Il terremoto di Lisbona

Nella metà del 1700 la città di Lisbona era una delle città più ricche e popolose dell’Europa con i suoi 150.000 abitanti. Il porto era uno dei più frequentati dai mercanti europei da e verso le Americhe e l’Africa.

Anche se l’impero portoghese nel XVIII secolo era ormai in declino irreversibile nei confronti di quello olandese ed inglese conservava ancora molti punti di appoggio e di scambio nel mondo del commercio internazionale. Era quindi una grande città cosmopolita e con una notevole storia architettonica.

Nel 1755 però un disastroso terremoto ne cambiò radicalmente la storia e il volto. Il terremoto raggiunse una magnitudo tra gli 8,5 e l’8,7 della scala Richter ed aveva il suo epicentro a poche decine di chilometri dalla città e fu accompagnato anche da un maremoto. L’evento fu sentito in Africa ( sparì un intero paese in Marocco ), Europa e anche in America. La citta fu letteralmente rasa al suolo e perì il 30% della popolazione in poche ore. Alla scossa seguì come sempre in questi casi una epidemia di colera che continuò a mietere vittime e disorganizzazione nelle strutture sociali ed economiche del paese. In altre parole per il Portogallo si chiudeva bruscamente ed in modo irreversibile una lunga fase storica.

Il terremoto fu l’occasione per gli intellettuali europei per avviare una approfondita riflessione sugli eventi disastrosi. Si faceva riferimento alla imprevedibilità dei terremoti e alla sostanziale casualità della vittime. In un mondo spirituale che aveva al centro la concezione del peccato e della virtù, delle punizioni e delle ricompense, una morte causata da un evento improvviso, imprevisto ed inevitabile disturbava le categorie analitiche del mondo. Il Portogallo stesso era una nazione cattolica e la distruzione di tutte le chiese di Lisbona poteva essere letta anche come una terribile punizione divina di fronte a comportamenti collettivi non cristiani.

Attoniti alla notizia del terremoto anche gli illuministi si ponevano la domanda di come collocare il terremoto di Lisbona entro un quadro complessivo di riferimento che prevedeva una progressiva presa del mondo da parte della ragione.

Kant, ad esempio, cercò di immaginare quali fossero le cause fisiche del terremoto , iniziando una riflessione teorica che alla fine porterà alla nascita della geografia scientifica. Ma fu Voltaire che nei suoi scritti, in particolare il Candide approfondì con grande realismo la presa d’atto dell’arbitrarietà della natura. Allora era in polemica con gli allievi di Leibniz che continuavano a vedere il nostro mondo come il migliore dei mondi possibili.

Oggi stiamo attraversando un periodo che può essere classificato come un lungo terremoto: era imprevedibile il tempo della epidemia, colpisce senza tener conto di meriti o colpe e non si riesce a definire un nemico che l’abbia scatenato con intenzioni malvagie. E di sicuro ha cambiato il modo definitivo il nostro mondo e ci pone di fronte al vero “nuovo” con il quale possiamo valutare l’intera gamma degli atteggiamenti delle persone e dei commentatori . Di sicuro stiamo aspettando Voltaire che ci dica qualcosa di sensato in un racconto, con un romanzo o una riflessione.

Cesare Manganelli

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