosse. Cambiare le abitudini alimentari permetterebbe di diminuire sensibilmente le emissioni di metano e di altri gas serra che comportano l’inevitabile surriscaldamento terrestre; il quinto consiglio è legato all’economia. Secondo gli esperti, è necessario convertirsi quanto prima a un modello economico carbon-free e sostenibile, che rispetti le risorse della biosfera; la sesta raccomandazione si focalizza sulla crescita della popolazione. Per gli scienziati è importante frenare la tendenza, applicando soluzioni che assicurino giustizia sociale ed economica.

Molto semplice, diretto, quasi da “cartello elettorale” prossimo venturo. Ma, attenzione, c’ è  un costo da pagare. Ed il costo è in termini di consensi e di rappresentatività. Chi si assumerà la responsabilità di convincere (e forse costringere) milioni di persone a non usare più sistemi alimentati da combustibili fossili? Bisognerà farlo…ma come? Una buona mano potrebbe darla l’educazione ambientale, intesa in senso lato, cioè continuando a ricordare – ovunque, su tutti i media e i mezzi di comunicazione – che non c’è alternativa a questa strada e che potremo uscirne solo iniziando da subito un’opera di riconversione. Difficile? Proviamoci. Non è tanto il mantra della “decrescita felice” quanto un duro e secco appello a non andare oltre… Il periodo della “decrescita felice” è passato da mo’. Purtroppo.  Forse meno complessa risulterebbe l’operazione riferita alla riforestazione, con un complessivo recupero delle aree ora diboscate che, con politiche di piantumazione adeguate, e nemmeno molto costose, potrebbero offrire concrete risposte all’aumento inesorabile della CO2 in atmosfera. Anche la riconversione verso abitudini alimentari meno dispendiose, in termini di dispersione di metano in atmosfera e di terreni destinati a produzione di concimi, è tutto sommato non impossibile. Basta crederci e perseguire in modo corretto l’obiettivo. Più difficile la lotta per una riconversione vera dei sistemi di produzione all’origine, della concezione stessa di oggetti e materiali, d’ora in poi obbligatoriamente già costruiti pensando al riciclo successivo. L mondo industriale cambierà solo quando saranno pronte soluzioni alternative che gestiranno comunque loro con i soliti “cartelli”, lasciando ben poco spazio all’iniziativa “dal basso”. Stesso discorso per le plastiche e gli imballaggi. L’intervento deve essere drastico e generalizzato. Non delegato ai singoli Stati ma condiviso come un principio a prescindere… come l’integrità della persona di qualsiasi razza, religione o sesso. O l’acquisizione della parità vera fra uomo e donna. Generale acquisizione di percorsi e abitudini che saranno – obbligatoriamente – normalità e che diventeranno – col tempo – precondizioni logiche di vita e convivenza. Ci si arriverà, ci si dovrà arrivare. Pena l’estinzione (o il mutamento in non si sa cosa) del genere umano. Sarebbe una risposta, ma non la migliore possibile, alla considerazione n. 6. D’altra parte  sull’argomento “sovraffollamento”,  già il “Club di Roma” con il prof. Peccei a metà degli anni Sessanta dello scorso secolo, ci fece presente il problema dell’aumento esponenziale della popolazione, implicitamente richiedendo interventi adeguati di dissuasione e/o di redistribuzione, senza particolare successo, per la verità. Ora i nodi sono venuti tutti al pettine. E urge un intervento coordinato e condiviso. Peccato che metropoli come Seul, Bangkok, Nuova Dehli, Mumbai, Teheran, Città del Messico, Abidjan, Lagos, stiano rifacendo tutto il percorso già fatto in Europa occidentale prima e negli Stati Uniti poi. Più macchine, più traffico privato, più inquinamento da fabbriche sempre più grandi, più energia richiesta per le necessità più varie. E, d’altra parte, chi si presenterebbe a loro con la proposta/diktat “inquinate meno, ne va della salute del pianeta”?… Il minimo da attendersi è una sonora pernacchia. E per il momento a questo siamo, agli sberleffi, ai sospiri e poco più. Ce ne vorrà di tempo per cambiare… il problema è che il tempo… non ce l’abbiamo più.

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