La contaminazione delle falde acquifere di Spinetta causata da Solvay

Il procedimento penale nei confronti della multinazionale Solvay avente per oggetto l’inquinamento del suolo e delle falde acquifere di una vasta area di Spinetta Marengo si è concluso come noto con la condanna di alcuni dirigenti. Ma il fatto più rilevante è il contenuto della sentenza della Suprema Corte, resa pubblica nel dicembre2019, che definisce quanto avvenuto “Disastro ambientale di amplissime proporzioni” e lo ritiene causato da Solvay ed Ausimont le quali “dopo aver assunto la gestione del sito….., constatato il prosieguo della contaminazione …..avrebbero dovuto direttamente adottare i rimedi per scongiurare pericoli alle persone ed all’ambiente…….eventualmente anche interrompendo la produzione e gli sversamenti nel sito…”. Solvay già nel 2008-2010 per porre termine a tale grave forma di inquinamento avviò la cosiddetta “Messa in Sicurezza Operativa” ( M.I.S.O.) che consistette principalmente nella realizzazione di una “Barriera idraulica” avente lo scopo conclamato di impedire la fuoriuscita dei contaminanti dal perimetro dello stabilimento.

Nel corso del 2019 Solvay formulò richiesta alla Provincia, Ente competente in materia, di ampliamento dell’impianto di produzione del composto chimico denominato cC6O4. Tale composto sostituisce il PFOA , la cui produzione è stata vietata a causa della dimostrata nocività tramite accordo intercorso fra le principali industrie chimiche ( conferenza di Stoccolma). Esistono per altro fondati sospetti che il cC6O4 sia altrettanto nocivo: di tale problema abbiamo ampiamente trattato e continueremo a farlo. Ma non è questo l’aspetto di questo scritto che verte su quanto è emerso nel corso delle conferenze dei servizi gestite dalla Provincia atte a concedere l’autorizzazione all’incremento di produzione del cC6O4. L’ARPA ha inoltrato una circonstanziata relazione (Pratica G07_2019_00307 – B2.02. Contributo ARPA per Conferenza dei servizi del 23/06/2020 riguardante AIA -Solvay) che illustra il rilevante inquinamento tuttora presente nella falda acquifera sottostante il sito produttivo ed ampia parte della zona esterna ad opera delle sostanze chimiche storicamente prodotte e tuttora presenti in quantità stimabile in circa 500.000 m3 all’interno dello stabilimento e che per solubilizzazione e lisciviazione si sono disciolte nella falda . Ma oltre a tali sostanze ( CrVI, solventi clorurati e fluorurati, cloroformio, arsenico , ADV 7800, etc) ARPA ha rilevato la presenza di cC6O4 con concentrazioni anche superiori a 200 μg/l ( i limiti in discussione al Ministero Ambiente sono di circa 0,5 μg/l !) . Orbene il cC6O4 è entrato in produzione nel 2013 e quindi ben oltre la data di acquisizione del sito da parte di Solvay (2001) e della realizzazione della “Barriera idraulica”. La sua presenza nelle acque di falda all’interno ed all’esterno dello stabilimento è prova di due gravissimi fatti. Primo: l’impianto di produzione ha delle perdite che dilavano nel suolo e raggiungono la falda sottostante. Secondo: la barriera idraulica non esplica correttamente la sua funzione di trattenimento all’interno dei contaminanti. Quindi oltre al cC6O4 anche tutte le altre sostanze inquinanti non sono trattenute e continuano a fuoriuscire smentendo la tesi sostenuta da Solvay che siano da attribuirsi a produzioni precedenti alla sua acquisizione del Sito ( acquisizione avvenuta nel 2001). La presenza del cC6O4, esplicante la funzione di tracciante, è in buona sostanza la prova che la contaminazione continua ad essere operante. Inoltre ARPA ha documentato che una quantità rilevante di CC6O4 è immessa nel fiume Bormida dal condotto di scarico proveniente dal depuratore della Solvay. Ed è questa la presumibile causa del ritrovamento nelle acque del Po nel Veneto fino al Delta del fiume. E importante precisare, in quanto, anche artatamente, vi è confusione in merito, che i limiti dei quali si tratta nei tavoli tecnici al Ministero dell’Ambiente riguardano la concentrazione dei PFAS ( e il cC6O4 appartiene a tale famiglia) negli scarichi dai siti produttivi. Il dilavamento in falda – rilevato da ARPA nel sito SOLVAY- non deve avvenire assolutamente. Qualora avvenga si configura come azione criminosa.

Concludendo. E’ provato che l’impianto di produzione del cC6O4 e per lecita estrapolazione anche altri impianti causano dilavamenti in falda di sostanze di sintesi e che i provvedimenti adottati per impedire la fuoriuscita di sostanze contenute all’interno dello stabilimento ( leggi “barriera idraulica”) non funzionano correttamente. Per tali motivi è del tutto ragionevole richiedere che le lavorazioni causa di perdite siano immediatamente sospese ( il cC6O4 in primis) e che vengano realizzate opere tali da impedire in ogni condizione la fuoriuscita delle sostanze inquinanti dal perimetro del Sito. Tale richiesta è in accordo con la sentenza della Corte di Cassazione precedentemente citata e all’affermazione del Procuratore Generale di Cassazione nell’udienza del 12 dicembre 2019 “..una bonifica in atto non legittima la possibilità di continuare ad inquinare il sito”.

Spinetta Marengo, 14 febbraio 2021 Claudio Lombardi

( Comitato Stop Solvay, Legambiente)

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