La Pasqua una volta l’anno è “troppa”

Così pure il Natale… tanto risulta accelerato il bestiario augurale al quale volente o nolente ti devi adeguare.” Ma come … non hai what’sapp?” E alla fine, ignara delle conseguenze, ma allettata dai benefici dell’applicazione, ho ceduto anch’io.

Ho una specie di usignolo che mi avverte, così che nell’anno i pochi eletti iniziali con i quali avrei il piacere d’interloquire, si sono moltiplicati a vista, un cinguettio in sequenza. Una volta catturata non puoi recedere se sei una persona garbata e se m’infilassi in qualche “social”,come accade ai più con incomprensibile soddisfazione, non mi resterebbe tempo per vivere.

Stupefacente constatare che non vi siano differenze generazionali. Tutti allo stesso modo aggrappati all’infido macchinario che subdolamente sottrae spazio da impiegare nobilmente. Così ammaestrata dall’esperienza sfibrante dei giorni precedenti il Natale, mi ero ripromessa di battere tutti sul tempo per poi vivere tranquilla la Pasqua con la mia pratica evasa: io sono di quelle che dedicano un pensiero non copiato che almeno da un punto di vista comunicativo conservi un briciolo di valore … lo stesso che attribuisco a chi lo dedica a me. Invece… .

Invece una pioggia estenuante di filmati cretini, immagini con frasi preconfezionate di uova, pulcini, fiocchi, galline, agnelli predestinati al sacrificio del pranzo pasquale che dovrebbero commuovere di tenerezza e che consumi avidamente il giorno dopo. Almeno io non sono ipocrita e li assaporo da convinta onnivora. Basta un clic a diffondere l’augurio “oves et… universa pecora” all’infinito. Dove il merito? Con altrettanto clic tutto finisce nella spazzatura. Non ti senti prescelto ma omologato,sommerso, obbligato. Invece… .

Invece si presenta l’indimenticabile ricordo del dono di mio padre per i miei dieci anni, una promozione all’adolescenza: l’elegante scatola di biglietti da visita d’un grigio tenue e il mio nome stampato in corsivo a caratteri blu. Perché i modi si insegnavano con i gesti, la coerenza e l’esempio, non con le parole. E quando scrivevi gli auguri erano personalizzati e pensati. E occorrevano i francobolli … e poi dirigersi alla Posta per inviarli ed era una piccola emozione ogni volta che aprivi la cassetta delle lettere e leggevi il tuo nome: qualcuno aveva davvero pensato a te al punto d’impegnarsi tanto. Oggi posso solo riconoscere il merito di comunicare velocemente un pensiero, un’immagine da condividere con i pochi che fanno parte del tuo Parnaso per incorniciare ed integrare rapporti abituali.

Basta guardarsi in giro: per strada, al bar, al ristorante, tutti aggrappati al “coso” da cui è impensabile separarsi, e ti afferra l’angoscia al pensiero di dimenticarlo o pederlo… anche se hai vissuto lunghi anni di libertà facendone meravigliosamente a meno.

Ho un’amica viaggiatrice che sapendo del mio culto della la scrittura non manca di provvedermi di pregiata carta da lettere di varia provenienza, biglietti decorati di lavorazione artigianale per far fronte ad ogni esigenza e alimentare il mio piacere estetico.

Qui in città non trovi più nulla e se chiedi la carta da lettere ti guardano come una da mandare al macero proprio come la carta in questione. Il passato merita un salto per chi non ne abbia la minima cognizione … chiamiamola consapevolezza della Storia la cui ignoranza dimostra oggi, in senso lato, le triste conseguenze.

Negli anni cinquanta il telefono era ancora un lusso. Molto diffuso era il duplex, condiviso con un’altra famiglia solitamente dello stesso stabile per dividere le spese. Passare al singolo era già una conquista. Gli apparecchi erano neri, pesanti, a muro o da tavolo, molto simili a quelli d’anteguerra. Non esisteva privatezza poiché ogni rara telefonata era vissuta come una circostanza familiare. Arrivarono i telefoni colorati e di varia foggia ma come uscivi di casa eri ancora meravigliosamente non rintracciabile e se partivi per altri lidi ci si limitava a notificare l’arrivo e il ritorno a casa.

Il piccolo telefono che ci portiamo appresso è la spia dei nostri passi,la terza mano appesa al collo, nella tasca, nella borsa da cui è quasi impossibile distrarsi. Se lo tieni spento a lungo rischi il 118 sotto casa o i vigili del fuoco … tanto più a Pasqua e a Natale, davvero “troppi” una volta l’anno.

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