In margine a “Peggio del 1989: l’Urss lasciò i tank, gli Usa un futuro nero”

Molto duro e appassionato l’intervento di Giuliana Sgrena che, oltre a ricordarci quel che più o meno sappiamo tutti,per averlo sentito cento volte in queste ore da media piagnucolosi e ripetitivi nelle loro non notizie, ci riporta alla realtà dei fatti. Ad un Presidente Biden giustamente definito ipocrita, che maschera una questione di bilancio (e di sostanziale impotenza militare) con motivazioni di rispetto delle scelte locali di autogoverno… Alle stesse autorità internazionali che non hanno sufficientemente controllato la destinazione dei fondi stanziati per progetti e iniziative, molto spesso solo di facciata ma utili per la carriera di qualcuno. Alle persone, donne, bambini, uomini, anziani che vivono in territorio afghano e si trovano nel giro di 48 ore rinchiusi in una gigantesca gabbia con la prospettiva di perdere il residuo conto in banca, le poche proprietà faticosamente ottenute, la parvenza di vita normale che hanno imparato a conoscere tramite filmati e televisioni. Un intero popolo, quasi cinquanta milioni di abitanti, che vedrà le proprie libertà di lettura, di espressione, di movimento, di studio, di lavoro,  contingentate all’interno di un piano di similsviluppo, tra il religioso e l’economia di sussistenza. Un salto all’indietro di centinaia d’anni che manterrà l’intera nazione afghana legata ai cacicchi locali, alle lorio tribù e alle loro faide. Un salto all’indietro che permetterà a poche (e selezionate) nazioni esterne, di avere il controllo delle estrazioni e del commercio del litio, di derivati petroliferi, di cobalto e uranio. Russia e Cina sono alla finestra e ci stanno provando…Vedremo a breve con quali esiti. (n.d.r.).  Segue l’intervento della giornalista del “Manifesto” Giuliana Sgrena.

(*) Afghanistan. La peggiore prospettiva è all’orizzonte: la presa del potere assoluto da parte dei
Talebani. Vent’anni fa le donne si liberavano del burqa, oggi il loro sogno di libertà è un ricordo
La cartina geografica dell’Afghanistan che segna in rosso l’avanzata dei taleban fa venire i brividi.
La prospettiva che i taleban potessero entrare nel governo già rappresentava un futuro nefasto per il paese, ma ora c’è di peggio: la presa del potere assoluto da parte dei cosiddetti studenti coranici. Che non siano cambiati rispetto a più di vent’anni fa lo si vede nelle zone occupate: in quella che era considerata la Svizzera dell’Afghanistan, Bamyan, i teleban sono entrati, promettendo ai locali rispetto se avessero accettato il loro controllo e invece hanno razziato i loro raccolti, soprattutto quelli delle albicocche che insieme all’uva di Kandahar sono prodotti di eccellenza in Afghanistan.
Anche se scettica la popolazione non è in grado di opporsi all’avanzata dell’orda islamica, anche perché i soldati sono i primi ad arrendersi.
Vent’anni fa arrivando  in Afghanistan, lungo le strade c’erano i carri armati abbandonati dall’Armata rossa in ritirata nel 1989. Avevamo visitato a Kabul anche quella che era la mastodontica ambasciata dell’Unione sovietica, occupata poi da senzatetto. Allora ci aveva sorpreso la speranza suscitata dall’intervento americano tra le donne, non perché credessero alla «liberazione dal burqa» uno degli slogan più ipocriti che hanno accompagnato l’avanzata delle truppe occidentali, ma perché, allora come adesso e purtroppo a ragione, pensavano che non potesse esserci niente di peggio dei taleban. Come dar loro torto avendo visitato Kabul al tempo dei taleban?
Una manifestazione di donne che si toglievano il burqa e pensavano che non l’avrebbero più indossato era stata gioiosa, le donne mostravano i loro visi squamati per la mancanza di sole, che ha ridotto anche la produzione di vitamina D.
Non sono certo serviti vent’anni perché l’intervento militare si rivelasse nei suoi intenti di occupazione e di sfruttamento. Eppure è drammatico pensare che oggi la partenza delle truppe Usa non potrà essere festeggiata perché l’Afghanistan sta sprofondando in un futuro ancora, se possibile, più funesto di quello lasciato dal sovietici nell’89.
Le truppe occidentali non lasceranno carri armati per le strade dell’Afghanistan, ora i mezzi di occupazione sono più moderni e la fuga più organizzata. Ma lasceranno migliaia di vittime, un paese devastato, i corrotti sempre più corrotti, i signori della guerra sempre più ricchi, le enormi ville pacchiane e superprotette lo stanno a testimoniare.
I soldi dei donatori non sono andati alla povera gente e non sono serviti a finanziare progetti di ricostruzione: la ricostruzione è compito degli afghani afferma, ipocritamente, oggi Biden che segue il progetto di ritiro di Trump.
Invece la distruzione è in gran parte opera di Stati uniti e alleati. Quella afghana è la guerra più lunga combattuta dagli Usa e il suo fallimento è accompagnato dal fallimento della società afghana nella capacità di costruire un’alternativa democratica per la guida del paese.

Con i Talebani gli USA hanno raggiunto un accordo per la loro uscita di scena, non per dare un futuro al paese, non poteva essere diversamente: con i nemici si negozia una tregua non la pace. In questo caso non c’è stata nemmeno la tregua, l’annuncio del ritiro degli americani e alleati ha dato il via alla riscossa dei taleban.
L’11 settembre sarà più lugubre del passato: gli americani potranno dimenticare tutti i soldati lasciati sul campo? I miliardi spesi per distruggere un paese?
L’intervento era iniziato per sconfiggere i sostenitori di al Qaeda, i taleban, ora termina con il ritorno dei taleban e la presenza di altri jihadisti più trucidi, quelli dell’Isis.
Ma le vittime principali non sono i militari caduti, sono gli afghani tutti, la popolazione
sempre più impoverita e oggi preda anche della pandemia senza risorse per contrastarla, le donne che avevano sperato nella loro liberazione che hanno pagato a duro prezzo negli ultimi anni la loro rivendicazione di diritti e che ora tornano in clandestinità.
I responsabili non sono solo gli Stati uniti ma tutti coloro che hanno inviato truppe in Afghanistan, che hanno dato speranze di libertà a un popolo da decenni in guerra, che ora abbandonano la popolazione civile inerme a nuovi predatori (Russia, Cina e Turchia) che cercheranno di occupare il vuoto lasciato dal ritiro.
Responsabile sono anche l’Italia e l’Europa che spudoratamente chiede il rientro di tutti i profughi afghani, per riconsegnarli a un regime oscurantista e medioevale che li aveva costretti alla fuga.
Come potremo ancora guardare negli occhi le/gli afghane/i incontrate/i negli ultimi anni per promettere loro un piccolo aiuto agli orfani, alle bambine, alle donne?
Come interrompere gli studi alle ragazze, come negare loro il diritto di cantare e suonare, come impedire loro di uscire di casa dopo che avevano assaporato uno spicchio di libertà e dire loro che forse, purtroppo, dovranno tornare a guardare il mondo a quadretti da dietro il burqa?

(*)  Giuliana Sgrena, 15.08.2021 © 2021 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

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