Europa oggi: locomotiva in affanno

Il Consigliere esecutivo della Banca centrale europea, Benoit Coeurè, ha fatto alcune dichiarazioni nei giorni scorsi nelle quali si parla di una importante asta T-Ltro, che Mario Draghi potrebbe lanciare tra il board di marzo e quello di fine aprile, per iniettare liquidità nelle banche dell’area euro e di quella che viene definita la guidance relativa ai tassi, il cui primo rialzo era stato detto sarebbe scattato non prima dell’estate 2019, ma che forse non verrà confermato considerate le difficoltà economiche che si sono palesate nell’ambito dell’Unione. Intanto l’Italia, come spiegano i dati Istat su ordini si trova ai minimi da oltre 2 anni mentre il fatturato ha raggiunto i minimi da 10 anni ed è entrata in recessione; ma anche la Germania, locomotiva d’Europa, si scoprirebbe attualmente in affanno a causa delle difficoltà per la sua industria automobilistica. Le cattive notizie giungono dagli Usa dove il segretario del commercio, Wilbur Ross, avrebbe predisposto un dossier sull’inasprimento dei dazi, dal 2,5% al 25%, sulle auto prodotte nell’Unione europea e consegnato a Trump al quale spetterebbe la decisione definitiva entro 3 mesi. Si prevede che il Presidente americano, a cui piacciono le trattative, cercherà di spuntare un accordo commerciale con la Ue, il migliore possibile, per lui. A questo si aggiunge la questione della Brexit, per la quale all’interno della Ue non si immaginava si sarebbe arrivati al punto di non riuscire a concludere un accordo.  In caso di no-deal tra Europa e Regno Unito scatterebbe l’introduzione reciproca di dazi, scenario del tutto negativo per le imprese europee, soprattutto per quelle tedesche considerato che le esportazioni verso l’Inghilterra si attestano intorno ai 30 miliardi di euro l’anno, lo 0,9% del Pil.

Per molto tempo la Cancelliera ha sottovalutato i pericoli Trump e hard Brexit perché confidava in un piano B rappresentato dal fattore Cina, la seconda potenza economica mondiale. I suoi progetti prevedevano di incanalare le esportazioni tedesche in Cina, sostituendo i consumatori della sfera anglosassone con quelli ad occhi a mandorla. Purtroppo per lei, il Dragone ha tradito le sue aspettative. La Cina infatti ha registrato nel 2018 un sensibile rallentamento della sua economia a causa delle tensioni commerciali con gli Usa. A gennaio le vendite di auto in Cina sono calate del più del 15% rispetto lo stesso mese del 2018 e i consumi nel 2018 sono calati del 9% rispetto al 2017. Dunque l’Anglosfera si sta trasformando in una vera minaccia per la Germania e l’Europa tutta. Se Trump chiude le frontiere commerciali è un guaio per tutti i paesi esportatori, tra i quali l’Italia, non solo per Germania e Cina.

In questo scenario Draghi non può terminare il suo settennato Bce con un rialzo dei tassi. Ed ecco i vari escamotage di prestiti a pioggia alle banche e, se l’inflazione dovesse slittare sotto l’1%, forse potrebbe persino venir riesumato il vecchio Quantitative easing, sospeso da pochi mesi, per superare la condizione attuale non molto dissimile a quella del 2014 .

I problemi della Germania non sono finiti.  Alcune settimane fa è stata data notizia della firma di un trattato tra Francia e Germania, i due paesi più importanti dell’Eurozona, una sorta di creazione di mini-Ue nata per gestire in esclusiva i dossier più complicati dell’Unione, trattato sancito in pompa magna ad Aquisgrana, città simbolo nel cui duomo si custodiscono il trono e i resti di Carlo Magno incoronato imperatore del Sacro Romano Impero il 25 dicembre dell’anno 800 dc. Uno stratagemma elegante pensato da Berlino per intrappolare Parigi in rapporti irreversibili, utili nel momento in cui si devono prendere decisioni sui più scottanti dossier politici ed economici europei e plasmarli a proprio vantaggio.  E’noto infatti che Parigi si batte per la creazione di istituzioni comuni nell’Unione, un tipo di politica che Berlino non accetta perché teme di rimetterci con la condivisione di rischi e oneri con altri partner europei, specialmente le cicale del sud.

Non tutte le ciambelle riescono col buco, è pur vero che la Merkel considera la Francia il vero alleato naturale, tuttavia non se ne fida perché troppo diversa dalla Germania per mentalità e interessi economici. L’economia francese è molto meno solida di quanto non si immagini, sorretta da una spesa pubblica enorme pari al 57-58% del Pil, burocrazia ipertrofica con 5 milioni di dipendenti pubblici, debito al 100%. Sia destra che sinistra francese non condividono le politiche di globalizzazione seguite fin qui dall’Europa in quanto, non essendo uno stato esportatore, fonda la sua crescita sulla domanda interna, inoltre possiede storicamente una mentalità “protezionistica” molto chiusa e ostile alle scalate da parte di soggetti esteri delle proprie imprese. Per contro la Germania, stato esportatore, ha necessità di frontiere aperte e mercato di capitali mobili senza ostacoli di pastoie burocratiche. Essendo poco liberali nell’economia, i francesi, insieme a Macron, tifano per una hard Brexit che, escludendo dall’Europa il Regno Unito, grande difensore del libero mercato, permetterebbe loro di ampliare i poteri di veto in Europa.

In sostanza la Brexit rischia di causare all’economia tedesca danni notevolmente superiori alle minori esportazioni. Il rischio è di finire in balia dei “no” francesi, il cui impianto mentale riguardo alle questioni economiche si trova spesso agli antipodi dei loro alleati tedeschi. Servirebbe a Berlino in sostanza che l’Inghilterra restasse in qualche modo legata all’Europa, in una unione doganale, all’interno dello spazio economico europeo, che potrebbe comunque sostenere la Germania nelle decisioni di stesura di contratti di libero scambio con altre economie, scongiurando inoltre il pericolo di un fronte alleato di Francia, Italia e Spagna che finirebbe per imporre all’Europa una svolta politica nuova non sempre unicamente favorevole agli interessi di Berlino.

 

 

 

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