Cose da migliorare

Mi sono espresso più volte sulle cose da migliorare in questa città. Più volte perché, purtroppo, le cose che avrebbero bisogno di un miglioramento sono tante, troppe: la raccolta dei rifiuti, i trasporti urbani, il verde pubblico, gli accessi pedonali, la stessa definizione di “centro cittadino” (vedi il quartiere Cristo), la circolazione stradale e via circolando.

Una cosa, però, devo sempre premettere: non è colpa precipua di questa amministrazione comunale né delle altre che l’hanno preceduta. Assolutamente. La questione ormai dura da molti anni e coinvolge non solo le amministrazioni ma anche tutti gli abitanti di questa città. Lo si vedrà dall’argomento di cui voglio parlare oggi e che definirei come “l’assetto culturale” di Alessandria. In altre parole, ammesso che gli alessandrini riconoscano un assetto culturale cittadino, si tratta di verificare come gli spazi qui da noi organizzati per favorire la frequentazione e la pratica della cultura, del bello e dell’antico siano curati e offerti a chi li vuole praticare fra noi o anche a chi volesse farlo provenendo da fuori città

Questi sono argomenti che mi appassionano molto per cui credo che alla fine mi ci soffermerò un po’ più del dovuto. Insomma, finirò per farla un tantino lunga, chiedendo perdono in anticipo però.

Cominciamo con un contenitore culturale notissimo fra noi: la Cittadella. Da quando l’esercito ci ha passato la proprietà, la Cittadella è diventata spazio per molti frequentatori e ha dato spazio a molti dibattiti sul suo futuro. E’ stato detto di tutto, persino che poteva diventare una nuova Disney World. Insomma un grandioso parco dei divertimenti con tanto di parcheggi, ristorazione e servizi vari. Nel frattempo, mentre noi parliamo, la Cittadella perde qualche colpo qui e là, dovuto alla poca manutenzione, all’ailanto che esce dai tetti, all’acqua stagna che si ferma intorno ai bastioni. Si sono anche fermati i finanziamenti. D’altronde, si sa: la Cittadella è impresa troppo grande per le finanze di un sistema pubblico malmesso come il nostro: Paese e città.

Veniamo, allora, a uno spazio e a un intervento che sembrano molto più facili. Se vi recate nella zona dove era ospitato il vecchio ospedale militare, angolo via Cavour via XXIV Maggio, da via XXIV Maggio per vedere qualcosa dovreste prendere d’assalto il muro di cinta o abbattere il portone, Da via Cavour potrete inoltrarvi tra l’erba incolta di un giardino intitolato a Michele Pittaluga, dribblare un cartello che concede l’accesso ai carabinieri, superare un gruppetto di carabinieri pensionati che giocano a carte e, alla fine,  potrete intravedere uno scorcio dell’antica chiesa di San Francesco. Dico antica perché è uno dei più vecchi, se non il più vecchio monumento cittadino, visto che la tradizione attribuisce l’inizio dei lavori per il complesso cui la chiesa appartiene addirittura a San Francesco nella visita che fece ad Alessandria: 1210, dice il Ghilini, 1220 dice il Lumelli.

“Scorcio dell’antica chiesa”, dico io che ho fatto la prova, perché sarebbe impossibile inoltrarsi: l’edificio è pericolante. Già. Pare che la costruzione di un voltone e poi di un cavedio abbiano destabilizzato le strutture murarie, rendendole pericolanti.

Fausto Bima, nel suo intervento a un congresso di architettura tenutosi nel 1957, ebbe a dire che se il complesso fosse stato restaurato Alessandria ne avrebbe tratto valore e pregio. Intanto, la chiesa di San Francesco è in attesa da quando si costruì il voltone, circa 200 anni fa. E ancora attende.

San Giacomo della Vittoria, invece, attende gente che la renda aperta al pubblico. Da un cartello appeso alla porta d’accesso potrete leggere che la chiesa si conquistò fama nel lontano 25 luglio 1391, giorno di San Giacomo. Gli Alessandrini e le truppe viscontee, agli ordini del condottiero veronese Jacopo Dal Verme, sconfissero l’esercito francese guidato da Giovanni III d’Armagnac che aveva assalito la città. Il bottino dei riscatti e delle cose di pregio rinvenute fra i prigionieri venne impiegato per la costruzione (o rifacimento) della chiesa.

Sarebbe una splendida occasione per rammendare anche San Giacomo della Vittoria intorno al tessuto della storia cittadina. Ma a chi di noi interessa, poi? Chissà.

La stessa cosa avviene con il Tinaio degli Umiliati. Per chi non lo sapesse, le confraternite Umiliate nascono nel medesimo ambiente di aggregazione religiosa pauperistica-evangelica che si diffonde dall’area francese a quella Padana, come i Catari, i Valdesi, i Patarini. Sarebbe troppo lungo seguire qui le loro vicende interne e quelle originate dai rapporti con la chiesa cattolica, altalenanti e comunque sempre tesi. Per i fini di questo lavoro basterà dire che gli Umiliati giungono in area alessandrina nel 1189, prima occupando la chiesa di San Michele nel quartiere di Bergoglio e successivamente quella di San Giovanni del Cappuccio, oggi a noi nota come chiesa di San Rocco. Ed è proprio accanto a San Rocco che troviamo il Tinaio degli Umiliati, cioè il loro lavatoio. Sì, perché l’ordine degli Umiliati era famoso per il panno ottenuto trattando la lana nell’acqua dei loro lavatoi – da noi l’acqua del Tanaro – e poi tingendola per venderla su tutte le piazze padane.

Una bella storia, da raccontare a eventuali turisti davanti al Tinaio. Già, ma arrivare lì è reso praticamente impossibile dalle difficoltà di accesso. Il Tinaio, infatti, sta praticamente racchiuso fra due casamenti costruiti nel ‘900: uno sbarra l’accesso da via Lumelli, l’altro dalla parte opposta, accanto a San Rocco. Quindi, o avete amici a cui suonare il campanello o scordatevi storia e Tinaio.

Peccato.

E proseguiamo, raccontando due brevi vicende relative ad altrettante, piccole e poco conosciute biblioteche cittadine.

Nel 1543 nasce l’Accademia degli Immobili, nome strano in sé, originato da una reazione alle teorie copernicane che sostenevano come la terra girasse intorno al sole e non – appunto – restasse immobile nello spazio.

In tempi più nuovi, il 27 marzo 1885, nasce al posto dell’Accademia degli Immobili la Società di Storia Arte e Archeologia. Sotto quel nome, la Società edita la Rivista di Storia Arte e Archeologia a partire dal 1892. Le pubblicazioni continuano tuttora, raccolte nella sede al pianoterra del palazzo messo all’angolo fra via Cavour, via Gagliaudo e via Parma, con accesso dal voltone delle scale.

Peccato che la porta su via Gagliaudo e quella che dà sul cortile del liceo musicale che sta in via Parma siano entrambe quasi sempre chiuse. D’altronde, è spesso chiusa anche la porta per accedere alla Società perché i locali sono presidiati dal solo Mario Ferri, tenace segretario che oggi riesce a fare quanto gli permette il progredire dell’età. Ci vorrebbero rincalzi, magari giovani, che non ci sono.

Capita la medesima cosa anche alla biblioteca del convento dei padri cappuccini in via San Francesco.

Diminuiscono le vocazioni e in convento si aggirano pochi frati, con la barba bianca. I francescani suddividono il territorio in province. E’ così che, per mancanza di ricambi, la provincia alessandrina è stata assimilata da quella torinese. Anche la biblioteca, che sta al piano alto del convento, chiusa, attende di essere trasferita nel nuovo capoluogo. Il convento? Mah!!! I costi per mantenerlo devono essere ingenti. Meno male che si trova ancora gente disponibile a far Gelindo a Natale. In questo modo si coprono almeno in parte le spese.

Concludiamo infine con due esempi positivi.

Dopo la ristrutturazione del complesso della biblioteca civica, voluta dal sindaco Scagni agli inizi di questo XXI secolo, l’edificio è stato ristrutturato in modo razionale: sale di consultazione; Internet disponibile per le ricerche sui cataloghi; possibilità di prestito interbibliotecario, sale per i bambini, una saletta al piano basso, dove è possibile tenere conferenze, dibattiti e incontri con l’autore.

Per anni, però, la realizzazione ha avuto una grave pecca, originata dalla necessità di dislocare centinaia di libri che non era possibile ricollocare nella nuova sede. Di qui, i tempi si allungavano a dismisura per soddisfare chiunque richiedesse di poter consultare quei volumi perchè gli addetti dovevano andarci di persona, frugare nei pacchi e scoprire, magari, che l’umidità aveva compromesso copertine e interni. Per di più, dopo che la biblioteca aveva potuto fruire di un’equipe di personale ben formato e informato, negli anni della crisi tutte queste possibilità cadono.

Ora, invece, la brava direttrice Patrizia Bigi ci dice che – dandosi da fare, naturalmente – i libri sono stati rientrati tutti in sede, il problema della qualità e quantità degli interventi del personale è stato in parte superato affidandone la gestione all’azienda multiservizi “Costruire insieme”, i lavori di manutenzione richiesti cominciano a vedersi. Insomma, va da benino a bene.

Va bene senz’altro anche l’esposizione delle 15 tavole, un ciclo di affreschi denominato “Le stanze di Artù”. Il suo committente e – probabilmente – ispiratore, è l’alessandrino Andreino Trotti, condottiero di ventura al soldo del marchese Gian Galeazzo Visconti e partecipante alla battaglia di San Giacomo della Vittoria, combattuta nel 1391 come abbiamo già ricordato prima. Dopo il trionfo, Gian Galeazzo Visconti lo ricompensa lautamente e, con il denaro ottenuto, Andreino può acquistare una torre a Frugarolo, quella detta di San Pio V, restaurandola e alzandola di un piano. Poi chiama a sé un artista proveniente dai cantieri viscontei di Pavia e gli commissiona l’esecuzione dell’opera.

La fonte letteraria è quella del celebre romanzo “Lancelot du Lac”, il più famoso dell’intero ciclo cavalleresco dedicato alla saga di re Artù. Lancillotto si riconosce dalla sigla “L” dipinta accanto alla sua figura; Galahad veste con il cappello e porta la corta barbetta bionda di moda a quel tempo; Ginevra ha una treccia bionda sciolta mentre le scende dietro, lungo il vestito.

Gli affreschi devono essere stato conclusi prima del 1402, data in cui Andreino Trotti muore e muore anche Gian Galeazzo Visconti.

La sala nella torre, ridotta in condizioni pietose, viene ritrovata nel 1971. Con un eccezionale lavoro di scavo e di restauro, gli affreschi vengono ripresentati al pubblico in una mostra del 1999. Da allora, chiunque può rimirarli. Basta andare in via Machiavelli, entrare nel museo-pinacoteca e pagare il biglietto di tre euro che consente l’accesso. Rispetto a questa cifra modesta, sono previste comunque molte agevolazioni: l’ingresso è gratuito per i giovani con meno di 12 anni e per i disabili e i loro accompagnatori; il prezzo di 3 euro scende a 2 per gli ultrasessantacinquenni; ci sono agevolazioni anche per comitive o visite di classi accompagnate dai professori.

L’orario di apertura va dalle 15.00 alle 19.00 del sabato e della domenica. Ottimo per attirare turisti locali e – si spera – anche da un po’ più in là.

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