Eduardo e Giacometti. Il coraggio della Vita

Mi hanno sempre affascinato questi due uomini e guardate qui: la prima è una scultura di Giacometti, la seconda è una scultura fatta ad Eduardo, non so da chi.

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Mi si è mostrata così la realtà di quel che sentivo dentro, una loro consanguineità che tocca la mia e che mi invita ad addentrarmi nelle nostre comuni profondità.

Come si è mossa l’Arte di questi due geni?

La prima cosa che mi viene alla mente è la povertà, sia ben chiaro, la povertà, non la miseria.

La povertà che Eduardo ha indagato in ogni suo anfratto, dentro la ragnatela dei vicoli di Napoli, una città che riassume in sè il meticciato che siamo, fili interconnessi di un comune autore.

Una povertà che non abdica alla dignità dell’essere umano, che ha la capacità di non nascondere le sue peggiori qualità, che emergono ogni volta che si abbandona quella visione più alta, quella visione che sa tenere insieme la pluralità e la sua armonia.

La povertà che Giacometti ha indagato è quella costitutiva della scultura, che ha bisogno della sottrazione per arrivare all’essenza, nulla di troppo. Una vita povera, uno studio minimalista per necessità, così che l’Arte possa trovare quella casa che ancora non ha  e che il vero Artista costruisce sempre indicibilmente, come la musica che sa raccontare quel che mai si potrà dire.

Oltrepassare la Parola per ridare onore al Silenzio, l’Arte fa questo per noi, ma noi sappiamo esserne grati?

Eduardo e Giacometti, un nome e un cognome che non sono e non saranno mai solo “firma”.

Il corpo, da entrambi indagato, è in Eduardo mostrato in tutta la sua scarna e potente potenza, come le sculture di Giacometti, una potenzialità magra, povera, come risucchiata dal canto della Vita che in loro canta forte e ci ridanno quelle note dopo averle masticate come ruminanti, dopo averle vomitate per farle nuovamente vive ai nostri poveri occhi.

Sappiamo vederne il lascito? Un’erediàà e una promessa del nuovo, che necessita di noi per ridare alla vita il suo giusto posto. Oggi più di ieri, loro ci hanno fatto vedere fino a che punto l’essere umano può uccidere sè stesso, fino a che punto l’essere umano può tradire quel cammino che loro hanno saputo tracciare: ma i prossimi passi dovranno essere i nostri. Noi siamo le mani del Destino.

Eduardo aveva una figlia, Luisella, una dolcissima bambina, tanto amata dal suo papà.

Una brutta caduta sugli sci la strappa prematuramente e prepotentemente dalla vita e da quell’affetto paterno unico, irrevocabile. Eduardo è distrutto, ma torna al suo lavoro. La sera , prima del nuovo debutto, non trova più “quella fotografia”, la fotografia di Luisella che portava e avrebbe portato sempre con sè. Non la trova, chiama tutti per cercarla, non avrebbe mai recitato senza averla trovata.

Si trovò, e la vita riprese il suo corso, mostrandoci una delle cose più importanti che abbiamo perduto e che dobbiamo ritrovare per ritrovare noi stessi e dire no ad un sistema che vuole uccidere le forze salvifiche che l’umanità ha in sè e che nessun vaccino potrà mai offrire: il filo che tiene insieme vita e morte e che solo l’amore sa e può tenere insieme.

E che cosa di più forte che l’amore di un padre per una figlia ?

L’amore dell’Invisibile che opera in ognuno di noi, un amore da reimparare a ricambiare.

  di Patrizia Gioia

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