Per il futuro dei giovani: fisco o ascensore sociale?

Forse è stato un dono di Dio la povertà in cui sono cresciuto. È nell’infanzia che ho imparato a resistere.

Nuto Revelli, Il prete giusto, Editrice La Stampa, Torino 2005

La proposta del Segretario del PD Enrico Letta di “introdurre una dote per i giovani al raggiungimento della maggiore età finanziandola con un innalzamento dell’imposta sulle successioni ereditarie relativa ai grandi patrimoni”,[1] lanciata in apertura della campagna elettorale, ha suscitato reazioni opposte sul piano politico, la più iniqua delle quali è la cosiddetta flat-tax, di dubbia costituzionalità, e che alimenta le disuguaglianze a favore delle classi sociali di reddito più elevate. La proposta del Segretario del PD in favore dei giovani ha inoltre suscitato alcune prese di posizione da parte di sociologi ed economisti. Tra queste ultime mi piace citare quelle della sociologa e filosofa Chiara Saraceno che suggerisce di dar vita ad un sistema fiscale che riduca “le disuguaglianze di opportunità dovute alle origini di nascita”, e dell’economista Vincenzo Galasso, il quale propone “l’adozione di una regola fiscale intergenerazionale”, in grado di “finanziare il tempo pieno alle elementari (…) aumentare l’offerta di asili nido (…) finanziare un reddito di formazione che aiuti l’inserimento dei giovani sul mercato del lavoro”.[2] Al pari della proposta di Letta, l’una e l’altra sollevano, tuttavia, alcune perplessità che proverò ad illustrare.

Pur avendo una sua logica, la proposta del Segretario del PD si scontra, innanzitutto, con l’inopportunità di averla lanciata all’inizio di una campagna elettorale, ossia fuori da un contesto più generale di una riforma complessiva del sistema tributario: una riforma che, come recita l’art. 53 della nostra Costituzione, ha da essere improntata alla progressività. Essa ha infatti suscitato reazioni avverse da parte delle forze politiche più conservatrici. Per questo tipo di proposte, come recita il testo della canzone di Milly, “si fa ma non si dice”, ossia la si realizza quando si è al governo, mentre durante una campagna elettorale “chi l’ha fatto tace, lo nega e fa il mendace”. Per di più, si scontra con le difficoltà di colpire i grandi patrimoni nelle loro molteplici forme di occultamento.

La filosofa Chiara Saraceno, Honorary Fellow del Collegio Carlo Alberto di Torino, dopo avere rammentato che la proposta di una “dote ai giovani” possiede “una lunga e nobile storia” che si rifà al pensiero di grandi economisti del calibro di Rowan Atkinson e Wilhelm Ackerman, sottolinea come non si tratti “di espropriare nessuno, ma solo di rendere un po’ più equo il sistema di tassazione, riducendo di un poco l’enorme vantaggio concesso a chi eredita molto”. Inoltre, in assenza di “alcun meccanismo compensativo, contribuisce a rafforzare, quando non a cristallizzare, la trasmissione intergenerazionale che vede l’Italia ai primi posti tra i paesi sviluppati”.

Mi chiedo, a questo proposito, e mi scuso in anticipo se farò qualche riferimento personale, come sia stato possibile a molti giovani della mia generazione, quelli nati nella Novi della fine della Seconda Guerra Mondiale, nella quasi totalità figli di operai con madre casalinga, di accedere agli studi universitari, e ad una trentina di essi di diventare accademici nelle più diverse discipline scientifiche sparsi nelle Università italiane e straniere.

L’economista Vincenzo Galasso, Professore Ordinario presso il Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Bocconi di Milano, dopo averci ricordato che “i giovani sono una categoria eterogenea e in continuo divenire: si è giovani, purtroppo, solo per poco”, scrive: “Aiutare i giovani non è semplice. Bisogna stimolare la crescita economica, riallocare la spesa pubblica e ridurre il debito pubblico. (…) Il primo passo di una politica veramente a favore dei giovani è l’adozione di una regola fiscale intergenerazionale.” Una regola fiscale in grado di “Finanziare il tempo pieno alle elementari (…), aumentare l’offerta degli asili nido (…), finanziare un reddito di formazione che aiuti l’inserimento dei giovani sul mercato del lavoro”.[3]

Mi chiedo, con riguardo a questa proposta, come avranno fatto quei due giovani speranzosi per i quali esisteva solo la famiglia o l’asilo infantile delle Suore di Don Bosco, per i quali, nell’incontro di orientamento scolastico alla fine delle scuole elementari, i rispettivi maestri hanno consigliato alle loro mamme di iscriverli alle scuole di Avviamento al lavoro in quanto: “Cosa volete mai che facciano quei due lì nella vita?”

Avendo incontrato degli insegnanti che sapevano valorizzare le capacità dei loro allievi, alla fine dei tre anni della Scuola di Avviamento (abolita qualche anno dopo con l’istituzione della Scuola Media Unificata) e i due anni delle Tecniche di Avviamento Commerciale, il più bravo dei due nella sessione autunnale ha superato l’esame di accesso al terzo anno dell’Istituto per Ragionieri del Collegio San Giorgio, mentre l’altro, assieme ad una dozzina di bravi giovani volenterosi della stessa classe, ha seguito un corso annuale, organizzato gratuitamente (nelle ore del dopo scuola) da alcuni loro insegnanti al fine di prepararsi in vista dell’esame di ammissione al quarto anno di ragioneria nello stesso Collegio San Giorgio, un esame che tutti hanno superato. Durante i due anni di frequenza della quarta e quinta ragioneria, venne istituito il cosiddetto “presalario”, che ha consentito ad alcuni di loro, che avevano superato l’esame di stato con una votazione superiore alla media, e appartenevano a famiglie con un reddito basso, di iscriversi all’Università senza nemmeno dover pagare le tasse di iscrizione.

E fu così che i nostri due giovani speranzosi (ed alcuni altri compagni di studi) ebbero la possibilità di accedere all’Università e, dopo essersi laureati ed aver preferito continuare a studiare, anziché accettare le proposte di lavoro presso una banca e/o di entrare a far parte di uno studio da commercialista, intrapresero la carriera universitaria, e con minore o maggiore difficoltà riuscirono ad affermarsi quali professori, rispettivamente, di Scienza delle Finanze e di Politica Economica. Questo percorso, che richiede il desiderio da parte dei genitori di consentire ai loro figli di migliorare la loro condizione sociale, nonché una certa dose di ambizione, di capacità e di determinazione da parte dei figli stessi, si chiama: “ascensore sociale”. Ci piacerebbe che questo termine e questo percorso entrasse a far parte delle proposte elettorali dei partiti che si avviano alle imminenti elezioni politiche.

La Salle, 29 agosto 2022

 Bruno Soro

  1. Cito dall’interessante articolo della sociologa Chiara Saraceno, “La dote ai giovani scelta di equità”, La Stampa, 2 agosto 2022, p. 29.
  2. V. Galasso, “Un fisco che sostenga i giovani”, Corriere della Sera, 14 agosto 2022, p. 26.
  3. V. Galasso, “Un fisco che sostenga i giovani”, Corriere della Sera, 14 agosto 2022, p. 26.

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