Il mangime vestito a nuovo

Il riso, prima di essere immesso sul mercato, subisce ben cinque diversi trattamenti, noti sotto il nome di “brillatura” onde acquisire l’aspetto che tutti noi conosciamo. Sono operazioni abbastanza complesse e per questo relativamente costose. Il riso “non brillato” dovrebbe pertanto costare meno di quello che ha subito l’intero trattamento. Invece no. Costa quasi il doppio. Chi è riuscito in questo abile controsenso speculativo è il giovane rampollo di una dinastia tessile biellese, estromessa dal mercato industriale dopo note disavventure economiche. Il fanciullo in questione, non potendo più campare sul tessuto, ebbe la geniale idea di introdurre in Italia, con un oculato lancio pubblicitario ed a prezzi altissimi, la cosiddetta dieta “macrobiotica”, già nota per essere utilizzata all’estero da alcune minoranze hippies, che riuscivano a vivere con pochi soldi cibandosi con sottoprodotti alimentari. Poiché l’idea era brillante,gli imitatori non sono mancati. E così oggi abbiamo  un “mercato macrobiotico”in cui, tramite una catena di raffinati negozi, si vendono, al prezzo del caviale e del salmone, mangimi animali del tutto rigorosamente identici a quelli che si possono trovare sugli ineleganti banconi dei consorzi agrari, usati per l’ingrasso dei bovini. Poiché, si sa, l’acquirente più è sprovveduto più è  sensibile all’esotico, le etichette sono sempre scritte in inglese o in tedesco ed  i pesi espressi in libbre nonché in once. Al macrobiotico, che va ad officiare i suoi riti alimentari nei nuovi templi dell’irrazionalismo economico e dell’ incultura gastronomica, si rifila il “sale greggio”, perciò ricco di sabbia e sassolini ( lo stesso che normalmente viene dato alle mucche gravide al prezzo di 20 lire al chilo), facendoglielo pagare ben 900 lire. La soia, ottima per l’ingrasso dei maiali e che costa 90 lire al chilo a prezzi industriali, ha un prezzo di più di 2000 lire, mentre il grano, che tra l’altro è di scarto essendo sminuzzato e per uso avicolo, arriva alle   1500 lire. La segala, buona per i cavalli, viene messa in vendita a 1 900 lire. Lo zucchero macrobiotico, di colore giallino come quello prodotto durante la guerra quando per risparmiare sul costo di produzione non veniva interamente raffinato, lo si paga invece 2 000 ire. Se l’acquirente di turno è ancora più svanito, gli vendono invece una bottiglia con “acqua garantita di fonte e zucchero di canna disciolto”. In questo caso lo zucchero lo paga 4 000 lire al  chilo. C’è poi tutta una varietà di semi industriali per oleifici (colza, sesamo ,ravizzone, malva, il cui prezzo non supera le poche decine di lire al chilo), racchiusi in minuscoli e delicati sacchettini che qui viene a costare dalle 6 000 alle 8 000 lire al chilo. In mezzo a questo mercato che ha ormai raggiunto prezzi da inflazione tedesca degli anni Venti, non manca tutta una serie di alghe,  erbette, radici e foglie dai nomi esotici e dai costi ancora più allucinanti. Anche il tè dei macrobiotici è del tutto particolare. Non è fatto di foglioline rinsecchite, ma di tanti frammenti di bastoncini. Come mai? La spiegazione è semplice. I tanto apprezzati ramettini sono in realtà lo “scarto” della lavorazione industriale del tè, essendo costituiti dai gambi e dalle costolature delle foglie che normalmente vengono buttati via o venduti a prezzo infimo alle poverissime popolazioni del Terzo mondo che non possono permettersi il consumo del tè autentico. Il macrobiotico naturalmente lo paga quattro volte di più dei migliori tè indiani ed inglesi. Per spiegarci  è un poco come comprare le bucce della banana ad un prezzo superiore a quello del frutto. Visto che il fertile campo dei mangimi per sprovveduti si sta mostrando una miniera d’oro per chi sprovveduto non lo è per nulla, ma prospera riccamente sulla stupidità altrui, si sta pensando di estendere ulteriormente la gamma del mercato. E’ pertanto apparso recentemente anche il “dentifricio macrobiotico”. Di che cosa sia fatto è scritto sulla  confezione: argilla e silice. Pesa un etto e costa 1 000 lire. Il che vuol dire che normale fango mescolato a comune pomice per lavare le pentole, o peggio ancora a sabbia, viene venduto a    10 000 lire al chilo. Ed ecco ultimi arrivati anche i “saponi macrobiotici”, fatti con “grasso animale genuino”, repellentemente mollicci, un tantino maleodoranti, di indubbia fattura casereccia, di cui si riconosce a prima vista la ricetta. Sono stati ottenuti facendo bollire della sugna bovina (80 lire al chilo se comperata all’ingrosso) con banalissima soda; come si faceva nel 1944, ma allora c’era almeno la scusante della guerra. Tra l’altro questi infimi grassi saponificati contengono più acqua che sapone e se non usati subito c’è rischio di vederseli svanire nel nulla. Al solito con allucinata coerenza il prezzo è terrificante: siamo di molte volte al di sopra di quello dei più raffinati prodotti della profumeria francese di alta classe.

(*) Aydin GUIDO MANZONE

L’ESPRESSO 7 SETTEMBRE 1975

Un nuovo testo di Guido che rilanciamo con piacere , ripensando a lui con molto affetto e nostalgia.

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