Eurovirus

Oltre che alle cronache relative all’andamento dell’epidemia, si è aperto un dibattito sull’impatto economico (e sociale) che una tale emergenza sta provocando. Sono moltissimi gli interventi che compaiono sui siti sia di teoria economica che di studi sociali , riguardanti tanto l’Italia che l’intera Europa. Si ha quasi l’impressione che il virus abbia messo in crisi, oltre che le ritualità degli Stati membri, la stessa  Unione Europea. Per questo motivo riportiamo due articoli, comparsi rispettivamente su economiaepolitica.it e su scenari economici.it,  scritti da autorevoli economisti.

Il primo (Brancaccio et a.)  richiede una risposta “di livello” alla crisi. Qualcosa che, tramite la banca centrale e i governi (in coordinamento fra loro) prepari un grande piano di investimenti pubblici, principalmente nel settore sanitario con una particolare attenzione a welfare, infrastrutture, istruzione, ricerca, ecologia. 

Il secondo (Galloni et a.) si domanda quali siano le motivazioni di atteggiamenti così differenti, in campo economico e non solo, a fronte della pandemia; mette in evidenza non tanto la debolezza dell’euro quanto, piuttosto, il peso del “debito”. Soprattutto la sua crescita – per un motivo o per l’altro – più sostenuta di quella dell’economia che, invece, continua a non crescere.

Con o senza l’Europa: economisti italiani per un piano “anti-virus” (1)

(di Emiliano Brancaccio, Riccardo Realfonzo, Mauro Gallegati, Antonella Stirati  – 13 Marzo 2020)

Si tratta della versione italiana del documento With or without Europe: Italian Economists for an “anti-virus” plan, pubblicato Il 13 marzo 2020 dal Financial Times, a firma di Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche), Antonella Stirati (Università di Roma Tre). 

L’emergenza sanitaria innescata dal virus Sars-Cov-2 è già una crisi economica. Lo shock del coronavirus sta colpendo un’economia internazionale molto fragile, che già soffriva degli squilibri irrisolti ereditati dalla grande recessione. Sebbene le analisi prevalenti tendano a considerare le conseguenze economiche delle pandemie e delle relative quarantene come fenomeni di breve durata, questa volta è diverso: dobbiamo ammettere il caso di contrazioni molto più intense e prolungate.

In questa fase, l’Italia rappresenta una trincea dell’emergenza sanitaria ed economica. Problemi analoghi, tuttavia, si ripresenteranno su una scala più o meno simile in tutta Europa.

In questo scenario, diventa urgente un piano “anti-virus” che sia all’altezza di questa crisi senza precedenti. Nell’immediato, è necessario un massiccio e rapido intervento da parte delle autorità monetarie e fiscali per attivare controlli sui mercati dei capitali, fornire liquidità per sostenere la domanda privata e garantire la solvibilità dei sistemi bancari e produttivi. Ulteriori misure che spostino gli oneri fiscali verso i redditi più alti, i profitti e le rendite possono contribuire a ridurre le disuguaglianze alimentate dalla crisi. Nel frattempo, la banca centrale e i governi devono coordinarsi per preparare un grande piano di investimenti pubblici principalmente nel settore sanitario e più in generale nelle aree in cui si verificano fallimenti del mercato: welfare, infrastrutture, istruzione, ricerca, ecologia. Il piano deve intervenire non solo a sostegno della domanda effettiva, ma anche per contrastare possibili “disorganizzazioni” nei mercati e conseguenti strozzature dal lato dell’offerta.

La vera difficoltà di un tale piano è che esso richiederebbe centralizzazione dei finanziamenti e coordinamento dell’azione politica. Come già sottolineato in un precedente appello pubblicato sul FT (www.theeconomistswarning.com), l’Unione Europea e l’Eurozona sembrano essere tra le istituzioni più carenti da questo punto di vista. Non è un caso che, anche stavolta, la risposta della BCE, delle istituzioni europee e dei governi sia stata finora contraddistinta da conflitti, lenta e completamente inadeguata. Se l’egoismo e l’inettitudine prevalessero anche nel caso del coronavirus sarebbe un’onta anche peggiore delle precedenti.

Se l’Unione esiste davvero, deve battere un colpo adesso. Altrimenti, con o senza l’Europa, dovremo fare tutto ciò che è necessario per superare la crisi.

Debito in terapia intensiva e crollo dell’Impero   (2)   (di Nino Galloni)

Ha creato scalpore e tanti commenti la dichiarazione della Merkel di fronteggiare l’emergenza economica conseguente al corona virus con 500 miliardi di euro; soprattutto, essa è stata interpretata come la tomba dell’euro stesso. Prima di entrare in alcuni aspetti “tecnici” della cosa, cerchiamo di vederne le premesse.

La prima, ma la meno importante: a inizio settimana la Merkel affermò e ribadì che si sarebbero infettati circa 70 milioni di Tedeschi. Traduzione: noi non fermeremo né scuole, né sport, né industrie perché tanto non si tratta di qualcosa di così grave. A distanza di pochi giorni l’affermazione di cui sopra, la chiusura delle scuole, il fermo alle attività sportive, l’allarme industrie. Tra i due atteggiamenti, evidentemente, la Cancelliera ha cambiato i consiglieri sanitari ed ha appreso che il numero dei ricoverati (con sintomi) sarebbe potuto essere una piccolissima percentuale dei contagiati (senza sintomi e senza tamponi positivi), tuttavia la percentuale dei ricoverati in condizioni gravi o gravissime o con  esito letale, un numero tale da cominciare a creare notevoli preoccupazioni.

La seconda è molto più importante. Al posto di Draghi era stato designato un Tedesco che avrebbe dovuto fermare il quantitative easing e far crescere i tassi di interesse (così rivalutando l’euro e accontentando, almeno in parte, Trump che voleva e vuole la svalutazione del dollaro): così aiutando le banche tedesche in evidente crisi di redditività. Invece, a pochi mesi dal fatidico passaggio di consegne, ecco avanzare la Lagarde (certamente non una colomba, ma nemmeno un falco) pronta a continuare – più o meno – l’azione di Mario Draghi. Cos’era successo? La Cina rallentava e l’industria tedesca – dal canto suo – pure; nel conflitto tra quest’ultima (che voleva tassi bassi ed euro sottovalutato) e le banche, vince – come sempre in Germania – l’industria.

Ma se l’industria tedesca – adesso, con l’emergenza corona virus o con la scusa emergenza – deve perdere parecchi colpi, delle due l’una: o si pompa la domanda interna ed europea o si fa saltare il banco perché, in assenza di soluzioni (per la finanza e per l’economia reale non ce ne sono senza ripristinare la centralità dello Stato interventista) è sempre meglio buttarla “in caciara”.

In queste condizioni, che senso avrebbe portare avanti il MES che sta all’attuale situazione come le brioches di Maria Antonietta alla Rivoluzione Francese?

Ciò detto, la Merkel ha le seguenti possibilità: 1) un grande prestito delle sue banche – pubbliche e private – che aumenterà il debito dei Tedeschi, ma che – al pari di quello dei Lander – potrà venir diversamente contabilizzato; 2) la emissione di titoli pubblici da far comprare alle sue banche (tanto il debito dello Stato – grazie all’éscamotage di non considerare quello dei Lander – non è altissimo e le banche sono piene di titoli tossici di cui allungare i tempi per finire alla BCE come Asset Backed Securities in cambio dell’agognata liquidità); 3) la emissione di moneta sovrana a corso legale nella sola Germania, cosa che già esiste e non sarebbe incompatibile con l’agonia dell’euro; 4) escluderei la Germania che immette direttamente euro, ma non ne sono tanto sicuro!

La domanda che dobbiamo farci, pertanto, non riguarda tanto la fine dell’euro, ma quello che possiamo e dobbiamo fare a casa nostra, perché – in questa situazione (e non c’è solo il coronavirus!) – il vero malato in terapia intensiva è il debito; vale a dire la sua crescita – per un motivo o per l’altro – più sostenuta di quella dell’economia che, per varie ragioni, anche legate ai meccanismi di indebitamento, non cresce affatto.

Possiamo immettere moneta parallela a sola circolazione nazionale (ovviamente non per importare beni necessari, ma solo per sostenere la domanda interna). Possiamo proporre una emissione non a debito della BCE per comperare in tutta l’eurolandia il 50% dei debiti pubblici e autorizzare un deficit sotto il 20% del PIL nei prossimi tre anni.

Diversamente, se non c’è collaborazione in questo senso o qualcosa del genere che serva a rompere o a interrompere la catena del debito, meglio prepararsi al piano B per fronteggiare le conseguenze del crollo dell’Impe(u)ro.

(1) – https://www.economiaepolitica.it/l-analisi/coronavirus-ed-economia-italia-cina-cinese-mondiale-effetti-economici/

(2) – https://scenarieconomici.it/debito-in-terapia-intensiva-e-crollo-dellimpeuro-di-nino-galloni/

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