Deutsche Bank e Commerzbank, i maneggi per un matrimonio

Un mese fa, il 17 marzo, Deutsche Bank e Commerzbank hanno rivelato di avere avviato i colloqui in vista di una possibile fusione. Dal matrimonio dei due istituti, che, secondo indiscrezioni, sarebbe stato benedetto pubblicamente, dal ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz, nascerebbe un gigante bancario europeo, secondo solo a BNP Paribas, con 140.000 dipendenti, 2500 filiali, depositi per 850 miliardi di euro. In questa operazione, solo formalmente di mercato, uno dei due contraenti, D.B., si troverebbe costretto ad accettare il “merger”, a causa delle richieste del governo tedesco che non vuole correre il rischio di ritrovarsi nel bel mezzo di una sgradevole bufera finanziaria. Le condizioni di D.B. attualmente non sono affatto buone, il titolo ha perso in due anni quasi il 55% della capitalizzazione, in borsa vale meno di 17 miliardi e, fondendosi con Commerz, la capitalizzazione salirebbe a 25 miliardi. Inoltre gode di pessima fama, travolta da numerosi scandali, manipolazione di mercato, lavaggio di denaro sporco, vendita di mutui tossici, è stata condannata a pagare multe miliardarie ed è tutt’ora obbligata ad accantonare diversi miliardi di euro per spese legali. Secondo il Fondo Monetario rappresenterebbe una grave minaccia per la stabilità finanziaria internazionale a causa della mole di derivati che conserva in pancia e dei molteplici legami con tutte le importanti banche del mondo.

Commerzbank è la sola grande banca rimasta in Germania che opera nel segmento del finanziamento alle piccole e medie imprese ed è sottoposta al controllo della Bce. Come è noto la quasi totalità del sistema creditizio tedesco è costituito dalle Landesbanken, piccole banche regionali a metà tra sistema privato e controllo pubblico, che lavorano a sostegno delle imprese tedesche a cui prestano denaro a condizioni molto favorevoli, e non sono sottoposte alla vigilanza della Bce. Ricordiamo che Commerz, negli anni della grande crisi, è stata salvata dallo Stato che detiene una quota azionaria del 15,6%. Con questa fusione il governo tedesco conseguirebbe due obiettivi, salvare D.B. da eventuali crisi finanziarie e sottrare Commerz da eventuali mire di altri istituti stranieri, inoltre lo stato tedesco diventerebbe azionista del secondo più grande gruppo bancario straniero alla faccia nostra di italiani che, per nazionalizzare MPS, una banchetta rispetto al colosso che starebbe per nascere, abbiamo dovuto fare grandi acrobazie.

La Cancelliera fa pressione perché la fusione sia attuata prima delle Europee temendo che dopo non ci siano più le condizioni politiche favorevoli, tuttavia siamo in aprile e purtroppo l’operazione non si sta rivelando una tranquilla passeggiata per Frau Angela che, per svariate ragioni, non desidera metterci la faccia e vuole che se ne parli il meno possibile. La Bce quasi sicuramente richiederà a D.B. di raccogliere capitali freschi prima della fusione per una cifra che si aggirerebbe intorno ai 10 miliardi di euro, cifra importante che rappresenta circa i due terzi dell’attuale capitalizzazione della banca e più di quanto non valga Commerz, alla quale, se venisse richiesto un esborso monetario, allora anche lo stato azionista dovrebbe fare la sua parte. Al Bundestag tutti i gruppi parlamentari si oppongono decisamente ad un ulteriore esborso di capitali pubblici per una banca già salvata dieci anni fa, con una spesa di circa 5 miliardi di euro, per una quota del 15%, che oggi vale appena 1,5 miliardi. A ridosso delle Europee la Angela Merkel ha difficoltà a giustificare di fronte all’opinione pubblica un’aggiuntiva somministrazione di denaro pubblico, e per contro non può nemmeno disfarsi del pacchetto azionario perché, se lo Stato vendesse, verrebbe a registrare una minus-valenza di circa 4 miliardi che farebbe infuriare i tedeschi. L’opinione pubblica è addirittura contraria alla fusione ed è ostile a D.B. che considera interessata esclusivamente alla speculazione finanziaria, teme che la creazione di questo Moloc del credito esponga i cittadini a rischi sistemici come contribuenti, inoltre, tra gli oneri da affrontare per queste nozze, ci sarebbe anche la prospettiva di licenziamento di 30000 dipendenti, più di un quinto del totale e tutti tedeschi. La sensazione è quella di essersi cacciati in un vicolo cieco. E’a questo punto che per uscirne vengono bene le “soluzioni all’italiana”, cioè  il  trasferimento della quota di Commerz detenuta dallo stato alla KfW (Kredianstalt fuer Wiederaufbau), banca pubblica tedesca equivalente della nostra  Cassa depositi e prestiti, in questo modo sarebbe l’Istituto di credito pubblico a partecipare  all’eventuale capitalizzazione , non il governo e Commerz rimarrebbe, grazie ai trucchetti made in Italy, sostanzialmente sotto il controllo dello Stato attraverso KfW.  Ma l’opinione pubblica abboccherà?

Questa vicenda non si fa mancare nulla, neppure il colpo di scena, la svolta improvvisa. E’ il Financial Times a scrivere, il 4 aprile, che Unicredit, starebbe presentando un’offerta consistente per acquisire una quota pesante di Commerzbank nel caso le trattative con D.B. fallissero. Ci aveva già provato nel 2017 ma aveva ottenuto un rifiuto dagli ambienti politici tedeschi e oggi cerca di battere sul filo di lana eventuali concorrenti straniere che potrebbero farsi avanti come ING, Paribas, Santander.

Il piano di Unicredit, prevedrebbe di fondere Commerz con HVB (Hypo Vereins Bank) acquisita nel 2005. La sede della società nata dalla fusione resterebbe in Germania e quotata al Dax mentre la controllante Unicredit manterrebbe sede in Italia e quotazione alla Borsa di Milano. HVB possiede una rete di più di 400 filiali ubicate in Baviera e nel Baden Wuttemberg, pertanto le sovrapposizioni con le filiali di Commerz per lo più al nord sarebbero minime. Meno sovrapposizioni meno licenziamenti e le iniezioni di liquidità si ridurrebbero al minimo.

Siamo al momento della verità, la Germania, che va predicando per ogni dove sulla dottrina del libero mercato, non dovrebbe opporsi all’ingresso di un soggetto straniero nella sua controllata, non avrebbe scuse. Si opporrà all’ingresso di Unicredit sostenendo che le banche italiane hanno i crediti deteriorati ed elevate esposizioni ai titoli del Tesoro? Ma da quale pulpito viene la predica se si pensa che ormai D.B. è considerata alla stregua di uno Zombie che si aggira nei mercati finanziari e che si regge solo in quanto garantita dello stato tedesco. E i principi inviolabili sul libero mercato? Disapplicati naturalmente. Berlino pretende dagli altri il rispetto delle regole da cui lei sfugge in modo più o meno palese senza che nessuno a Bruxelles osi farlo notare.

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