Lettere da Casale Monferrato assediata(1629)

Molti anni fa, quando ero più giovane e avevo il tempo di esplorare la Biblioteca civica, mi imbattei in una pubblicazione intitolata “L’assedio di Casale, edita dall’Istituto italiano di cultura a Madrid, contenente 62 lettere provenienti da Casale assediata e una relazione sull’assedio, opera di un anonimo al servizio del duca di Lerma, con intenti celebrativi.

Le  lettere sono del periodo gennaio – marzo  1629 , appartengono a Casalesi e sono tutte indirizzate a persone residenti a Mantova, allora capitale dello stato.

La lotta di successione al ducato di Mantova, il cui legittimo erede, il duca di Gonzaga Nevers, era osteggiato dagli spagnoli e difeso dai francesi, rientrava nella più ampia Guerra dei Trenta anni e l’assedio fu uno dei momenti più drammatici. Iniziato nel 1628, terminò momentaneamente a marzo del 1629, per essere ripreso dagli spagnoli a maggio del 1630.

Il perché le lettere siano a Madrid si può spiegare con il fatto che le difficoltà dovute all’assedio abbiano ritardato la partenza fino al momento in cui un corriere riuscì a partire senza però giungere a destinazione.

Che cosa gli sia successo non si sa. Forse fu catturato o forse ucciso. Per i corrieri il rischio maggiore era quello di essere scambiati per spie o comunque per individui sospetti di intelligenza con il nemico:in questo caso i francesi.

Se catturati, venivano sottoposti a tortura perché rivelassero i nomi dei complici, quindi i più tentavano la fuga, rischiando quindi di essere uccisi.

La lettera che Giovanni Castelli scrive al figlio è chiara, in essa l’autore  parla di corrieri che accettano solo messaggi orali, in modo tale da evitarela tortura, o peggio la morte, in caso di cattura. Girolamo Ghilini, nei suoi “Annali”, riferendo le notizie più importanti degli anni 1643, 1644, cita il caso di un frate zoccolante che durante la guerra del Monferrato faceva il doppio gioco con i francesi e gli spagnoli.

Nel 1643 aveva promesso al marchese di Carazena di far cadere Casale in mano spagnola.

Condotto sotto le mura della città, aveva preso contatto con due sentinelle, dalle  quali aveva ricevuto la promessa di far entrare gli spagnoli. Il piano però era fallito per il voltafaccia del frate, che si era reso successivamente uccel di bosco.

L’anno dopo, il religioso, riconosciuto da uno dei componenti di una pattuglia spagnola, venne inseguito e ucciso. Sul suo corpo fu trovata la lettera di un certo Alessandro Merlani, abitante in Alessandria, ma originario di San Salvatore. In essa c’erano delle indicazioni sul numero dei soldati del presidio e sullo stato delle fortificazioni della nostra città. Merlani venne arrestato, torturato e successivamente condannato a morte. Il suo corpo fu diviso in quattro parti, che a loro volta vennero esposte in punti diversi della città, come monito.

Ma il problema delle comunicazioni con l’esterno non era il più importante. La fame era quello più serio, seguito dall’esorbitante costo dei viveri e dall’obbligo,per i civili, di mantenere i soldati francesi.

E’ ancora Castelli a parlare:” Il formento vale scuti 60 il sacco, e non se ne trova per denari, il vino vale scuti 30 e più la brenta, il butiro 2 la libra, l’oglio d’oliva scuti 2 la libra, il formaggio altretanto, e tutto il resto è in estrema carestia. Si aggiunge a nostri guai l’essere necessario di spesare continovamente 2 soldà, il che cominciò dall’anno prossimo passato 1627 alli 28 di decembre.”(la lettera è del 14 febbraio 1629)

Il mantenimento dei soldati era un problema di tutti i civili,sia in tempo di guerra sia in tempo di pace. Se in caso di assedio l’obbligo si poteva estendere anche ai potenti senza grosse remore, in tempo di pace, o quando il pericolo era lontano, era una gara, da parte di chi poteva, nel cercare di sgravarsi dall’obbligo, tanto che alla fine l’onere era sostenuto soprattutto dai ceti medio bassi e dagli ordini religiosi. E non era un peso di poche settimane, a volte si trattava di mantenere ufficiali e soldati anche per più di un anno.

Anche Margherita de Magistris, moglie del credenziere del vescovo di Casale, a Mantova, lamenta la scarsità di denaro e di cibo: “Torno a dire che il corriere  dice che li sono stati tolti per strada li due crosoni.

Dalla morte della putta in qua , io vivo a pane e acqua, e pane tale che è quasi tutto di crusca.”

Dalla lettera emerge una forte preoccupazione per la scarsità dei viveri, per il loro prezzo, che sale vertiginosamente, e per la mancanza di denaro , così necessario per acquistarli.

Margherita fa riferimento ad una tragedia nella tragedia: la morte della figlia, forse per stenti.

Si sofferma su ciò che può mangiare, pane e acqua, di questo dispone. Un pane inoltre, non certo bianco,ma fatto con la crusca…e meno male che c’è.

I prezzi salgono: una testa d’aglio arriva a costare un reale(nove grossi), quando in tempi normali costava meno di un grosso.

Un cappone costa quattro scudi d’argento e così pure…un gatto.

La mancanza di denaro è un assillo per tutti, chi può cerca di farselo mandare da Mantova, ma non sempre arriva. A questo si riferisce Margherita quando parla dei due crosoni tolti al corriere per strada.

Con la parola crosone si indicavano grosse monete d’argento, come ducatoni,  reali da otto, o talleri, con un peso superiore ai 27 grammi e un diametro di 40 millimetri, pezzi dal forte potere d’acquisto. Se il valore in lire oscillava dalle otto alle nove, in fiorini  del Monferrato andava dai 20 ai 25.

“Il corriere dice che li sono stati tolti per strada”. Ma Margherita non sembra convinta, la sua parola contro quella del messaggero, che forse si è effettivamente impossessato del denaro, come ulteriore premio per il rischio che correva. O forse no,forse veramente è finito nelle tasche di qualche sergente spagnolo, che così ha finto di non vederlo.

 Comunque anche chi possiede qualcosa(derrate alimentari, soldi o gioielli) a Casale assediata non sta tranquillo. Il pericolo è rappresentato dai soldati del presidio, mantenuti sì dalle famiglie, stipendiati dalla Camera ducale, ma sempre alla ricerca di cibo e denaro, con la scusa del ritardo nei pagamenti, e in questo pronti a violare anche i luoghi sacri.

La penuria di liquidità porta le autorità a coniare moneta ossidionale: nel 1628-1629 viene battuto un ducatone di bassa lega d’argento, del valore di 12 reali.

Nel 1630, la situazione ancora più grave porterà il comandante della piazza, maresciallo Toyras, ad emettere dei veri o propri buoni in rame da 20, 10, 5 e 1 fiorino, usati per pagare la guarnigione.

Se ne batteranno, a martello, per un valore di 30.000 scudi, usando il rame di un cannone ormai fuori uso.

Questi buoni, vera e propria moneta ossidionale, verranno usati per pagare i soldati e da questi per le proprie spese. Terminato l’assedio, il mercante casalese Giorgio Rossi sarà incaricato di rimborsare i possessori con buona moneta d’oro e d’argento.

Questo per i soldati, ma chi ha poco o niente come vive? C’è il rischio di una grande moria, ma fortunatamente interviene la carità della  Chiesa e di alcuni nobili, che per  tutto il periodo dell’assedio distribuiranno pane, minestre di fave, olio, riso, formaggio e denaro ai nullatenenti e non solo a loro.

Le mutate condizioni fanno diventare più assennati, come afferma un’anonima mittente:”Non si può far se non con grave spesa, con tutto io vado più riservata si può cominciando a credere li boni consigli mi dava V.S. et imparare cosa sii il tener conto del denaro. Ben mi spiace il dover imparare con nostre spese.”

Il contenuto delle missive non è composto solo da temi di natura economica o alimentare, ci sono altre preoccupazioni.

Il presidente del Senato di Casale, in ben tre lettere, una alla marchesa Gonzaga Rivera, una a Laura Manenti, moglie dell’ambasciatore  Giambattista Manenti, e una direttamente alla figlia, si preoccupa delle condizioni di salute di quest’ultima: non è l’uomo di governo che scrive, ma il padre.

Livia, così si firma, biasima il marito per la mancanza di notizie:”Non so come avete il cor così duro a non mai cercar di mandarmi nova di voi(…) mandatemi nova,ma lontano dagli occhi lontan dal cor.”

La lettera è priva dell’indirizzo, perciò non sappiamo se l’uomo fosse così impegnato politicamente da trascurare la moglie, oppure se si fosse già consolato con un’altra.

Ben diverso il marito di Francesca Corvino, che sembra già essersi consolato:” Credo che non vi saresti mai ricordato di me se non fosse stato per amor delle vostre camise e tendete a star alegramente con le vostre morose.”

Egidio Lapenta

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*