Crisi di sistema e compiti della sinistra

  1. In campagna elettorale non pochi esprimevano la convinzione che il “Rosatellum” non avrebbe consentito di avere un vincitore e che, di conseguenza, ci sarebbe stata subito una situazione di grave incertezza e crisi di governabilità. Tale convinzione- rivelatasi del tutto errata- era dovuta al persistente limite di cultura politica di ritenere determinanti fattori tecnici – di tecnica istituzionale ed elettorale- e non quelli politico-sociali. Il risultato del 4 marzo, ha evidenziato sì una crisi profonda ma non della governabilità, bensì della rappresentatività sociale della democrazia.

Davvero il senso e il problema della competizione del 4 marzo, potevano essere ridotti alla questione dell’assenza di un vincitore?

 Da tre decenni stiamo andando alla ricerca di soluzioni tecniche nell’illusione che la tecnica avrebbe risolto d’incanto i problemi della nostra vita pubblica , e facciamo fatica a capire che la crisi non riguarda l’inadeguatezza delle tecniche formali , ma la capacità di rappresentanza sociale della nostra Democrazia.

  1. Il 4 marzo hanno vinto due forze sovversive che stanno dando l’assalto alla Costituzione per distruggerla. Basti pensare, per far qualche esempio :
  • al ritrovato illiberale del mandato imperativo (contro l’art. 67) e alla conseguente privatizzazione della rappresentanza politica;
  • alle misure proposte contro la progressività del regime fiscale (contro l’art. 53)
  • alla proposta di misure contro la coesione territoriale e contro la solidarietà sociale;
  • all’ indebolimento dei diritti individuali (ecc..)
  • Si tratta di forze che alterano la forma del governo parlamentare consegnando lo Stato nelle mani di incapaci alle prime armi. Il grande Hans Kelsen diceva che il governo dello Stato richiede precise capacità e una lunga educazione, proprio perché << l’educazione alla democrazia diviene una delle principali esigenze della democrazia stessa >> . La demagogia, invece, non ha bisogno di statisti, ma di semplici ‘portavoce’ .

 

  1. La demagogia dei 5S e della Lega ha distrutto la politica. Certo, lo ha fatto anche col sostegno e l’opera della grande borghesia legata alla grande informazione: si pensi all’assillante campagna contro la “casta” e a favore di inesistenti virtù di una società civile ritenuta capace di neutralizzare le “nefandezze” della politica.                                                                                                                Nella sua relazione del 12 maggio scorso, Roberto Speranza – giustamente allarmato- ha detto che bisognava fare di tutto per evitare la saldatura tra M5S e Lega. Invece Renzi – il segretario politici più sconfitto del pianeta- ha voluto assumere una posizione aventiniana e nella fase nascente del governo Conte non ha nascosto una certa euforia. E’ chiaro che il suo calcolo miserabile è stato quello di scegliere il “ Tanto peggio, tanto meglio” nell’illusione che ciò lo avrebbe riportato il sella, reso di nuovo protagonista.

 Renzi riduce tutto a tattica , a schermaglia : la sua concezione della politica lo rende incapace di cogliere la portata, enorme ,dell’impegno che ci attende.

  • Innanzitutto, bisogna capire fino in fondo perché M5S e Lega hanno avuto tanti voti e da dove essi vengono. Da alcune analisi dei flussi elettorali è risultato che 5S e Lega sono stati votati:
  • dal 54% dei dipendenti privati;
  • dal 61% degli studenti;
  • dal 58% dei lavoratori precari;
  • dal 66% dei disoccupati

Ragionando per grandi aree geografiche, si può dire che il Sud ha votato 5Stelle, il Nord Lega e il Centro entrambi.

 

  1. Come mai si è potuto verificare un risultati del genere? Come mai forze politiche con programmi elettorali tra loro incompatibili, addirittura agli antipodi (una chiede più Stato, l’altra meno Stato se non proprio un suo ruolo residuale ), sono state votate dalla maggioranza dell’elettorato?

La risposta non è complicata : sono state votate per l’assenza di una sinistra credibile; per una sinistra senza proposta; per gli errori della sinistra.

Se la Lega vince con un programma conservatore razzista-securitario, i pentastellati vincono meglio proprio per la loro reazione alla Lega e per aver saputo esprimere ed intercettare una volontà larga, che veniva dal Paese e dal Sud in particolare, di cambiamento e non di conservazione . Hanno saputo essere credibili come alternativa all’antirenzismo diffuso. L’elettore è fuggito dal PD ed ha trovato nei soli 5Stelle il rifugio che avrebbero dovuto rappresentare le formazioni politiche presenti nella lista “Liberi e Uguali” .

     Questa lista – e in particolare “Articolo Uno”- ha sbagliato quasi del tutto la campagna elettorale, a cominciare dal nome che non indica un’identità né dà l’idea di una direzione di marcia precisa.

Anziché “dare addosso” esplicitamente al PD – mettendone in luce i limiti macroscopici nell’azione di governo e nelle scelte politiche,  assecondando la “ripulsa” che saliva dal Paese contro questo partito ritenuto, non a torto, l’autore determinante delle vergognose misure contro il lavoro non schiavista- , con Grasso e Boldrini è sembrata più realista del re e ha posto non pochi temi e questioni che non interessavano per nulla ai molti elettori delusi. E’ sembrata muoversi interamente all’interno della vecchia politica e ha parlato a vuoto di governo di scopo, del governo del presidente, di ricostruzione di un centrosinistra del quale non importava niente a nessuno.

            Proprio ad un elettorato che non vedeva l’ora  di affossare il PD con tutte le sue componenti , LeU ha prospettato , con molta sprovvedutezza, un suo eventuale successo come un’ opportunità anche per le minoranze Dem di pesare di più nella loro battaglia interna, rendendo così assai meno convincente e chiare le ragioni della scissione.

-Qualcuno, a parziale giustificazione, addebita la sconfitta a regolarità storiche che pure ci sono, ma che non possono essere ritenute decisive e che non aiutano a cogliere le ragioni specifiche di ogni singolo Paese.

            Naturalmente, è fondato il riferimento alla caduta del muro di Berlino, al crollo dell’Unione Sovietica, alla fine del comunismo per dire poi che tutto ciò ha rafforzato nell’intero Occidente l’egemonia del capitalismo, il dominio del mercato, una globalizzazione acritica e apologetica dell’ esistente. Che ha, di conseguenza, fortemente indebolito i capisaldi della cultura e della politica della sinistra. E’ vero anche che l’impetuosa rivoluzione neoconservatrice rappresentata da Donald Reagan e Margareth Thatcher ha contaminato la stessa cultura e la stessa politica della sinistra, portandola a teorizzare una TERZA VIA rivelatasi del tutto errata ad una verifica storica e causa di un progressivo indebolimento del movimento di sinistra dell’Europa occidentale. AXEL HONNETH, direttore del prestigioso “Istituto di Ricerche Sociali” di Francoforte, afferma senza esitazione che  <<le riforme del Labour Party di Blair e della SPD di Scheder sono state avvertite come un tradimento di conquiste sociali ottenute in decenni di lotte>>.

  1. C’è da chiedersi però: perché solo in Italia la resa della sinistra alla cultura della destra e la sua sconfitta politica sono state totali e clamorosamente rapide? Ormai la sinistra è come se non esistesse. In più di tre mesi dalle elezioni, e nonostante quello che in questo lasso di tempo è successo, non ha detto una parola, non ha fornito nessuna lettura organica dei fatti. Mai nella storia del Paese, dal dopoguerra in poi, la sinistra è stata tanto debole e inutile.
  • E’ chiaro che tutto questo non si è verificato per caso. La sconfitta della sinistra -culturale prima che politica- viene da lontano. Si potrebbe addirittura dire che in tutte le fasi di svolta, la sinistra ha iniziato un’ opera di demolizione dei capisaldi della sua tradizione poi portata a compimento dalla destra. La riduzione della democrazia a mera procedura, a sola tecnica istituzionale, dei partiti a semplici macchine elettorali e per l’investitura dei leader; della politica a partecipazione virtuale senza appartenenza: sono tutte cose di cui noi di sinistra portiamo la primogenitura. A partire dal nuovismo di Occhetto, si è poi andati avanti con la politica liquida di Veltroni, con il leaderismo populista di Vendola, fino al governo delle slide e dei tweet di Renzi. La sinistra è stata prima in molte cose negative: nel predicare l’inutilità dei partiti; nel praticare il leaderismo spinto, nel realizzare la riforma federalista della Costituzione; nella privatizzazione di molti beni pubblici. Dagli anni Novanta subisce l’assalto di un pensiero neoliberalista semplificato senza manifestare alcuna capacità di resistenza e, anzi, non poche volte addirittura assecondandolo. La destra spesso si è limitata a raccogliere i frutti dell’opera cominciata proprio dalla sinistra. Ha ragione Michele Prospero quando scrive che: “la cultura istituzionale della Destra non inventa nulla, recepisce soltanto tutto quello di destrutturante che proprio la sinistra ha cosparso”. Renzi, buon ultimo, è da considerare solo l’esecutore testamentario di tutto questo, il liquidatore di una storica forza politica ormai senza identità né organizzazione.
    1. Anche la cosiddetta sinistra radicale o antagonista non è stata immune da questa deriva. Da tempo anch’essa è fatta di solo ceto politico in cerca di sistemazione. Anch’essa da tempo si è trasformata in sinistra degli eletti senza radicamento territoriale. Anzi, per qualche decennio, ha vissuto lucrando sulla presenza di un partito della sinistra moderata, sufficientemente forte da garantire anche ad essa accesso a quote di potere – di cui si è sempre accontentata – sia in centro che in periferia, senza il corrispettivo di una qualche progettualità e capacità organizzativa.
  • Perciò, è una sorpresa soltanto fino ad un certo punto che la sinistra il 4 marzo sia stata punita così pesantemente. Essa da tempo -come giustamente dice Luigi Pandolfi ( il Manifesto del 23-03-2018)- da una opinione pubblica larga è ritenuta sinonimo << di contratti flessibili, di licenziamenti facili, di lavoro a termine, di pensione a settant’anni, di ticket sanitari, di aiuti alla scuola privata, di privatizzazioni >>.

 

  1. In una situazione di grave crisi di sistema come l’attuale, la sinistra deve essere ripensata da cima a fondo. Già dieci anni fa, dopo un’altra storica sconfitta, dicemmo che bisognava riprogettarla. Oggi, però, dobbiamo farlo in condizioni assai più difficili. Sia perché, tra l’altro, non ci sono più le regioni rosse, con il loro bagaglio storico di civismo e di capacità organizzativa, sia per lo smarrimento completo del sindacato ormai solo guardiano di una totale corporativizzazione degli interessi e privo di qualsiasi ruolo civile e politico.

            A tal proposito, basti pensare, per fare qualche esempio, che il segretario nazionale della gloriosa e   progressista FIOM, in pieno stato confusionale, non ha avuto pudore a dichiarare di aver votato per il M5S perché gli è sembrato l’unico soggetto capace di difendere gli operai. Dunque, nemmeno un leader nazionale del sindacato di classe ha compreso che la natura del M5S va considerata non in rapporto ad una sua isolata proposta ma in rapporto alla sua proposta complessiva, al suo programma generale, alla sua pratica effettiva.

  • Non deve sfuggire a nessuno che il M5S porta in sé la malattia mortale della 2°Repubblica: quella della presenza di partiti a struttura proprietaria. Anche con i 5Stelle l’economia si fa direttamente politica. Il M5S, infatti, dipende da un’ impresa privata (di Casaleggio) che vuole imporre il vincolo di mandato per poter comandare sui propri eletti e per destrutturare l’assetto istituzionale e le regole proprie di una democrazia rappresentativa. Perfino 50 parlamentari pentastellati hanno fatto circolare un foglio nel quale si definiva quella di Casaleggio << un’azienda privata che controlla la Presidenza del Consiglio>>.
  • Per quanto riguarda la Lega bisogna dire che essa non è folclore, come potrebbe sembrare. Sa cogliere istanze reali, problemi sociali (il bisogno diffuso di sicurezza, questione pensionistica, malessere di massa). Ma, pur intercettando molti voti delle fasce deboli, rivela la contraddizione fondamentale di essere una forza neoliberista, di fare una politica di tutela dei redditi alti, anche se il suo liberismo si copre di venature comunitariste. La Flat Tax è il simbolo di questa sua natura classista, degli interessi veri che garantisce.
  1. La sinistra può incunearsi in queste contraddizioni sia dei 5S che della Lega per ritrovare il suo ruolo, per rilanciarsi sul piano politico, per ritornare ad alcune sue autonome coordinate culturali. Ma lo può fare a condizione di non riprendere il cammino partendo dalla fine: dal falso problema dell’alleanza o meno col Partito Democratico. Il PD, ormai è una formazione politica sostanzialmente dissolta, soprattutto sul piano della cultura politica e istituzionale, che ha lasciato macerie e un vuoto che bisognerà faticare molto per riempire (lo stesso ex Ministro Orlando ha detto che << il PD non esiste più in gran parte del Paese. Dove c’è, sarebbe meglio non esistesse , soprattutto al Sud).

            Il PD non è un possibile aiuto per la soluzione della crisi, ma è esso stesso un fattore della crisi, uno degli elementi della crisi: di quella politica, di quella istituzionale, di quella costituzionale. Non è un partito  leale,affidabile per il mantenimento degli equilibri costituzionali (basti pensare al referendum del 4 dicembre del 2016). Proprio questa sua fragile cultura istituzionale, d’altronde, ha favorito la nascita del bipolarismo M5S-Lega e dell’attuale governo. La sua proposta di un “fronte repubblicano” non è altro che un ulteriore segno della sua grande improvvisazione politica.

  • Bisogna mettere da parte, almeno per una fase non breve, anche il dilemma, che tanto appassiona le formazione che hanno dato vita a LeU, se lavorare per dare al sistema politico una “quarta gamba” o per rafforzare la “terza gamba” .

            Per quanto riguarda la “quarta gamba” c’è da dire che bisogna considerare il suo rafforzamento come un processo. Non si può avere nell’immediato una coesione dell’arcipelago delle formazioni di sinistra. Come ha sostenuto qualcuno, per una certa fase << bisogna convivere col pluralismo organizzativo>>. Occorre abbandonare l’illusione che a breve si possa dare vita ad un cartello elettorale competitivo. Sarà necessario fare prima non poche battaglie parziali e isolate, dimostrare che le voci della sinistra non si sono del tutto spente e che su questioni di grande portata stiamo marcando un’evidente discontinuità.

 

  1. La “terza gamba” col PD è una scorciatoia che semplicemente non esiste. Rimettere in piedi una sinistra credibile, con una bussola politica e culturale: questo è il vero problema che ci sta davanti. E che dobbiamo risolvere in un momento di profondo smarrimento non solo politico, ma anche culturale.

La nostra confusione culturale appare perfino maggiore di quella politica (e ciò rende la situazione ancora più grave). Basti leggere alcuni interventi su “il Manifesto” – ora giornale di riferimento della sinistra che è rimasta, ma senza una linea editoriale, che ospita tutto e tutto diventa linea-. Per esempio, Marco Revelli – intellettuale di valore e persona seria- in un suo articolo del 23 maggio, manifesta uno smarrimento culturale davvero allarmante. La conclusione  cui giunge, per spiegare l’attuale fase e le ragioni che hanno portato al successo elettorale di forze populiste e sovraniste, è che ormai non esistono ceti organizzati e conflitto fra ceti e classi, ma esiste, da una parte, una sola classe al comando, orientata da una salda ideologia, e dall’altra, un “popolo” indefinito, <<una disseminazione irrelata di individualità>>, tutt’al più, una moltitudine informe. E’ questa la stessa conclusione di Toni Negri: vale a dire, un pensiero di sinistra senza autonomia, subalterno alla grande ideologia borghese, che ha espunto il conflitto capitale-lavoro e che ritiene inutile dare a una classe un’organizzazione politica. Vengono cancellati un’intera tradizione e un patrimonio culturale fatto di analisi accurate sulle dinamiche della modernità. Così per Revelli, non rimarrebbe altro compito che dotarsi di <<una cultura politica che abbia saputo fare, a sua volta, il proprio esodo dalla terra d’origine: che sia preparata a cambiarsi con la stessa radicalità con cui è cambiato ciò che abbiamo di fronte>>. Insomma: cambiare radicalmente i nostri connotati. Come se in questi 25 anni non l’avessimo fatto abbastanza e tanto da essere già del tutto irriconoscibili. Come se anche queste elezioni ultime non avessero dimostrato che non siamo stati riconosciuti quasi da nessuno.

 

  1. Dunque, non possiamo contare sull’aiuto neanche della cultura di sinistra più accreditata. La soluzione a questo smarrimento non può essere l’oblio di una storia importante del pensiero e della politica. Abbiamo un patrimonio teorico e pratico che ci consente di non perdere l’orientamento e di continuare il nostro cammino anche lungo una via accidentata come quella attuale.

            Proprio le celebrazioni del 70° della morte di Gramsci e dei 200 anni della nascita di Marx hanno fornito materiale sufficiente per spingerci  a portare avanti il compito della ricostruzione di una sinistra di ispirazione marxista e gramsciana. E’ necessario ritornare alla tradizione socialista, certo non per applicarla meccanicamente ma per rilanciarne il nucleo vitale.

  • Ci sono “centrali” di pensiero, organismi culturali, fondazioni, correnti delle scienze sociali, settori del mondo accademico, singoli pensatori, molti libri pubblicati negli ultimi anni in Europa e negli USA che documentano la vitalità di questa strada. Dobbiamo riabituarci a collegare la politica alla produzione intellettuale, non per limitarne l’autonomia, ma per renderla più forte, più sicura e più efficace. La politica non può darci molto se dietro non c’è un pensiero, o una scuola di pensiero, o un movimento di pensiero o una elaborazione culturale.

            Il già citato direttore dell’”Istituto di Ricerche Sociali” di Francoforte, Axel Honneth, in alcune sue recenti conferenze tenute proprio in Italia, richiamando la sua riflessione affidata al libro del 2015 dal titolo significativo Lotta per il riconoscimento , ha ribadito che al centro dell’agenda politica e culturale occorre rimettere <<l’idea di socialismo>> e di non rinunciare all’alimento che viene da quelle radici. Vale la pena riportare alcune sue affermazioni: <<I ceti subalterni si sono allontanati dai partiti socialisti>>. <<I membri della classe operaia e del proletariato dei servizi si sono sentiti abbandonati e lasciati soli>>. <<Oggi sono i movimenti populisti, anche di carattere nazionale e razzista che sembrano essere divenuti i portavoce delle ansie e dei bisogni di quegli stessi ceti>>. La sua convinzione, espressa esplicitamente e con chiarezza, è che <<oggi la sinistra dovrebbe avere il coraggio di rendere nuovamente plausibile l’idea di una forte regolazione politica del’economia e della finanza. Rimettere al centro il valore dei beni pubblici: ospedali, scuole, spazi pubblici sottratti al consumo>>. <<Avviare una profonda riflessione culturale sul significato cruciale della scuola pubblica, in quanto organo essenziale per la costruzione delle basi della democrazia, tanto nell’economia quanto nella sfera politica>>.

 

  1. Già qui è possibile individuare alcuni punti fondamentali di un concreto programma politico della sinistra: primato della politica sull’economia; centralità della scuola laica; sanità pubblica; servizi essenziali per tutti. A questi punti basterebbe aggiungerne pochi altri, altrettanto essenziali, e una identità di sinistra si staglierebbe netta e inconfondibile. Per esempio: innanzi tutto, la lotta ferma contro il Jobs Act e contro il lavoro precario. In secondo luogo, la critica meno timida ad una europeizzazione passiva che ha consegnato ogni potere di decisione alla tecnocrazia e alla finanza e ha fortemente ridotto la capacità di reazione proprio delle forze socialiste e del mondo del lavoro.

            Oggi molti – a destra e a sinistra – si dichiarano europeisti che combattono il populismo. Ma c’è europeismo ed europeismo.  L’europeismo della sinistra non è, né può né deve essere, quello della destra.

Dobbiamo essere molto chiari su questo. Chi è europeista? E’  considerata europeista una sinistra che <<vuole affermare il primato della politica ed una governance delle dinamiche dell’economia. Che vuole intensificare il processo di integrazione politica dei paesi membri. Che vuole armonizzare i sistemi fiscali e vuole un più massiccio intervento pubblico in economia>>. Ma è considerata europeista anche buona parte della destra che <<a questi obiettivi si oppone, che manifesta consenso alle politiche di austerità, a vincoli rigidi sui conti pubblici e si consegna ad una leadership dell’Europa affidata ai paesi più forti>>. (U. Uccella)

Quando, però, destra e sinistra hanno concordato su un generico e astratto europeismo, sganciato da precisi contenuti, allora la sinistra ha pagato sempre un prezzo molto alto perché è sembrata anch’essa establishment  e debole nell’arginare l’alluvione del populismo.

  • Infine: un impegno rigoroso nella difesa del costituzionalismo democratico. Basta davvero con questa fuorviante mania della centralità della governabilità rispetto ai problemi veri del governo di una grande democrazia, che riguardano invece la qualità e la legittimità piena della sua rappresentanza.

La nostra è stata l’unica democrazia matura al mondo che in pochi anni ha subito l’attacco – per fortuna respinto – di due referendum costituzionali (uno da destra e uno da “sinistra”) dal contenuto eversivo e ha utilizzato tre leggi elettorali incostituzionali. Le nostre forze, benché piccole al momento, devono costituire un baluardo contro tutto questo.

Dunque: difesa del lavoro, costituzionalismo democratico, europeismo sociale, primato del pubblico, centralità della scuola laica, devono essere gli elementi identitari fondamentali di una Sinistra al servizio di un grande Paese.

 

 

Bibliografia

  • Costituzione Italiana;
  • D’ALEMA, “Italianieuropei”, n. 2, 2018.
  • D’ALEMA, Discorso al 2° Congresso Mondiale sul marxismo tenutosi il 5 maggio 2018 a Pechino.
  • FLORIDIA, “il Manifesto”, art. del 10/5/2018 .
  • GRAMSCI, Quaderni del carcere (note sul Machiavelli).
  • HONNETH, “il Manifesto”, art. del 31/3/2018.
  • HONNETH, L’idea di socialismo, un sogno necessario, Feltrinelli, Milano, 2016.
  • HONNETH, Lotta per il riconoscimento, Il Saggiatore, Milano, 2002.
  • MARX, Cap. XXIV del I° libro del Capitale.
  • PANDOLFI, “il Manifesto”, art. del 23/3/2018.
  • PROSPERO, Relazione alla VI “Assemblea Nazionale del Network per il Socialismo Europeo”, Fiuggi, 5 maggio 2018.
  • REVELLI, “il Manifesto”, artt. del 23/5/2018 e del 2/6/2018.
  • SOROS, “Corriere della Sera”, art. del 3/6/2018.
  • SPERANZA, Relazione Assemblea Nazionale “Art. Uno” (Roma, 12/5/2018).
  • UCCELLA, “Nuovo Quotidiano di Puglia”, art. del 25/5/2018.
  • ZACHEO, Gramsci e l’Italia, in “L’inesauribile curiosità. Studi in memoria di Gianni Carluccio”, Edizioni Grifo, Lecce, 2018.
  • ZACHEO, “Nuovo Quotidiano di Puglia”, artt. del 13/3/2018, 31/3/2018, 13/4/2018.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*