L’arte di Berthe Weill

  Place aux Jeunes”

Esther Berthe Weill nasce a Parigi il 20 novembre 1865 in una famiglia ebrea alsaziana della bassa classe media, una di sette figli e muore a L’Isle-Adam il 17 aprile 1951. Ebbe un ruolo importante per il suo forte sostegno all’avanguardia pittorica parigina, la si ricorda per la vendita del primo quadro di Pablo Picasso e di Henry Matisse e per avere allestito, nel corso della breve vita di Amedeo Modigliani, l’unica sua mostra personale.

E’ nel 1901 , con l’aiuto di Mañach, un broker di opere di pittori spagnoli, e con l’investimento di 375 franchi, soldi stanziati per la sua dote,che inaugurò la “Galerie B. Weill” e si dedicò alla promozione dei giovani pittori (“Place aux Jeunes ” il suo motto).

La sua galleria rimase in vita fino al 1939 anche se, nonostante il notevole numero di artisti divenuti famosi dopo esser passati dalla sua galleria, rimase povera per tutta la sua vita, tanto che nel 1946 molti pittori che lei aveva sostenuto tennero un’asta di loro opere e le donarono il ricavato in modo che potesse vivere in po’ più confortevolmente gli ultimi anni.

Non ho mai pensato che Berthe avesse aperto la sua Galleria per far soldi e credo che il suo contributo a quello che è poi diventato il mercato dell’arte sia stato accidentale. Berthe in quel piccolo spazio nutriva la Bellezza e da questa era nutrita. Nel suo essere minuto, era attenta alle piccole cose del quotidiano, curiosa delle vite degli altri, non per amore del pettegolezzo, tutt’altro, ma per l’amore che da dentro spinge a realizzare i sogni, a credere nelle nascoste possibilità che la Vita offre, dove anche la miseria fugge per lasciare il posto a quella povertà che rende l’essere umano autentico.

Quando non si ha, non si pretende nulla, ma si fa fruttare il poco che nasce e cresce nelle nostre mani e lo si condivide, stretti nel gelo dell’inverno e nudi nell’afosità delle giornate più calde, dove il sole pare una conchiglia d’argento e l’immaginazione vola alta. Berthe, vestita di nero, occhi cerchiati dagli occhiali e anche dalla fatica, appendeva i dipinti con le mollette dei panni lungo i fili tesi nel suo locale dove l’Arte era di casa con quei suoi discorsi che s’intendono meglio con un bicchiere d’assenzio o una tazza di tè, dipende dal tuo dolore la scelta di cosa bere.

Credo che oggi Berthe soffra nel vedere come abbiamo ridotto l’Arte e soprattutto l’Arte della Vita. Lei che teneva sulla stufa il caldo da offrire a quei giovani spiantati, che entravano dentro la sua Galleria come dentro ad un utero buono, bisognosi non di solo pane. E qui ci si saziava, solo così si può sopravvivere alla mancanza esteriore, nutrendosi dentro e insieme. E di questo Berthe era Maestra. Mi sembra di sentirle quelle voci, accenti francesi, italiani e spagnoli, mani colorate con le unghie sporche, pennelli che profumavano l’aria con quell’odore di trementina che addestra al bene anche i peggiori.

Nel 1933 Berthe pubblicò le sue memorie, una storia di trent’anni di attività che vide diventare famosi, attraverso l’esposizione delle loro opere nella sua Galleria: Raoul Dufy, Andrè Derain, Maurice Vlaminck, Diego Rivera, Georges Braque, Kees Van Dongen, Maurice Utrillo, e il suo ruolo fu importante anche per la promozione di pittrici come Susanne Valadon, Emilie Charmy e Jacqueline Marval .

di Patrizia Gioia

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