Le  “ sardine “ e lo spirito del ‘93

Tutti quelli nati prima degli anni Ottanta dello scorso secolo si ricordano perfettamente della notte di aprile del 1993 quando si raduno’ una folla vociante e, sostanzialmente, inferocita appena fuori dell’Hotel Raphael di Roma. Era la serata che concludeva un mese in cui si rincorrevano notizie di tangenti e ruberie che, un po’ qui un po’ là, stavano definitivamente rovinando la c.d. “Prima Repubblica”. Il bersaglio, nello specifico, era Bettino Craxi e il suo staff ma, a ben vedere, sotto accusa era tutta una classe politica ritenuta incapace, nella migliore delle ipotesi. Tangentata e condizionabile fino alle midolla nella peggiore e, alla lunga, più realistica valutazione. Tra quella primavera e l’estate successiva si concludeva, ingloriosamente, la storia della Prima Repubblica per cominciare un nuovo percorso. D’altra parte questa spinta alla trasparenza e ad una effettiva democratizzazione delle decisioni era nell’aria almeno da una decina d’anni, dai tempi del famoso “C.A.F.” il consorzio parapolitico che gestì l’inizio vero del declino economico e industriale, prima ancora che morale, della nostra Italia. L’acronimo, per chi non lo sapesse, era riferito al triumvirato di allora, Craxi, Andreotti, Forlani. Due referenti delle varie anime democristiane e un pacificatore, più o meno tollerato, delle correnti socialiste. L’obiettivo era il mantenimento del potere, dividendolo se necessario con fidati collaboratori e amici nel primario obiettivo di “non far cambiare nulla”. Un modus vivendi che ritrovavi ovunque, nei Ministeri, nelle Scuole, negli Ospedali, nelle Forze Armate.  Si trattava del mitico “sistema” che, come predicavano alcuni cantautori del tempo, doveva essere “affossato”. E così fu. Il popolo che si voleva far sentire si appellò al diritto di non ascoltare chi non era sufficientemente preparato per un determinato compito oppure chi, semplicemente, era stato messo “sullo scranno” esclusivamente per meriti altrui. Con conseguenti scambi di favori. Sempre lo stesso popolo si riuniva, così come avvenne il 30 aprile del 1993, per far sentire a tutto il mondo la propria rabbia tanto da essere ricordato per il refrain “Vuoi pure queste, Bettino, vuoi pure queste?” (riferendosi a monetine da 50, 100 e 500 lire). Ma quella pioggia di monete irridenti non sortì l’effetto sperato, anzi. Non si risolse nulla girando le spalle ai veri o presunti pescecani di allora, perché i problemi erano ben più complessi e si stavano drammaticamente affastellando. Proprio perché l’involuzione che ha portato alla perdita di credibilità della nazione italiana era cominciata molto prima. Praticamente all’indomani dello sgonfiarsi del boom industriale con l’incapacità del padronato degli anni Sessanta e Settanta di innovare, facendo partecipare direttamente le maestranze (che allora c’erano) agli utili delle aziende. La loro ingordigia, il loro scarso senso civico e l’incapacità di saper interpretare le novità irrimediabilmente prossime, hanno condannato alla marginalità una intera comunità. Anche allora i cittadini, le semplici persone del popolo, provarono a fare massa, addirittura fondando  una forza politica che esplicitamente si autodefiniva “La rete”… Ma fu tutto inutile. La soluzione non era dare contro ad una o dieci persone, identificate con il male assoluto, ma nell’analisi – anche impietosa – delle motivazioni dello scasso generale. Ma questo necessitava studio, impegno, raziocinio e responsabilità nelle scelte…Molto meglio cavalcare la protesta e trovarsi tutti insieme in piazza con l’illusione di essere maggioranza, quando invece si era solo una variante minima di una società strutturalmente antiquata e restauratrice. Una condizione simile la vivemmo per circa un ventennio allontanandoci il più possibile (e ritirandoci a palla, proprio come la sardine di oggi) dal moloch Berlusconi e da tutti i “forzitalioti” della prima ora. Si fece resistenza, si cercò di salvare il salvabile ma con risultati risibili. I governi Prodi, il civico Monti, i centrosinistri Letta, Renzi e Gentiloni, prolungarono un’agonia cercando di agganciarsi a quanto era possibile e ancora presentabile. Fra questi elementi positivi annovero di certo la scelta monetaria che ha portato alla condivisione dell’euro e la piena adesione in contenuti e spirito all’Europa.  Un’ancora di salvezza che sicuramente avrà pecche e genererà frizioni , ma che – fino ad ora – è stata il punto di riferimento fondamentale e positivo. Probabilmente il movimento delle sardine quando fa appello alla necessità dello studio e dell’impegno in politica, alla complessità dei fatti e delle situazioni, all’importanza di girare le spalle a chi le spara grosse senza sapere di cosa parla, fa appello a qualcosa di più alto, di più serio. Al limite della messa in discussione della stessa possibilità paritetica di esprimere un voto: “Non accetto che il mio voto valga tanto quanto quello di chi non sa nulla e sbraita senza criterio”. Un atteggiamento di difesa che è anche di precisa coscienza dei propri mezzi e compiti. Però, perché esiste un però, questo movimento argenteo, cangiante sotto il pelo dell’acqua, deve arrivare a scalfire le rocce che – inesorabilmente – delimitano l’immenso mare. E queste rocce hanno un nome: disuguaglianza, incapacità di vivere insieme per un obiettivo comune, frammentazione di obiettivi, addirittura neosovranismo con l’Europa al centro (invece del solo proprio Stato Nazione), decadimento inesorabile delle condizioni climatiche, impoverimento dei territori in termini di disponibilità di acqua, cibo, lavoro. Se non si arriverà presto ad una qualche soluzione chiara (anche per quella “maggioranza strutturalmente antiquata e restauratrice”) non si andrà da nessuna parte. Avremo un nuovo nemico su cui sfogarci (oggi è Salvini…domani si vedrà) ma non si andrà oltre i cinque metri di visibilità. Al di là …nebbia fitta.

1 Commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*