La caduta del Federale

Nella piatta Lomellina, dove regna il silenzio degli orizzonti, gli abitanti avevano protetto il loro disincanto. Le vicissitudini della Storia, segnata dalle ideologie e dalle religioni, sembravano disperdersi nella vasta pianura senza aver ragione di quelle genti.

Quando fu terminato il ponte pedonale che univa le due sponde del Po, la popolazione della zona venne richiamata per l’inaugurazione. Sarebbe stata un’occasione per dimostrare l’attaccamento al regime di quel popolo di irriverenti più votati alla crapula che all’amor di patria.

Nessuno doveva mancare: i balilla, le piccole italiane, la maestra che si era spesa a insegnare agli scolari l’inno patriottico, la banda del paese, le autorità civili,  il maresciallo e l’appuntato della vicina stazione dei Carabinieri, tutti resi uguali dalla sudata calura di quel sabato di maggio e dalla stanchezza dell’attesa che aveva eroso la fragile compostezza dei presenti.

Ogni tanto la vedetta, scorgendo in lontananza il sollevarsi della polvere, era accorsa ad annunciare l’arrivo del Federale. Tutto si metteva in moto… dai comandi  imperiosi  a significare l’italico orgoglio, al frastuono della banda, al vociare dei bambini rimessi in riga dai latrati della maestra: falsi allarmi fatti apposta per sfinire gli astanti che ormai ciondolavano da un piede all’altro sognando di sdraiarsi sotto le fronde vicino al fiume.

Sul far del mezzogiorno, quando anche il logoro entusiasmo per la festa era finito nel Po, la nuvola di polvere vanamente annunciata aveva preso forma di verità. L’automobile nera con l’autista avanzava verso l’argine tra incredulità e delusione. Mentre la puntualità è prerogativa delle menti nobili e delle regine, ancora una volta si dimostrava l’arroganza di chi la trascuri per affermare un potere transitorio.

L’adunata pareva ormai una rappresentazione grottesca: le divise impolverate, gli abiti stropicciati, le facce stravolte. Alcuni si erano tolte le scarpe: le donne si ricomposero in fretta mentre gli uomini rimasero con le stringhe pendule senza possibilità di porvi rimedio. Mancava il tempo.

Dalla portiera tenuta aperta dall’autista comparvero i neri stivaloni, le gambe rivestite d’orbace  e infine il Federale tutt’intero.

Basso e corpulento si ergeva in tutta la sua brevità, la mano sul fianco, il mento proteso come il braccio intento al saluto romano. Il suo Duce, dopotutto, aveva fatto tanta strada pur avendo le stesse proporzioni e poi l’italico maschio si distingueva per doti assai più “leggendarie della statura.

Tutto si svolse come previsto ma  in modo affrettato e privo solennità.  Anche il Federale, che considerava l’evento  poco gratificante per l’importanza che attribuiva a se stesso,  si era speso in poche parole di circostanza.

Non restava che inaugurare il ponte quale ultimo atto di quell’infausta mattinata. Dopo il taglio del nastro toccava a lui percorrerlo per primo.

Indossava il peso dell’uniforme che comprendeva, oltre gli stivali, il cinturone stretto sulla pancia come una tortura, la pistola e il cappello con l’aquila dentro il quale il cranio ribolliva. Così mal disposto intraprese la traversata con passo marziale raccogliendo le ultime forze. Alla fine l’automobile, che già lo attendeva dall’altra parte, l’avrebbe accolto lasciando sfumare l’eco degli applausi.

Giunto a metà del ponte uno strano scricchiolio, un ruggito di ferraglie come bestia ferita ed un tonfo di materiali che sollevarono una colonna d’acqua come l’apocalisse, fecero in pochi attimi ciò che nessuno mai avrebbe potuto prevedere in quell’assolata mattina di maggio.

Non un grido, non un “oh” sfuggirono al Federale paralizzato nell’attimo fatale dell’incredibile circostanza. L’ultima sua immagine di vita lo ritrae rigido come un siluro… e come tale precipitare eretto nel fiume insieme al ponte, trascinato al fondo dai pesanti stivaloni e dall’amata divisa intrisa d’acqua.

Il Po, tornato a scorrere col suo tranquillo andare, si richiuse come una tomba sul Federale e  mai più ne restituì le spoglie.

Nessuno accorse, nessuno fiatò. Stavano tutti lì impalati a guardare il paesaggio restituito al suo ordine naturale quale presagio d’un futuro prossimo poi, come guidati dallo stesso richiamo, volsero le spalle al fiume riprendendo la strada di casa.

(Ispirato a un fatto realmente accaduto)

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