La guerra in diretta

Il film si svolge ininterrotto da una rete all’altra sostenuto dalla presenza di opinionisti d’ogni tendenza cui si deve riconoscere la pervicacia nell’elaborare teorie e interpretazioni della realtà attimo per attimo. I nuovi eroi di questa rappresentazione sono gli inviati che ci aggiornano dalle zone di guerra, ai quali va la gratitudine per il coraggio e la passione con cui forniscono un servizio rischioso e indispensabile alla comprensione degli eventi, supportati dagli operatori che li seguono ovunque.

Sono immagini pervasive che provocano un’alternanza di sentimenti, dall’indignazione alla compassione, dietro alle quali permane un sottofondo d’incredulità: pare impossibile che stia succedendo proprio qui, vicino a noi e con noi, come se la sequenza delle guerre che hanno seguito il conflitto mondiale fosse stata cosa da riguardarci distrattamente. Non un momento di pace e lo sconforto nel constatare che le lezioni del passato non insegnino nulla.

Vedere la distruzione senza discernimento né pietà genera orrore per la disumana determinazione dove le testimonianze di una storia, che alimentano il valore dell’appartenenza, vengano cancellate insieme alle tante vite innocenti. Non esiste limite alla bestialità come se le azioni distruttive, il rischio della vita e la perdita dei riferimenti che costituivano regole di convivenza, dovessero indurre alla feroce quotidianità di un esercito in guerra. Eppure le ricordiamo le facce di quei giovani militari russi varcare il confine sui carri armati, ancora ignari del come del quanto.

Siamo anche noi in guerra … una guerra ambigua: forniamo armi, comminiamo sanzioni di cui ignoriamo le conseguenze, ancora poco consapevoli della direzione finale degli eventi, il tutto condito da esternazioni che poco hanno a che fare con la prudenza della diplomazia. La guerra ha cancellato la preoccupazione per la pandemia nel racconto televisivo che su alcuni canali si svolge ininterrottamente.

Le immagini scorrono inesorabili nella loro brutalità soffermandosi sui volti dei sopravvissuti che si aggirano come fantasmi tra le macerie, sui cadaveri abbandonati per strada, sulle madri che stringono i bambini, sulla diaspora di un popolo che cerca altrove la salvezza, sulle separazioni delle famiglie e su chi resta esponendosi a tutti i pericoli di un invasione. E come un rito abominevole, che si ripete senza soluzione di continuità nelle zone di guerra, è la violenza sulle donne, torturate, stuprate, barbaramente uccise e ritrovate come stracci: è la parte oscura dell’uomo che, indotto all’orrore della guerra,emerge con disumano accanimento.

Zelensky. Non ho mai avuto attitudine alle santificazioni tenuto conto dei tanti esempi di “ascese” seguite da rovinose cadute. Già l’impiego di quelle anime belle del battaglione Azov mi fa torcere il naso come l’imprudente richiesta, per ora negata, di aerei da combattimento.

In compenso è stato ampiamente rifornito di armamenti (con particolare generosità da Biden, esempio fulgido di diplomazia che fa danno ogni volta che apre bocca). Gli Americani poi, che hanno fatto guerre per ogni dove perdendone la maggior parte, in quanto a diplomazia e rispetto dei diritti umani hanno davvero poco da insegnare.

Questa interpretazione dei fatti del tutto personale non aggiunge nulla al sentimento diffuso di chi come me ascolta, legge e vede con una pervasiva percezione d’incertezza sul futuro che tutti ci coinvolge.

Marina Elettra Maranetto

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*