Le novità sul fronte occidentale

Il processo di unità europeo è giunto in questi ultimi anni di fronte ad un bivio molto importante. Da un lato vi è la scelta che i paesi più forti costituenti il ‘nocciolo duro’ debbono compiere per costruire un unico organismo nazionale coerente politicamente, dall’ altra vi è la strada che conduce a trasformare un mercato unico e un unica moneta in una confederazione ‘labile’, tenuta insieme più per le ragioni strategiche dell’ alleato imperiale americano che per reali legami di solidarietà interni al continente.

Per fondare su solide basi le ragioni della pace nella nostra Europa dopo due laceranti guerre mondiali, chi scrive ritiene che vi sia una terza strada non contemplata dai trattati europei ma che appare più solida e lo sarebbe stata se fosse stata intrapresa. Mi riferisco alla idea di cooperare fra paesi europei grazie alla regolazione degli scambi commerciali e finanziari sostenuti dalla istituzione di una ‘ moneta comune’, la quale consenta a tutti i paesi di espandere la propria domanda interna senza temere le sanzioni dovuti agli equilibri della bilancia commerciale e dei pagamenti con l’ estero. Keynes, su questo, aveva speso molte energie per far passare la sua impostazione a Bretton Woods e per consentire che la espansione economica generalizzata delle domande interne di tutti i paesi costituisse col tempo un progresso tale di civiltà che larghe masse non avrebbero più consentito il ritorno delle vecchie politiche dei sacrifici e della austerità.

Purtroppo le alternative sul terreno non sono quelle desiderabili; infatti, l’ Europa oscilla fra il sogno degli ‘Stati Uniti d’ Europa’, ovvero una Confederazione in cui ciò che è l’ elemento comune è il mercato ma non le condizioni sociali, oppure una rievocazione della ‘Europa carolingia’ in cui la forza dei paesi economicante più forti impone agli altri la propria guida svuotando piano piano gli elementi delle sovranità nazionali.

Commentatori autoravoli, con toni preoccupati, hanno segnalato sulla stampa in questi ultimi giorni, la difficoltà dei governi nazionali di passare da una fase di enunciazione di principio sulla rifondazione dell’ Unione ad una implementazione di fatto di tale progetto. Tutti sanno che dopo il verificarsi della Brexit e con la constatazione che il futuro della moneta unica non può essere lo stantio ripetersi della depressione economica presente, è necessario un salto di qualità verso una unione politica, anche a costo di dover selezionare i paesi maggiormente pronti ad andare con celerità verso l’ unità pienamente politica. Ma appena si passa dall’ annunciare un obiettivo al praticarlo nei fatti ecco che non si trova l’ intesa praticamente su nulla.

Da un lato i paesi del gruppo Visegrad accentuano il loro isolamento non solo sul tema dei migranti, mentre un altro insieme di paesi, guidati dall’ Olanda, bocciano con parole chiare il piano per creare un fondo monetario europeo e per il ministro unico delle finanze. La stessa Germania appare poco entusiasta di scrivere nuovi trattati insieme alla Francia e si oppone sempre in principio a qualsiasi ipotesi di redistribuzione delle risorse fra paesi dell’ Unione.

Vi è dunque da chiedersi che cosa sia oggi l’ ideale europeista e da quali esigenze storiche nasca e inoltre per quale motivo vi sia stata processualmente una tale deviazione dall’ ideale europeo tanto sbandierato negli appelli retorici. Mi convinco sempre più che la costruzione europea, pur nella diversità delle fasi storiche che si sono susseguite nel corso di settant’ anni, sia stata determinata dalla spinta esterna degli USA e dalla necessità dell’ ordoliberismo tedesco. In sostanza l’ Europa ha tentato un processo unitario in termini militari e economici perchè tutta compresa, sopratutto nella sua parte occidentale, dentro al quadrante geostrategico americano. L’ Europa è una ‘Marca’ di confine del vasto impero anglosassone e come tale non può che ritrovarsi condizionata e ‘giocata’ come carta utile nel prossimo conflitto fra USA, Russia e Cina.

Anche l’ esperimento Euro va inquadrato nel contesto della ideologia economica dominante nell’ impero, ovvero l’ idea che è il mercato capitalistico il centro della vita sociale ed esso, se lasciato agire liberamente, sarà in grado di suscitare addirittura processi politici e statuali di vasta portata.

Ma al di sotto di questa tendenza generale e dominante si agitano, oggi forse più di ieri, le vecchie linee di scontro fra le nazioni europee, scontri fra riottose province esterne di un vasto impero del mare, le quali cercano di rivivere le condizioni di un passato glorioso.

L’ europeismo di cui avremmo bisogno fa perno sulla esigenza di pacificare con politiche adeguate un continente che si è ferocemente dilaniato nel corso di due guerre mondiali. Lord Keynes scrivendo delle conseguenze della pace dopo gli accordi di Versailles, individuava le ragioni strutturali, economiche, civili e sociali, per costruire realmente una Europa della pace e della giustizia duratura.

Ma Keynes sapeva bene che erano le politiche assurde deflazioniste e austere del cancelliere Bruning e quelle necessitate dallo ottuso mantenimento del Gold Standard che favirirono l’ ascesa del nazismo e l’ avvio di una drammatica seconda guerra mondiale.

Avremmo bisogno per rifondare un vero pensiero europeista di rileggere le esortazioni e le facili profezie di Lord Keynes, mentre oggi si scambia per gramde sentimento unitario ed europeo la difesa di una moneta che per nulla ha unito i popoli europei e semmai li ha gravemente allontanati.

Che accadrà, dunque, al termine del QE della BCE? Dato il contesto economico internazionale determinata dal rialzo dei tassi e dalla contrazione della domanda mondiale, è molto probabile che la crisi dei titoli di stato si riacuisca nei prossimi mesi nell’ avvicinarsi della doppia scadenza del QE e della presidenza Draghi della BCE. Gli squilibri commerciali fra paesi del sud e del nord Europa non possono essere sanati se non dentro ad un completamento politico e istituzionale dell’ Unione che preveda una modifica dello statuto della Banca Centrale, tesa a farne la tutrice della crescita dell’ occupazione e non guardiana del pericolo dell’ inflazione, e che istituisca una europa dei trasferimenti interni con quote di bilancio comunitario più consistenti delle cifre risibili di oggi.

Ma è proprio la costruzione di una Europa politica e sociale che è contrastato dalla Germania e dalla Olanda oltre che da numerosi paesi della parte orientale del continente. Le divisioni fra i governi dell’ Unione, con buona pace dei tentativi di dialogo fra Macron e Merkel, sono aumentate negli ultimi mesi su tutti i fronti; dalla immigrazione al tema del super ministro delle finanze, dalla Europa dei trasferimenti al consolidamento dell’ esercito europeo, dalla politica monetaria espansiva alla questione della ‘governance’ continentale. Più che una unione una Babele dal destino segnato.

Tuttavia vi è un tema che mi appare più rilevante. Negli ultimi quarant’ anni l’ unità continentale si è data attorno al credo che sarebbe stata l’ unità monetaria e un mercato unico a compattare politicamente e socialmente i paesi europei. Prima la moneta dello stato; contro ogni evidenza storica, sarebbe stata l’ economia, nei suoi principi dominati dai concetti di individuo, proprietà, impresa, a creare grazie a una moneta unica lo stato. Purtroppo si è in realtà determinato che la economia di mercato, quando pensa di guidare i processi politici in base alle sue priorità, invece di innescare dinamiche naturali e spontanee, crea grovigli di questioni politiche, sociali, nazionali e storiche pressochè irrisolvibili.

Una moneta sola ha creato allontanamento fra le nazioni, i popoli e le culture. Una moneta unica per avere il dominio dei più forti sui più deboli.

Vi è una necessità che sia la politica democratica a capire e a guidare i processi, contestando la naturalità degli automatismi del mercato capitalista. E questo dovrebbe avvenire prima che sia tardi, prima che il nazionalismo con le sue dinamiche, incida profondamente nel tessuto ideale e sociale europeo nuovamente con esiti nefasti.

La sconfitta dell’ idea che sia moneta e mercato a creare con i propri automatismi lo stato, è la sconfitta della civilizzazione liberale e fintamente progressista che ha dominato la cultura dell’ Occidente negli ultimi decenni.

Si parla di populismi ad ogni piè sospinto, ma in realtà si tratta di nazionalismo, variamente graduato e con caratteristiche caso per caso peculiari, il quale è la diretta conseguenza della competizione insita nella idea del mercato capitalistico. Si compete fra classi, nazioni e fra persone; si compete fra generazioni e fra uomini e donne; ogni solidarietà è severamente bandita.

A ciò si potrà rispondere solo con un altra idea della civiltà umana basata sulla cooperazione e sulla giustizia. Per avere una idea altra di Europa è necessaria una concezione della politica che sia al di sopra dell’ istinto del mercato e della competizione selvaggia che ad esso si accompagna.

Ma di ciò, forse, parleremo in un altra occasione.

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