Le istituzioni secondo Di Maio

Stop. Battuta d’arresto. Anzi, brusca retromarcia. Per quelli – e sono parecchi – convinti che i Cinquestelle si fossero convertiti alle regole del sistema democratico, l’autoconsultazione quirinalizia a mezzo web di Di Maio è una doccia gelata. Non virtuale. Costituzionale. Il voltafaccia parademocristiano – niente più vaffa, vi accoglieremo tutti – era suonato un tantino strumentale. Ma si sa, un leader politico – soprattutto se comanda il suo partito attraverso un server privato – può cambiare idea – e linea – a piacimento. Quindi, anche se un po’ affrettati, potevano essere comprensibili i guaiti di gioia con cui la stampa aveva accolto la svolta inclusiva dell’ex partito antisistema. Addirittura l’inizio di un processo inesorabile di istituzionalizzazione. Già. Solo che le istituzioni hanno le proprie regole. E quelle della formazione del governo sono – per nostra fortuna – dettate dalla Costituzione, e da settant’anni di prassi ininterrotta della democrazia dei partiti.

Invece, già da qualche settimana, Di Maio va avanti a testa bassa – non alta – nella propria personalissima interpretazione di quello che il Capo dello Stato dovrebbe fare subito dopo il voto. Anzi, come si è visto dal perentorio messaggio mail, anche prima. Intendiamoci. Sul piano della comunicazione politica, si tratta di una furbata. Furbacchiata. Che rischia, però, di trasformarsi in un clamoroso autogol. Fino alla e-lista di ministri, Di Maio si era limitato – si fa per dire – a pretendere che l’incarico gli fosse conferito ipso facto – anzi, ipsis numeris – non appena le urne domenica gli avessero regalato il verdetto di capo del partito più votato. Una mera formalità, perché si sa che i sondaggi lo hanno già incoronato. Ma, fino all’altroieri, Di Maio aveva avuto – come si dice – la creanza di pazientare fino a quando si fosse completato il noioso iter elettorale. Poi – si sa come sono i giovani – deve aver perso la pazienza. E dato che la lista dei ministri non sarebbe entrata in un tweet, ha inviato a Mattarella una mail.

Ora, non è proprio il caso di ricordare ai lettori – come hanno fatto ieri autorevoli costituzionalisti – che questo atto rappresenta un vero e proprio sgarbo – e sgorbio – istituzionale. La prerogativa di scegliere il presidente incaricato spetta al Capo dello Stato, a seguito delle consultazioni coi partiti, e sulla base della convinzione maturata che il prescelto abbia buone chance di formare una maggioranza a sostegno di una compagine esecutiva. Quindi, nessun automatismo col leader del partito più votato. Come ricorda bene Bersani, che inutilmente cercò una investitura che Napolitano non gli offrì, convinto –  a torto o a ragione – che il segretario del Pd non avesse le carte per assemblare i numeri. Di Maio lo ricorda bene anche lui. Ed è proprio per questo che fa finta di non saperlo, e aizza i suoi seguaci ad accampare un diritto inesistente. Per rendere – mediaticamente – più credibile quella che giuridicamente resta una bufala infondata, ecco che arriva un’altra fake news: la lista dei ministri immaginari presentata per mail al supremo custode della legalità costituzionale. Con due conseguenze che andranno attentamente soppesate.

La prima è che – purtroppo – i Cinquestelle avranno – forse – perso un po’ di pelo, ma non il vizio. Il disprezzo delle istituzioni resta una loro costante. E se questo è l’antipasto del pranzo che intendono servire dopo il voto, c’è da essere – molto – preoccupati. Un messaggio che vale soprattutto per quelle forze politiche che pensano che sarà facile sedersi intorno a un tavolo e provare a impostare un dialogo. Se Di Maio si inventa le regole per la formazione del governo, cosa non potrà combinare quando si tratterà di concordare, pazientemente, i dettagli e le procedure di un accordo «semplicemente» politico?

L’altra conseguenza è la pressione che questo tipo di atteggiamento può esercitare sul capo dello stato. Intendiamoci. Il presidente è un politico di lungo corso. E ha le spalle costituzionali molto larghe. Non è uno che si lasci tirare per la giacchetta da nessuno, e tantomeno da una mail. Sulla cui recezione – saggiamente – ha glissato. Evitando – con una reazione polemica – di amplificare l’effetto mediatico, come avrebbe voluto Di Maio. Dopotutto, come sa bene Casaleggio, molte mail finiscono in spam. Soprattutto quelle non richieste. Però, non facciamoci illusioni. Sono tutti segnali che fanno presagire il clima arroventato con cui i Cinquestelle metteranno a soqquadro il dopo elezioni. Di Maio non ha soltanto una propria – legittimissima – idea della politica. Ha una sua idea delle istituzioni, e di quello che – non – sta scritto nella carta costituzionale. E questa è una pessima notizia.

                                   (“Il Mattino”, 28 febbraio 2018)

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