Le celebrazioni mancate nei giorni del contagio

Non solo la Benedicta, la Festa della Liberazione e il Primo Maggio, ma anche le Vittime civili dei bombardamenti della seconda Guerra Mondiale –    

“Uno dei comportamenti che sta diventando abituale nella difesa dal contagio è la ricerca della distanza con l’altro e gli altri. Camminando, se ci si incrocia, uno dei due cambia direzione, la copertura del volto, poi, accentua l’anonimato e i saluti si riducono a brontolii o a cenni delle  mani. Una consuetudine certo obbligata e virtuosa per ridurre la rischiosa invadenza del Covid-19, ma che impedisce i contatti, le riunioni, gli incontri e muta nel profondo i rapporti sociali. A soffrire sono e saranno le pubbliche celebrazioni che scandiscono le ricorrenze civili della nostra democrazia.

Ai primi di aprile, quest’anno, non siamo saliti a Capanne di Marcarolo per ricordare i martiri della Benedicta. Non celebreremo, accanto ai cippi delle stragi e alle lapidi dei caduti, la Festa di Liberazione dal nazi-fascismo. Così come il 1° Maggio non ci saranno i cortei e resteranno vuote le piazze dedicate al valore del lavoro e ai diritti sociali. Certo ci si sta ingegnando per sopperire attraverso il web e le televisioni all’obbligo di disertare i luoghi e gli spazi pubblici. Si preparano le “piazze virtuali” del 25 aprile, ci si predispone a cantare “Bella ciao” e “Fratelli d’Italia” dalle finestre e i Sindacati hanno deciso di trasferire sulla rete 3 della Rai il tradizionale “Concertone” della Festa del Lavoro.

Insieme a questi, però, anche altri appuntamenti mancheranno nella nostra città.

Mi riferisco, in particolare, al ricordo delle Vittime civili dei bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Un appuntamento che in questi anni è cresciuto nella pubblica attenzione, soprattutto, dopo che il 30 aprile del 2015 è stato inaugurato, in una sala del Municipio alessandrino, il “Memoriale”. Un dipinto di sei metri per tre di Massimo Orsi che riporta i 559 nomi delle Vittime dei bombardamenti anglo-americani e ricorda a tutti noi la tragedia che Alessandria ha vissuto nell’ultimo anno della guerra.

Quest’anno, il 5 aprile, non si è svolta la tradizionale messa in Cattedrale con le associazioni civili e militari e i ragazzi delle scuole per commemorare la “strage degli innocenti”, dei bambini e delle suore dell’asilo di via Gagliaudo, crollato sotto le bombe nel ’45, a pochi giorni dalla fine del conflitto. Così non si svolgerà il 30 aprile l’incontro con i ragazzi della “Zanzi”, al quartiere Cristo, sotto la lapide che ricorda le vittime del primo bombardamento avvenuto nel ’44. Mentre, pandemia permettendo, auspichiamo sia possibile onorare di persona il 5 settembre, sotto la targa a loro dedicata, le 42 vittime del massacro nel rifugio di Borgo Cittadella.

In assenza di celebrazioni ufficiali spendiamo noi qualche parola per non dimenticare quei lutti e quei sacrifici che hanno preceduto la Liberazione, la fine della guerra e la pace. E lo facciamo anche per onorare le persone anziane, nei confronti delle quali il coronavirus si sta particolarmente accanendo, le sole ormai che hanno memoria diretta di quegli accadimenti. Ragazzi nati negli anni ’30 e bambini dei primissimi anni ’40.

Il primo massiccio bombardamento si è abbattuto sulla città, appunto il 30 aprile ‘44, domenica, poco dopo mezzogiorno, trovando la popolazione sorpresa, impreparata e senza difese. Sarà anche l’attacco più sanguinoso con 239 vittime. I bombardieri americani scaricarono tonnellate di bombe scortati da aerei caccia che scendendo in picchiata a quaranta metri d’altezza mitragliarono strade e piazze affollate di gente. Le zone più colpite, il quartiere Cristo e la Pista, rioni popolari abitati, in prevalenza, da ferrovieri, operai e impiegati. Gli stabilimenti della Mino e della Borsalino subirono importanti danni. Furono gravemente lesionati anche diversi edifici pubblici e chiese del centro: il Duomo, la chiesa di S. Alessandro, il palazzo Trotti Bentivoglio, la Biblioteca storica del Risorgimento, la Quadreria Trotti, la Casa Michel agli Orti, il Palazzo dei Commercianti e la sede della Croce Rossa. Nella notte di lunedì primo maggio la città, a poco più di 24 ore dal primo attacco, fu nuovamente bombardata dagli inglesi con ordigni incendiari sganciati su tutto l’abitato. Colpito da una bomba incendiaria crollò in rovine il settecentesco Teatro Municipale e presero fuoco innumerevoli case. In quello stesso giorno chi si era salvato, ed era nella condizione di poterlo fare, abbandonò Alessandria diventando uno sfollato.

I bombardamenti proseguirono lungo tutti i mesi dell’anno, coinvolsero e colpirono l’intera città e proseguirono sino alla liberazione che ad Alessandria è avvenuta il 28 aprile ‘45. L’ampiezza degli attacchi portati non aveva, con tutta evidenza, solo il compito di distruggere la stazione e lo scalo ferroviario, il secondo per importanza dopo quello di Bologna, ma di terrorizzare la popolazione civile.

Al termine del conflitto Alessandria, insieme  alle vittime civili e ad oltre 2.000 feriti, contò 45 giovani immolati  nella lotta di Liberazione e 36 deportati nei campi di sterminio. E nella ripresa dovette fare i conti con la completa distruzione di 10 mila abitazioni, di numerosi edifici comunali e scolastici.”

Renzo Penna

Alessandria, 18 aprile 2020     

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