Il governo al cloroformio che fa bene al deficit

Si sa che l’accusa più pesante, per il governo giallorosso, è il trasformismo. I nemici di ieri che si alleano, la sordina alle questioni più spinose. E il Premier che spalma miele in tutte le direzioni, compreso il suo passato recente finito rapidamente in giudicato. Però, questo esecutivo al cloroformio, che dà sui nervi all’opposizione dura e pura e anche a quella radical chic, ha i suoi vantaggi. Innanzitutto economici. Sarà stata la reazione istintiva per il pericolo sovranista scampato, o la congiuntura finanziaria coi tassi di interesse negativi in molti paesi europei, ma l’Italia sembra in condizione di affrontare il suo debito pubblico a un costo molto inferiore rispetto a quello di prima dell’estate. Se dura la pax contea, la morsa sul nostro bilancio dovrebbe allentarsi un bel po’. A favore di questo nuovo trend, giocano due fattori. E uno contro.

Aiuta, innanzitutto, la ripresa del parlamento nei confronti delle leadership personali. Lo ha spiegato, con la consueta maestria, ieri, Sabino Cassese sul Corsera. Non è solo un fenomeno italiano. Le figuracce di Johnson e il probabile impeachment di Trump confermano che i leader sono indispensabili per sfondare, ma non per questo sono sufficienti a vincere la partita. Lo aveva già capito Renzi, ma il suo esempio non è bastato a Salvini che ha voluto provare di persona l’emozione dell’autodafè. Ciò non significa automaticamente che si sta aprendo – da Zingaretti a Conte – la nuova era musiliana del leader senza qualità. Ma almeno ci verranno risparmiati i battibecchi quotidiani con cui la cosiddetta democrazia del leader assediava l’agenda dei giornali. Con elettorati così fluidi, instabili e disorientati ci sarà sempre spazio per nuovi ed abili comunicatori. Ma non dovranno necessariamente essere dei rottamatori.

Il secondo fattore a favore dell’esecutivo al cloroformio sono le spoglie istituzionali da spartirsi. Innanzitutto, il seggio in Parlamento. Visto che verranno dimezzati, meglio tenerseli ben stretti. Tanto più che in primavera arriva la grande mattanza delle nomine. E tra due anni e mezzo si elegge il nuovo inquilino del Colle. Buttare tutto questo alle ortiche, non conviene a nessun peone. E – almeno per il momento – non si vede quale leader della maggioranza potrebbe essere interessato a far saltare – al buio – il banco.

Se dipendesse solo da loro, le nomenklature oggi al governo dormirebbero sonni tranquilli. E a guastarglieli non basterebbe l’incubo di Salvini, che ha perso la sua grande occasione e – a breve – comincerà anche ad avere qualche gatta da pelare in casa propria. Il pericolo viene dall’esterno. Da fuori del circuito politico. Cioè, dall’interno del paese. Il governo al cloroformio corre il rischio di narcotizzare anche se stesso. Dimenticandosi della diffusa – e perdurante – ostilità che la grande maggioranza degli italiani – votanti e, soprattutto, non votanti – nutre verso il ceto di partito. Non è un pericolo immediato. È improbabile che l’Italia diventi teatro – come è accaduto in Francia – di scontri di piazza, violenti e spesso incontrollabili. Ma le manifestazioni ambientaliste che hanno riempito le nostre strade confermano che i giovanissimi guardano verso orizzonti lontani da quelli di cui – a fatica – si comincia a parlare nei ministeri. E i dati sulla partecipazione attiva alla vita dei partiti confermano che la rete stenta a diventare strumento stabile di nuova discussione e aggregazione. A conferma che persiste un profondo scollamento tra la gestione quotidiana ordinaria e le esigenze – e i valori – dei settori più dinamici della popolazione.

Si dirà che per colmare questo vuoto – e raccogliere questa spinta – arriverà, prima o poi, un nuovo leader. In genere, succede così. E – insieme alle visioni – col leader arriveranno anche le tensioni. Con le ripercussioni inevitabili sulla tenuta dell’esecutivo, e su quella dei conti pubblici. Un meridionale famoso, li chiamava corsi e ricorsi. Meglio, allora, utilizzare al meglio questa finestra di quiete. Avremo – tutti – più spazio di manovra, quando tornerà la tempesta.

(“Il Mattino”, 30 settembre 2019).

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