Federico Caffè «economista scomodo»

“Il vero pericolo del paese mi sembra quello dell’assuefazione a una situazione che quotidianamente viene definita di sfascio, da cui si possa uscire soltanto con soluzioni tecnocratiche, o con il ricorso a quelli che Jemolo chiamava «i poteri vicari». Ci si risparmi un personalismo di cui siamo parimenti sazi e si governi con silenziosa efficacia, in spirito di umiltà”.

Federico Caffè, “Il rifiuto di essere succubi: per una politica economica alternativa”, in

 La solitudine del riformista, Bollati Boringhieri, Torino 1990, p. 142.

Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1987 scompariva dalla sua abitazione romana il professor Federico Caffè (1914-1998, data della morte presunta), il cui nome nei mesi scorsi è stato associato a quello del Presidente del Consiglio Mario Draghi, suo allievo e con il quale ha discusso la tesi di laurea in economia presso l’Università Sapienza di Roma nel 1970.  Lascio ad altri, ben più attrezzati di me, il compito di tratteggiare il poliedrico pensiero di questo “economista scomodo”[1], come lo stesso Caffè amava autodefinirsi, la cui scomparsa ha lasciato dietro di sé un’ombra di mistero che ha molti tratti in comune con quella del fisico nucleare Ettore Majorana. Chi ha indagato sulle “simmetrie plausibili” tra la scomparsa di Federico Caffè e il caso Majorana, nella versione che ne dà Leonardo Sciascia in La scomparsa di Maiorana, sottolinea come Caffè fosse un appassionato lettore dei libri di Sciascia e che suo fratello Alfonso, forse nell’intento di accrescere il mistero, “non avendo poi trovato quest’ultimo volume, non esclude che egli abbia potuto distruggerlo o portarlo via con sé”.[2]

Per ricordare il grande economista a trentaquattro anni dalla sua scomparsa, mi limiterò a segnalare un paio di libri che ci ha lasciato in eredità il suo allievo prediletto, il professor Bruno Amoroso (1936-2017) il quale, dopo essere emigrato in Danimarca, tra il 1972 e il 2007 ha ricoperto la cattedra Jean Monnet presso l’Università di Roskilde. Il primo di questi due libri è una sorta di autobiografia di Federico Caffè ricavata da una rielaborazione del fitto scambio di lettere e di colloqui intercorso tra di loro, dalla quale emerge nettamente il pensiero, l’opera e l’umanità del maestro.[3] Il secondo, invece, è un’autobiografia dell’autore pubblicata a pochi mesi dalla sua morte, nella quale, dopo aver lanciato uno sguardo sugli episodi più significativi della sua vita, ha ripercorso le tappe del suo impegno politico giovanile nelle file del movimentismo studentesco, a fianco del sindacato e della sinistra extraparlamentare, nonché della sua attività accademica. [4]

Nella sua autobiografia, Bruno Amoroso dà ampio spazio alla sua intensa relazione con il professor Federico Caffè, lasciando intendere come essa non si sarebbe neppure interrotta dopo la scomparsa del grande economista. In essa si sofferma sulla sua disillusione circa il “riformismo” e il futuro politico e sociale, disillusione condivisa sia dal professor Federico Caffè, che dal giurista, filosofo della scienza e politico italiano Pietro Barcellona (1936-2013),[5] grazie al quale l’autore ha ripreso i suoi rapporti con l’Italia, potendo così seguire il declinante dibattito culturale in corso nel nostro paese. Alla fine del capitolo conclusivo della sua autobiografia, dedicata a “Un mondo diverso è possibile?”, Bruno Amoroso scrive: “Con Federico Caffè e Pietro Barcellona abbiamo cercato, ciascuno a modo suo, di denunciare questo declino e combattere le false illusioni sull’alternativa” (p. 176), concludendo le sue amare riflessioni con queste semplici ed inquietanti parole: “Pietro è morto nel settembre del 2013. Ci ha lasciato nelle sue memorie (Sottopelle, Castelvecchi, 2014) le sue considerazioni sul mondo in cui viviamo, che invitano al silenzio e alla riflessione. Federico capì la situazione prima di noi e ha trascorso gli anni che ci separano da lui tornando alla sua amata musica e al silenzio” (p. 178).

Le ragioni che hanno provocato una profonda depressione sia in Federico Caffè, ben testimoniata nel citato libro di Ermanno Rea,[6] sia in Pietro Barcellona, il quale in un articolo pubblicato sull’Unità nell’agosto del 2012 ha spiegato, da ateo-marxista, il perché della sua conversione al Cristianesimo, vanno ricercate nella precaria situazione economica, politica e sociale che si è venuta a creare in Italia a partire dai primi anni ’70. A testimonianza di ciò, è sufficiente scorrere in successione i titoli degli oltre 160 articoli divulgativi pubblicati da Federico Caffè negli anni tra il 1974 e il 1986 su Il Messaggero di Roma e L’Ora di Palermo, [7] tra il 1976 e il 1985 su Il Manifesto[8] e, infine, tra il 1974 e il 1986 su vari quotidiani e riviste, articoli che compaiono nella raccolta “La solitudine del riformista”.[9]

A conclusione di questo breve ricordo dell’«economista scomodo» Federico Caffè faccio mie le parole con le quali, nella Prefazione della sua monumentale biografia di John Maynard Keynes, Sir Roy Harrod ne ha tratteggiato la figura: “Se qualche lettore sarà colpito dal mio ritratto, posso assicurarlo che sarebbe stato molto più colpito dall’uomo in carne e ossa. Non c’è parola che possa rievocare l’assenza della sua vita”.[10]

Alessandria, 18 aprile 2021

[1] Una felice sintesi del contributo scientifico di Federico Caffè, a trenta anni dalla sua scomparsa, è offerta da R. De Bonis, in “Di che cosa parliamo quando parliamo di Federico Caffè”, argomenti, terza serie, 7/2017, pp. 5-13.

[2] E. Rea, L’ultima lezione, Einaudi, Torino 1992, pp. 18-19. Secondo questo autore, tra l’ipotesi del suicidio e quella dell’accompagnamento di Federico Caffè in una comunità di monaci in qualità di “laico”, sarebbe quest’ultima la congettura maggiormente credibile.

[3] B. Amoroso, Federico Caffè. Le riflessioni della stanza rossa, Castelvecchi, Roma 2012.

[4] B. Amoroso, Memorie di un intruso, Castelvecchi, Roma 2016. Il professor Amoroso è stato Visiting professor in vari atenei, tra i quali l’Università della Calabria, la Sapienza di Roma, l’Atılım Üniversitesi di Ankara, l’Università di Bari, ed ha fondato il Centro studi Federico Caffè dell’Università di RoskildeIn, del quale è stato Presidente.

[5] Docente di Diritto privato e di Filosofia del diritto presso l’Università di Catania, Pietro Barcellona è stato membro del Consiglio superiore della magistratura dal 1976 al 1979, eletto deputato nell’VIII legislatura nelle liste del PCI e componente della I Commissione (Affari Costituzionali) dal 20 settembre 1979 all’11 luglio 1983. Ha coltivato con passione l’hobby della pittura e dal 1993 al 1996 ha ricoperto la carica di presidente del Centro per la Riforma dello Stato. Gli ultimi anni della sua vita sono stati contrassegnati da una devastante depressione, dalla quale è uscito grazie alla sua conversione al cristianesimo.

[6] Negli ultimi mesi, scrive Ermanno Rea, “Agli amici, agli ex allievi che lo vanno a trovare appare cupo, disperato, smagrito, pallido.”  (p. 16).

[7] Raccolti nel volume pubblicato a cura di Giuseppe Amari, Federico Caffè. Contro gli incappucciati della finanza, Lit Edizioni, Roma 2013.

[8] Federico Caffè, Scritti quotidiani, il manifesto-manifestolibri, Roma 2007.

[9] F. Caffè, La solitudine del riformista, Bollati Boringhieri, Torino 1990. In questo volume sono raccolti scritti di Caffè pubblicati su Micromega, Il Manifesto, L’Unità, Rinascita, L’Ora, Sinistra, Il Mondo, Il Giorno, L’Espresso, Lettere di Sinistra, Rassegna Sindacale, Rocca e la Repubblica.

[10] R.F. Harrod, La vita di J. M. Keynes. La personalità e le teorie di un maestro del pensiero economico moderno, Einaudi, Torino 1965, pp. 8 e 9.

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