Il “grande” Partito Democratico

Proprio nel Vangelo di domenica scorsa veniva riportato come destino di Israele: “Sarai il popolo eletto e il tuo territorio si estenderà dal Mare (Mediterraneo) all’Eufrate”.  Intendiamoci….massimo rispetto per le parole della Buona Novella… ma abbiamo imparato a prenderle con le pinze, con una “funzione orientante”, più che strettamente geografica (o religiosa). “Siete il popolo eletto e pertanto mi aspetto grandi cose da voi…” dice una voce da lassu’ .  “E mi aspetto anche che sappiate portare pace e fraternità” fino all’Eufrate, anzi oltre, al Gange, al Mekong e poi avanti avanti fino a ricongiungerVi con il Giordano. Una metafora, un invito ad assumersi responsabilità dopo che altri (nel caso storico-religioso citato, “altri popoli”) hanno fallito. Ecco, quello che sta succedendo nel PD pre e post-congressuale è qualcosa di simile: accelerare il percorso di coordinamento di tutte le “forze positive” a disposizione, evitare ulteriori strappi nel centro-sinistra e creare un equilibrio fra Segretario (Zingaretti) e Presidente (Gentiloni). Di fatto… una azione a tenaglia che tenga insieme “forze positive” (lo ripetiamo volentieri) interne ed esterne al partito. Forze che hanno capito che non si può gestire una amministrazione, tanto meno uno Stato, con l’occhio miope della difesa del proprio orticello e che hanno ben presente il peso (positivissimo) che ha assunto l’Europa: una potenza di primo piano a livello mondiale, sia economico che culturale. Allo stesso tempo l’ “eletto” Partito Democratico si sente investito di una non facile missione nel “territorio minato” dei diritti civili. Il no netto alla prossima manifestazione retrograda di Verona (che ha nell’onorevole Pillon della Lega solo la punta di un iceberg tutto da decifrare) va in quella direzione. Come pure il sostegno a tutte le iniziative di  difesa dei diritti LBGT, che vedrà – guarda caso – proprio Alessandria agli onori della cronaca, a breve. Ma l’investitura più rilevante, quella più densa di responsabilità, il PD se la gioca sui due piani interconnessi di  programmi e  strategie. Sui programmi riprenderemo il discorso alla fine, mentre sulle strategie  sono in corso varie operazioni ….

Sono sempre più vicine le elezioni Europee del 26 maggio e in diverse regioni importanti (tra cui il Piemonte) si terranno anche quelle regionali. L’operazione di Zingaretti (e del suo staff) è chiara: recuperare il più possibile consensi e candidature di qualità, anche fra chi si è distanziato dal partito in questi ultimi anni e promuovere attività sul territorio coese e collaborative fra candidati di differenti aree, uscite con un patto di collaborazione dall’ultimo congresso. Calenda, Pisapia e Pizzarotti hanno già dato chiari segnali di intesa e si prospettano per loro, e per diversi loro collaboratori, posizionamenti importanti e, probabilmente, “sicuri”.  Sono, d’altra parte, elementi chiave di quell’allargamento fondato su prospettive condivise, quello di cui si accennava  all’inizio. E’ vero, il progetto unitario di Calenda sembra sfumato, mentre +Europa  ha deciso di affrontare in solitaria la sfida elettorale ma si tratta di una fase, probabilmente obbligata; l’ex ministro dello Sviluppo economico, convinto che la partita europea sia decisiva, ha deciso di stringere ancor di più i legami con il “grande partito”. Pensa, sicuramente, ad un processo progressivo di maturazione fino al coordinamento vero di tutte le forze progressiste e riformiste. Ora poco redditizio anche per le particolari forme di votazione, basate sul “proporzionale”.

Anche l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia – in un’altra recentissima assemblea “dem” milanese  –  si è dichiarato della partita. Ha, però,  posto alcune condizioni: “Entro in lista, purché sia aperta e capace di unire inclusione innovazione e internazionalizzazione”. Belle parole che presuppongono scelte contenutistiche di qualità. E ben volentieri le riprendere a fondo intervento.

La disponibilità di Pisapia è stata, d’altra parte, salutata con piacere dal neo Segretario, che ha voluto esprimere la sua soddisfazione su twitter (ora usa così): “Felice per la parole di Giuliano Pisapia. Ricostruiamo una speranza per cambiare questa Europa, con la passione e l’impegno civile di Giuliano e di tante altre persone”.  Discorso simile vale per Pizzarotti, ex pentastellato, con un palmares di prim’ordine, essendo riuscito a svolgere bene il suo lavoro di Sindaco e a coagulare più forze civiche “di base” intorno al “progetto Zingaretti”.

E di questo “progetto” si è avuto un assaggio al recente congresso. Attenzione agli interventi, ascolto, partecipazione, quasi come se ci fosse di nuovo il gusto per il merito delle questioni, per chi ragiona e non urla, per chi cerca di capire l’avversario senza demonizzarlo. “Non abbiamo bisogno di un leader, ma di un partito con un leader” ha ripetuto più volte Zingaretti.

La svolta a sinistra (*) del Pd, intesa come sacrosanto tentativo di riconnettersi con il proprio popolo, è contenuta nella scelta delle sessioni di lavoro e delle persone che hanno preso la parola.

Il deus ex machina – nel caso specifico –  è stato Pierfrancesco Majorino, in ascesa per influenza e capacità di concretizzare le idee proposte. Si tratta dell’assessore che ha dedicato tutto il suo lavoro ad intessere una rete molto solida con mondi che – nel frattempo – il Pd renziano aveva sostanzialmente emarginato; oggi raccoglie un riconoscimento unanime da parte del mondo del volontariato, delle associazioni dell’impegno sociale, della lotta all’emarginazione e per i diritti civili. Insomma di tutti quelli che chiedono semplicemente alla sinistra di fare la sinistra. E lui, Majorino, accetta e ringrazia. “Siamo noi la periferia”, conclude così il suo applaudito intervento che lo incorona nuovo numero uno (o sicuramente tra i primi) a Milano.

La seconda considerazione riguarda l’approccio generale. Quasi tutti gli intervenuti hanno affrontato  il tema del momento: la rottura tra élite e popolo, e tutti vanno al sodo della questione e cioè che la colpa di questa rottura è delle élites, e non del popolo. Baricco (in particola l’Alessandro Baricco di “Game”) docet. Ma anche la riscoperta delle 14 tesi contenute in “Fascismo eterno” di Umberto Eco, presentano un quadro simile, specie per l “elitismo” e l’incapacità di comprendere / rispondere alle vere esigenze della gente comune..

Colpisce come a Roma si sia riusciti a trattare di argomenti non facili, senza particolari attriti e freddezze. Si è discusso  di crisi sociale, di come ricostruire i corpi intermedi, di diritti dei riders, di “smettere di avere la puzza sotto al naso”, come afferma il sociologo Aldo Bonomi. Che conclude il suo intervento con un appello che sembra un mantra per una sinistra smarrita: “stare dentro, mettersi in mezzo, occuparsi dei volti, perché solo dopo vengono i voti”.

L’ultimo aspetto riguarda la politica. In sala il nemico principale è stata – e non poteva essere diversamente – la Lega di Salvini. In questo forse sta la ragione di fondo della scelta di abbandonare Renzi al suo destino. Che è quello di guardare ad un’area più moderata (ve lo ricordate il “partito della nazione”? Al congresso di Roma nessuno ha ipotizzato alleanze con i 5 Stelle, che peraltro al Nord non hanno sfondato (è sempre Majorino a ricordarlo) e  faticano a fare allo stesso tempo opposizione e i rappresentanti del socio di maggioranza del contratto di governo. Viene ribadito più volte che in alcune aree dello Stato  i 5 Stelle non mordono, non sono in campo…e si capisce che uno degli obiettivi è (e sarà) quello di sottrarre ulteriore credibilità ai pentastellati.

Riprese poi in più interventi, anche dallo stesso Zingaretti, questioni costituzionali e “strutturali” che hanno caratterizzato l’attività del governo renziano fino al referendum del 4 dicembre. Sostanzialmente si è ribadito che il problema non era l’eliminazione del Senato o le nuove competenze istituzionali (su cui, anzi, in molti hanno sottilineato interesse e accordo), quanto piuttosto nel modo in cui si è arrivati al passaggio referendario. Non vissuto collegialmente e con una personalizzazione su Matteo Renzi che ha fatto la differenza in negativo. Un tema, questo della nuova architettura istituzionale, che sarà a breve ripreso nelle due Camere, con proposte – già depositate – di diminuzione drastica dei parlamentari e di cambiamenti in chiave “presidenziale”, con il solito spirito “semplificatorio”. E lì tutto il centro-sinistra dovrà mostrare maturità e compattezza. Ribaditi per la loro validità i profili economico-amministrativi già peculiari dei governi Renzi e Gentiloni, si è posto l’accento sulla vacuità dei mezzi proposti dal governo “giallo-verde” sul reddito di cittadinanza (che è diventato un’altra cosa) e sulle modalità pericolose di superamento della legge Fornero. Temi centrali nel dibattito politico che verranno ripresi e approfonditi nei prossimi mesi infuocati di campagna elettorale. Insomma “il grande PD” cerca di coagularsi su tre – quattro questioni base, puntando al recupero di aree perse in precedenza per posizioni contraddittorie e poca disponibiltà a comunicare quanto di buono è stato fatto. E la “grande Israele” come il “grande” PD , deve mostrare che, si hanno ambizioni di ampia rappresentanza, bisogna operare alla pari con gli altri, comunicare correttamente e saper ascoltare…

E’ iniziata una campagna di recupero posizioni in grande stile….  a breve si vedranno i risultati.

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