In margine a “Via del Campo” di F. De Andrè

Via del Campo c’è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutta notte sta sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa.

Via del Campo c’è una bambina
con le labbra color rugiada
gli occhi grigi come la strada
nascon fiori dove cammina.

Via del Campo c’è una puttana
gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia
basta prenderla per la mano.

E ti sembra di andar lontano
lei ti guarda con un sorriso
non credevi che il paradiso
fosse solo lì al primo piano.

Via del Campo ci va un illuso
a pregarla di maritare
a vederla salir le scale
fino a quando il balcone ha chiuso.

Ama e ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior.

 

FABRIZIO DE  ANDRE,  1967

 

Sono sei quartine di novenari piani (l’accento sulla penultima sillaba). Il novenario è un verso insolito (riesumato dal Pascoli), difficile. De André fu un metricista notevole. Va precisato che Via del Campo è la prosecuzione di via Pré, la più nota del centro storico di Genova, il maggiore d’Europa.  La rosa, fin dai tempi del Poliziano e dell’Ariosto, è metafora gentile della parte del corpo più ambita e propria della donna.  La bambina è destinata a ripetere il mestiere della madre: queste donne non sono esecrabili escort, si prostituivano per sopravvivere, nella Genova del dopoguerra. Invecchiate, venderanno sigarette di contrabbando: come in tutti i grandi porti, esistevano modi per aggirare la dogana. Il particolare del balcone al 1° piano (il verso più bello, insieme agli occhi grigi come la strada della bimba: breve similitudine) è vero. Dal balcone esse si affacciavano per chiamare i marinai USA o i portuali. Talvolta al mattino presto la Polizia Militare statunitense raccoglieva alcuni propri marinai, ubriachi, derubati, e messi nel vicolo, non erano certo in grado di riconoscere la casa ove erano stati ospiti graditi.

Davanti a Via del Campo ci sono i portici di Sottoripa, e la Stazione Marittima, donde partivano i migranti 120 anni fa.  I “fiori” dell’8° verso anticipano il finale, sentenzioso a mo’ di epigramma, costruito su un ossimoro (letame/diamanti). Anche paradiso, per indicare uno squallido rapporto a pagamento, è un ossimoro implicito per ellissi, come “vende la stessa (la propria) rosa”; come “ridi/piangi”.

 I numerosi ossimori (unione di due parole di significato opposto, che non possono stare insieme, es. ghiaccio bollente,“Sound of silence”), indicano le contraddizioni della vita umana, che Fabrizio ha sempre raccontato nelle sue canzoni. Labbra color rugiada: una sinestesia (gusto/vista); graziosa: aggettivo sostantivato, in ossimoro col successivo “puttana”.

 Rime rigorosamente incrociate ABBA; “maritare/scale” rima perché le consonanti sono due liquide (R e L). Tranne il punto fermo al termine di ogni quartina, non esiste la punteggiatura. Non serve, al solito Fabrizio scrive una frase per verso, per ritmare il testo al servizio della musica