Living in the past: vecchi miti, vecchi riti

Ho amato moltissimo la Toscana, soprattutto negli anni ’70.

Non potevo concepire la vita senza quel fine settimana a Firenze, quelle visioni dall’alto da Piazzale Michelangelo, quelle passeggiate sentimentali sino all’Osservatorio di Arcetri.

Ma soprattutto, quando arrivavo alla stazione di Santa Maria Novella, la visita obbligatoria alla Cappella Brancacci, per vedere e rivedere La Cacciata dall’Eden di Masaccio, che era per me come una sorta di passaporto per entrare nel mondo dell’Arte di Firenze.

E tanti altri ricordi, tante altre visioni magnifiche, che mi hanno colpito e ricreato.

Arte, tantissima arte, ma non solo: anche la vita quotidiana dei quartieri, i mercati, le piazze, i gradevolissimi ristoranti.

Poi, da turista appassionato, sono diventato residente, e le cose sono cambiate.

Il ripetersi degli atti, delle parole, delle visioni è diventato a poco a poco, lungo il corso degli anni, qualcosa di ripetitivo, di stancante, noioso.

Faccio un primo esempio: ho visto il primo Palio di Siena a sette anni, e mi è sembrato come una favola medievale, con tanto di principe e principessa, mirabile; vi ho partecipato molti anni dopo come spettatore adulto e non ne ho avuto le stesse impressioni, mi faceva specie il fanatismo dei contradaioli attorno a me, di cui non riuscivo a comprendere l’entusiasmo; infine, la terza volta, l’ultima visione che rammento è quella di un cavallo morto, trascinato via dalla Piazza del Campo da un trattore, e qui l’incanto era spento.

Vorrei fare un altro esempio, forse difficile da comprendere, ma per me significativo: porsi di fronte al David di Michelangelo, sia la copia che l’originale, e rimirarlo da destra a sinistra, da sinistra a destra, cogliendone la Maraviglia; però, cari signori, se tale contemplazione dura per trenta anni, la sindrome di Stendhal rischia di diventare il cancro di Stendhal.

E per fare un ulteriore esempio, forse meno aereo, ma più godereccio, passiamo alla cucina: della bistecca alla Fiorentina si sa ormai tutto, quanti minuti deve cuocere da una parte, dall’altra e quale deve essere lo spessore; il tocco finale è quello di cuocere la bistecca sull’osso, per dargli quel sapore particolare; ma, a questo punto, dopo questo libretto di istruzioni per l’uso, non vi viene voglia di mangiare un trancio di bisonte canadese, o, meglio, un asado argentino?

Vogliamo parlare della ribollita? Certo, è buona e rustica, ma non lo sono da meno certe meravigliose zuppe di vegetali che si preparano nella Francia del Sud-Ovest.

Infine, il castagnaccio, buono certamente quello del Monte Amiata, ma non superiore a quelli che io ho assaggiato in Piemonte, nella zona montagnosa della Val d’Ossola.

Ho fatto tre esempi di consuetudini che possono diventare stucchevoli, di cose ed azioni che, ripetute mille volte, ti possono condurre alla Noia.

Certo, quando una persona bennata, di cultura, si concentra sulla Toscana, il suo pensiero corre immediatamente a quel periodo aureo, che va dalla metà del ‘200 alla metà del ‘500, dalla nascita di Dante alla morte di Michelangelo, e veramente si tratta di un periodo straordinario, per la Toscana, per l’Europa, per il Mondo.

Ma, tale periodo è irripetibile, ad esso sono seguiti altri “siglos de Oro”, spagnoli, francesi, inglesi, tedeschi, che, ciascuno preso singolarmente, ha avuto dei meriti straordinari verso l’Umanità.

Ci sono, oggi, le premesse per un nuovo Umanesimo, per un nuovo Rinascimento?

Mi sembra di no: le nuova generazioni sono rivolte verso obiettivi più prosaici e meno ideali; saprebbero essi creare nuovi miti, nuovi riti?

Ne dubito.

Sic transit gloria mundi.

Giorgio Penzo

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