La caduta di Mario Draghi

I fatti ultimi della politica italiana sono in breve questi: il governo Draghi cade alla fine di luglio, il Presidente della Repubblica, senza fare nessuna consultazione delle forze politiche per verificare se vi è ancora una maggioranza, decreta lo scioglimento delle camere e fissa il voto per il 25 settembre. Si discuterà molto sulle responsabilità da accreditare alle varie forze politiche per aver causato la crisi finale della legislatura; il sottoscritto è convinto che le colpe di aver accelerato la fine di un governo, che per molti aveva esaurito la sua spinta, non sia solo di Conte e dei 5 Stelle, ma che lo stesso Draghi abbia operato per ‘liberarsi’ di un impegno che lo stava ingessando in un ruolo probabilmente per lui, non più sostenibile. Il Centrodestra, con le loro dichiarazioni in aula al momento del voto di fiducia, hanno dato la spinta finale perché si precipitasse velocemente verso il lavacro elettorale. Che lettura dare di tutta questa vicenda? Per capire qualcosa dei movimenti profondi che regolano i rapporti fra ceti sociali e politica, credo si debba in premessa ricordare come, almeno dai primi anni novanta, governi Amato e Ciampi, le relazioni sociali sono sempre state gestite, con un rapporto di forza sempre più spostato a favore delle classi imprenditoriali e possidenti, da ministeri tecnici, o così denominati, che con la delega di partiti che si concedevano una ‘vacatio’ rispetto alle loro responsabilità, varavano riforme che ristrutturavano il paese in molti settori chiave. L’Italia, pur con molte storture e ritardi, era certamente un grande paese ad economia mista, con un tasso di sviluppo decente, con i primi segnali di una crisi del debito pubblico e di tenuta del sistema industriale, ma ancora con gli strumenti programmatori per innovare la propria manifattura e lo stato. Oggi siamo una economia di mercato, lo stato ha pochi strumenti programmatori,  gli insediamenti industriali sono in declino verticale, il debito pubblico è alle stelle, le storture sociali non sono mai state così rilevanti. I vari governi ‘tecnici’, soluzioni sempre chiamate a difenderci dalla inettitudine della politica, hanno fallito? Pare si possa dire così, e credo che questa sia la vera ragione della caduta di Draghi e del suo ministero ormai incapace di gestire una crisi sociale che si preannuncia devastante, e che la guerra, che è tornata in grande stile in Europa, sulla quale questo governo ha schierato il paese senza tentennamenti a difesa delle tattiche americane, rischia di aggravare pesantemente. Credo, a questo punto che si ponga un quesito importante; il governo della tecnica è uno strumento valido per superare la crisi politica e sociale che abbiamo di fronte, per impostare adeguatamente l’economia nella fase della grande ristrutturazione delle strade di comunicazione della logistica mondiale? Per chi scrive la risposta è decisamente negativa. Se si guarda all’atteggiamento che ha la maggior forza politica che si contrappone alle destre, o che vi si dovrebbe contrapporre, ovvero il Partito Democratico, si coglie il dato che tale organizzazione ha scelto di identificarsi con ‘l’agenda Draghi’. E questa ‘agenda Draghi’ che cosa è se non la schematica contrapposizione fra governo della tecnica, degli elitari ‘migliori’, e il governo delle forze populiste che esaltano le distruttive pulsioni del popolo. Ma questa contrapposizione è per molti versi falsa. Sia il populismo, che il tecnicismo, credono, pur con soluzioni in parte diverse, al ruolo subalterno delle masse, che possono solo essere coinvolte per tifare per il ‘capo della nazione’ che a turno viene proposto. Il popolo può solo o votare o inneggiare al potente che chiede dall’alto una investitura popolare, appunto. Diverso era il ruolo di mediazione che avevano nella prima Repubblica i corpi intermedi, sopratutto i partiti, che chiamavano il popolo, organizzandolo, non solo a votare ma anche a partecipare con consapevolezza alla definizione della decisione pubblica. Oggi, per combattere i populismi, non è efficace il governo elitario della tecnica, ma il ritorno ad un governo democratico e partecipato, mediato da nuove forme della organizzazione politica di massa. Solo così si potranno riconquistare i ceti popolari sfuggiti nel consenso al centrosinistra, e che rischiano di essere la forza decisiva oggi per un nuovo avanzamento delle destre di più svariata natura. Inoltre, il progetto economico che sta dietro alla costituzione del ministero Draghi, non prevede una uscita dalla crisi grazie a nuove e adeguate politiche Keynesiane, ma semmai prevede un inasprimento dello sfruttamento del lavoro per recuperare efficienza produttiva di sistema e maggiore capacità di penetrazione nei mercati mondiali. Ma questa tattica economica liberale e liberista ormai sconta la sua totale inefficacia di fronte alla ridefinizione dei mercati mondiali, ( il cambio delle reti logistiche globali sopra citate),  e cede potere al ritorno in grande stile della logica militare e di guerra che lo scontro con Russia e Cina rendono ormai più che attuale. Il dominio liberista della grande finanza, come traino della crescita, non mi pare sia più possibile di fronte all’esplodere dei fenomeni inflattivi, al chiudersi delle vecchie rotte commerciali, alla inefficienza degli apparati produttivi e statali. La tecnica deve lasciare spazio ad un ritorno della politica, ovvero della decisione collettiva che discerne tra alternative sociali e di civiltà presenti sul terreno, pena il reiterarsi di una crisi sociale che trattata con le vecchie politiche a salvaguardia dei vecchi interessi elitari, non potrà che rendere ingestibile la vita nelle nostre metropoli. Per battere le destre ci vuole un ritorno della politica, alla grande politica. Se invece, si resta nel piccolo cabotaggio, se le forze democratiche si nascondono dietro al governo Draghi, non valgono i flebili appelli alla costituzione di ampi fronti di difesa democratica o le petizioni di principio contro il populismo e per la salvaguardia della democrazia, si otterrà l’unico effetto di dividere le forze progressiste fra chi è più draghiano e chi lo è meno, e tra chi si contrappone all’ultimo ministero in carica e chi lo difende a spada tratta, favorendo così una vittoria delle destre che si preannuncia schiacciante. In mancanza di idee forti, di profonde e irrituali riflessioni sulla crisi sociale del presente, le forze democratiche saranno sempre divise e perdenti nel nostro paese e forse non solo nel nostro paese.

 

Alessandria 16-08-2022

 

 

Filippo Orlando

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