Il Governo dei No quale futuro può garantire al Paese?

Il governo giallo – verde continua a muoversi su una linea di propaganda elettorale fatta di tanti NO. No all’Expo, No alle olimpiade a Roma, e quindi a 3 miliardi di euro del Comitato olimpico internazionale, che alle infrastrutture della capitale più disastrata d’Europa avrebbero fatto abbastanza comodo. No ai giochi invernali ed estivi, sovvenzionati in parte dal Comitato Olimpico Internazionale. No all’alta velocità non solo tra Torino e Lione, ma pure tra Brescia e Trieste. No al gasdotto per la Puglia. No ai grandi cantieri. No all’apertura domenicale delle attività commerciali. Grillo proponeva addirittura di chiudere l’Ilva di Taranto e di trasformare l’intera area in un parco naturale. Agli oltre 14.000 occupati offriva il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza, secondo i grillini dovrebbe essere il risarcimento per la distruzione del lavoro. Lo Stato non garantisce il lavoro che non c’è più, ma garantisce un reddito. Le risorse necessarie si prendono da chi possiede di più.

Siamo in presenza di una filosofia che punta alla deindustrializzazione del Paese e offre una soluzione assistenzialistica, basata sull’appiattimento sociale, pensando che basti affrontare il lato dei consumi senza considerare quello della produzione della ricchezza che solo il lavoro può garantire insieme alla dignità della persona. Un conto è una persona che attraverso il proprio lavoro produca ricchezza, conquista diritti e dignità sul piano sociale, un altro conto è creare assistiti senza prospettiva e quindi privi di diritti e di dignità. 

Negli ultimi quarant’anni l’automazione ha ridimensionato il lavoro operaio, oggi la rivoluzione digitale sta distruggendo il lavoro dei bancari, degli assicurativi, degli agenti di viaggio. Nel comparto commerciale, intere categorie rischiano di essere messe  fuori mercato dal web: grossisti, rappresentanti, trasportatori e commessi sono sovente sostituiti da un clic. Professionalità ed esperienze in poco tempo rischiano di essere spazzati via. Un disastro sociale che richiede uno sforzo di inventiva, di diversificazione, di lavoro, altro che serrande abbassate la domenica.

La rivoluzione tecnologica richiede a sua volta una rivoluzione organizzativa, culturale, formativa e scolastica della società che solo le istituzioni pubbliche, in primo luogo, insieme ai centri di ricerca privati, debbono assicurare.

In uno studio del Massachusetts Istitute of Tecnology e dell’ateneo di Utrecht, dal titolo “ L’automazione sposta il lavoro? ” secondo cui, aggregando i dati sinora disponibili, si giunge alla conclusione che il totale dei posti di lavoro creati dall’introduzione dei robot è superiore a quelli che vengono distrutti, ma coloro che perdono il lavoro non sono necessariamente gli stessi che svolgono quelli creati perché richiedono qualità professionali differenti. “ Una conferma più lampante – Dice Maurizio Molinari, Direttore de “ La Stampa” (9/9/18), viene dalla Gran Bretagna dove, secondo una ricerca di Deloitte, negli ultimi 15 anni l’automazione ha portato alla distruzione di 800 mila posti non qualificati ed alla simultanea creazione di 3,5 milioni di impieghi qualificati la cui remunerazione media è di 13.500 dollari in più. Analogo processo si registra negli stabilimenti della BMW degli Stati Uniti, dove l’innovazione dei processi produttivi ha portato ad un raddoppio degli occupati e nelle miniere australiane.

Questi studi arrivano alla conclusione che i robot non stanno sostituendo gli esseri umani ma trasformano radicalmente il mercato del lavoro. Creando un nuovo equilibrio a favore degli impieghi più qualificati dove genio, creatività e competenza rendono l’uomo superiore alla macchina. Tutto ciò può generare straordinarie opportunità di sviluppo se governi ed aziende private investiranno in maniera strategica nella formazione e nell’innovazione, tanto delle nuove generazioni come dei lavoratori più anziani, mentre se tali scelte tarderanno si rischia di assistere ad un drammatico aumento delle disuguaglianze economiche e sociali”.

L’Italia è il secondo paese manifatturiero d’Europa dopo la Germania e non possiamo immaginare per questo nostro meraviglioso Paese un futuro basato solo sul turismo. Accanto al turismo, al patrimonio paesaggistico, archeologico, storico e culturale, delle nostre città e dei nostri borghi, deve convivere e crescere il settore agricolo, dell’alimentazione di qualità, oltreché del comparto vitivinicolo, quello commerciale e quello industriale che vanta eccellenze nei settori della moda, delle automobili, dei mezzi di trasporto, dell’industria del legno e dell’arredo, dell’industria metal meccanica, della chimica, della gomma, della farmaceutica, dell’oreficeria e della ricerca spaziale.

Un vero “governo del cambiamento” dovrebbe darsi come grande obiettivo la riduzione della frattura tra ricchezza e lavoro, lottare contro la finanziarizzazione dell’economia, tassando i padroni della rete, i giganti della finanza, i signori dei paradisi fiscali.

I fatturati di Google, Apple e Microsoft equivalgono complessivamente al Prodotto interno lordo della Francia. Nel 2016 Microsoft ha presentato in America un bilancio in perdita, con zero tasse, ma il suo vero utile è finito nei bilanci societari in Irlanda, in Lussemburgo, a Singapore e Porto Rico, dove l’aliquota fiscale oscilla tra l’11 e il 15 per cento. Per un totale di 5 miliardi di imposte risparmiate in un solo anno.

Non si comprende come un pur timido tentativo di far pagare qualcosa ai padroni della rete, come il voto dell’Europarlamento sui diritti d’autore, venga considerato da Di Maio “una vergogna”. Di Maio con chi sta?

Prima o poi, quando la bolla della propaganda demagogica si sarà sgonfiata, e i tempi per scaricare sugli altri tutte le responsabilità per le cosse che non  ci piacciono, si sarà esaurito, come è avvenuto con Berlusconi e poi con Renzi e sta avvenendo a Roma con la sindaca Virginia Raggi e a Torino con la sindaca Appendino, allora anche gli elettori italiani si renderanno conto che i pifferai portano solo alla perdizione. La politica a sua volta deve imboccare la strada del buon senso, della serietà e dei programmi realisti finalizzati allo sviluppo e alla crescita dell’occupazione, puntando in primo luogo sulla formazione e sulla scuola.  

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