Firma…e un futuro migliore sarà possibile

Compassion in world farming” a pochi dirà qualcosa ma è tempo di imparare a conoscere anche altre associazioni (anglosassoni, olandesi, sudafricane) che sostengono campagne a noi non molto familiari.  Proprio la CIWF,  l’associazione che che si prende in carico le storture, a volte le torture, di milioni di animali in allevamenti sparsi in tutto il mondo è una di quelle sigle che rischia di essere  snobbata dai più con uno sprezzante “roba da radical chic” quando invece bisognerebbe ragionarci sopra un po’ di più.

Inoltre il sistema della raccolta firme sta riscuotendo successo anche in Italia. “Change” Italia ha quintuplicato il suo fatturato della sezione italiana, aprendo nuove sedi nelle città più importanti, a volte in collaborazione con le associazioni di tutela dei consumatori, confermandosi così una delle più affermate del settore. Questa campagna invece viene direttamente seguita dalle organizzazioni promotrici, senza intermediari…e questo aiuta. Un mezzo che piace (quello della raccolta firme)  e che permette a chi lo propone di avere immediatamente in data base nomi, cognomi, indirizzi, mail, n. di telefono e quant’altro di riferimento. E’ vero che nella spunta d’obbligo di accettazione delle clausole, è scritto a caratteri cubitali che “i dati verranno trattati a norma di legge” quindi vincolati a stretto giro amministrativo e niente più… ma l’italiano medio non si fida e, spesso, quando deve fornire dati, recalcitra e passa oltre. Speriamo che non sia questo il caso…  Infatti la tutela del welfare animale è parte fondativa del benessere umano globale, soprattutto quando ci sono di mezzo impianti industriali ufficialmente “zootecnici” in cui viene fatto tutto…dal concepimento del “pezzo” fino alla sua macellazione. Molte le parole usate sull’avanguardia dei mezzi utilizzati per una corretta gestione della produzione, sull’aggiornamento continuo delle maestranze, sul rispetto delle regole, di tutte le regole……per poi verificare che sporcizia, sovraffollamento, approssimazione nelle modalità organizzative e di fornitura del nutrimento non solo non sono consone alle direttive europee, ma nemmeno rispettano quei parametri minimi di buon senso e di corretta gestione che, da sempre, caratterizzano la convivenza tra uomo e animale. 

E, a questo, è da aggiungere tutta la questione inerente l’alimentazione moderna, il suo impatto sull’ambiente in generale e su specifici ecosistemi particolarmente stressati, come i mari o – per rimanere a noi – alle porcilaie industriali o alle stalle da migliaia di capi (…ora definiti “pezzi”). Secondo l’ISTAT si è avuto un calo continuo dell’uso di carne di suino e di bovino a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo con un consumo medio pro capite di carne in media per anno pari a venti kg a fronte dei trentacinque del 1969. Cambi di abitudine, mode, differente uso delle pezzature hanno portato a questo che è comunque un risultato positivo, anche se viziato da mille altre ragioni, non ultimo l’impoverimento complessivo medio dei cittadini. Consuetudini alimentari che, da una parte, hanno portato la dieta mediterranea (quella vera) alla ribalta internazionale e, dall’altro, ad una frammentazione di metodi di coltivazione, gestione degli animali, funzione stessa del cibo… che va a toccare fattori che poco hanno a che vedere con una alimentazione sana. I pranzi luculliani con centinaia di cozze, ostriche, astici, pezzature abbondanti di ogni tipo di animale, bovino, suino, selvatico, volatile, strisciante…a patto che faccia fare “bella figura” sta riprendendo gradualmente piede, dopo una lunga parentesi in cui, semplicemente, ci si vergognava di certi comportamenti da cafoni.  Situazioni ben conosciute che rendono cene e pranzi non solo il  coronamento delle più varie cerimonie, ma un evento mondano, quasi da vetrina che annulla le motivazioni originarie delle feste stesse…il momento conviviale fra amici, l’aspetto religioso o sociale. ….Semplicemente “se magna” e chi “magna” di più è perchè ha più disponibilità. Un ritorno indietro alla prima metà degli anni Novanta con, sotto sotto, nostalgie monarchiche, di blasone e di disprezzo della democrazia. Un motivo in più per trattare l’argomento. 

Quindi ben venga questa iniziativa…a cui CittaFutura dà la massima visibilità possibile (n.d.r.). 

In questi​ giorni, alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in Egitto, i leader mondiali stanno discutendo del futuro del nostro pianeta. E quindi del nostro futuro e del futuro dei nostri figli.​

Ma quello che ancora non hanno avuto il coraggio di affrontare sono gli impatti devastanti dell’allevamento intensivo, anche e proprio sulla crisi climatica

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Prendi posizione

​…

Il sistema alimentare globale causa sofferenza agli animali, danneggia la salute umana e alimenta la crisi climatica. Tutto ciò non può continuare: abbiamo bisogno di un’azione politica internazionale che trasformi il modo in cui produciamo cibo.

È per questo che siamo alla COP27: da qui lanciamo una campagna globale per ottenere dalle Nazioni Unite un accordo che ponga fine all’allevamento intensivo. Firma l’appello!

Lo stop all’allevamento intensivo

Dall’inquinamento alla crisi climatica, fino all’estinzione di specie selvatiche. Dalla crudeltà sugli animali, alla fame nel mondo e alla malnutrizione. Basta guardare con attenzione per accorgersi che al centro di quasi tutte le sfide globali c’è la produzione di cibo.

Negli allevamenti intensivi, miliardi di animali selezionati geneticamente per crescere a ritmi innaturalmente rapidi o produrre di più vivono rinchiusi tutta la vita. Il 40% della terra coltivabile in tutto il mondo viene utilizzata per nutrire gli animali degli allevamenti invece che le persone, contribuendo alla deforestazione e causando enormi perdite di habitat naturali. Il settore zootecnico è una delle principali fonti di emissioni globali di gas serra e una causa significativa di inquinamento di aria, suolo e acqua. Ciononostante, l’eccessiva dipendenza dalle proteine animali continua a crescere in tutto il mondo, contribuendo ad alimentare la crisi climatica.

Se i leader mondiali continueranno a ignorare gli impatti dell’allevamento intensivo, gli obiettivi climatici stabiliti nell’Accordo di Parigi risulteranno irraggiungibili.

Se non agiamo in fretta, la zootecnia intensiva diverrà una minaccia per la nostra stessa sopravvivenza. È necessario portare l’allevamento intensivo a fine corsa, o la fine sarà la nostra.

Un cambiamento radicale del settore alimentare

Un futuro più luminoso è possibile. Uno nel quale un’agricoltura più rispettosa della natura e del benessere animale permetta la rigenerazione dell’ambiente, un sostentamento equo per gli agricoltori e cibo nutriente per tutti. E ognuno di noi può fare la sua parte per trasformare questa visione in realtà.

Stiamo costruendo un movimento globale di cittadini, associazioni, ONG e aziende lungimiranti che chiedono ai leader mondiali di trasformare urgentemente il nostro sistema alimentare e di porre fine all’allevamento intensivo.

Il nostro messaggio ai leader mondiali

È necessario e urgente trasformare il nostro sistema alimentare. Se la comunità globale intende raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, dell’Accordo sul Clima di Parigi e della Convenzione sulla Diversità Biologica, è necessario agire per porre fine agli allevamenti intensivi.

Noi sottoscritti vi invitiamo a sviluppare un accordo globale sull’alimentazione e l’agricoltura da far adottare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di abbandonare l’allevamento intensivo e di:

  • Passare a sistemi agricoli positivi per la natura, che aiutino a ripristinare la biodiversità e i terreni e a mantenere l’aumento globale delle temperature medie al di sotto di 1,5˚C.
  • Diminuire l’eccessiva dipendenza dalle proteine animali nelle popolazioni che ne fanno alto consumo e sostenere un accesso equo e sicuro a cibo nutriente.
  • Garantire una giusta transizione verso un sistema alimentare globale che fornisca mezzi di sussistenza equi agli agricoltori e protegga i diritti delle popolazioni indigene, delle donne e delle comunità vulnerabili.
  • Garantire contesti normativi e finanziari che sostengano la suddetta transizione.
  • Garantire standard elevati di benessere degli animali.

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