No alle tasse si alle corvées?

Assistiamo a una gara fra le varie forze politiche per dimostrare di non aumentare, ma anzi, abbassare le tasse che tartassano. Non solo, ma i “renziani”,  propongono emendamenti al decreto fiscale del governo di cui fanno parte, in particolare dichiarando la loro contrarietà ad inasprire le pene per chi evade e froda il fisco[1]. Proposte che non si possono che interpretare come tentativo di compiacere chi, pur potendo, le tasse vuole continuare a non pagarle senza rischiare troppo. Ovviamente contropartita attesa è il voto di chi vuole godere dei benefici che lo Stato offre “senza pagare dazio”.

Tanto ci sarà sempre qualche fesso che paga per tutti, visto che è passata l’idea che le tasse sono una ruberia a danno dei poveri cittadini.

Ancora negli anni ’50 nei piccoli paesi resistevano obblighi  assimilabili alla corvè. Tutti i maschi adulti, oltre al privilegio di prestare il servizio militare, quando nevicava ( e a quei tempi nevicava) dovevano formare le squadre previste e spalare la neve (fè la calô) sulle strade comunali. Ma ancora più importante era l’obbligo di lavorare due giorni per la manutenzione delle strade comunali (fè il giurnô). Quando i lavori in campagna erano meno pressanti, normalmente nel mese di agosto,  tutti i maschi adulti si recavano sul tratto di strada stabilito in base all’organizzazione prevista dal Comune. Le strade non erano asfaltate e si provvedeva a pulire le cunette, rifare il profilo della strada a schiena d’asino e a spargere la ghiaia nei punti necessari. L’obbligo di partecipare ai lavori prevedeva una specie di “progressività” in base al patrimonio. Chi possedeva un bue ( occorreva una adeguata quantità di terreni per mantenere un animale da lavoro) aveva l’obbligo di portarlo con il carro attrezzato per andare nel torrente a prelevare la ghiaia da mettere sulle strade[2]. Per noi bambini i due giorni dei lavori erano una occasione di divertimento, ci facevamo scarrozzare avanti e indietro dal torrente ai luoghi di lavoro ma capivamo che la strada era ben tenuta grazie al lavoro degli adulti.

La consapevolezza che certe attività richiedeva la partecipazione di tutti i membri della comunità faceva si che, anche altre opere di interesse pubblico, venissero costruite con la partecipazione non obbligata da corvèes, ma su base volontaria che vedeva comunque tutti gli interessati impegnati nella realizzazione.

Certamente al giorno d’oggi un tale modo di partecipazione ai lavori d’interesse pubblico non è, sic et simpliciter, riproponibile ma questo modo di contribuire con il lavoro anziché con il denaro alle esigenze della collettività aveva dei lati positivi.

Era chiaro per tutti che le strade erano in buono stato non per l’intervento di un “entità estranea” che doveva provvedere alle necessità dei cittadini, ma grazie all’impegno e al contributo di tutti i cittadini membri della comunità. Se qualcuno si sottraeva all’obbligo, o durante i lavori batteva la fiacca, era soggetto al giudizio e ai rimbrotti dei concittadini; il controllo funzionava meglio di tutti le verifiche dell’Agenzia  delle entrate e relative minacce di carcere.

In una comunità ognuno cerca di salvaguardare la propria reputazione e difendersi dal pettegolezzo che nella nostra società è ritenuto cosa disdicevole; abbiamo inventato la “privacy” dimenticando l’importanza che assume il giudizio che gli altri danno sul nostro comportamento[3].

Nelle società moderne, in cui a fatica si conosce chi abita nello stesso condominio, il pettegolezzo non funziona granché e grazie alla normativa sulla privacy non si ha accesso a dati che potrebbero contribuire a conoscere se qualcuno usufruisce di benefici e sussidi senza averne titolo; le cronache ci raccontano dell’esistenza di questi fenomeni quando vengono scoperti ma in che percentuale vengono scoperti e puniti? Certo esiste a volte la necessità di tutelare la dignità delle persone, ma non sempre si tratta di questo. Ricordo che, gli elenchi e la relativa entità dei rimborsi dovuti ai danni dell’alluvione del ‘94, non erano accessibili per motivi di riservatezza; non si trattava di elemosine ma di rimborsi per danni e la dignità delle persone sarebbe stata calpestata solo se i vicini avessero scoperto che i rimborsi richiesti superavano i danni subiti! Qualche riflessione sulla privacy andrebbe fatta! Pur non avendo specifiche competenze al riguardo mi pongo comunque la domanda, può avere un grande futuro una società priva delle caratteristiche che contribuiscono a fare di un insieme di individui una comunità?

I nostri politici, governanti o aspiranti tali, sembra non si preoccupino del “capitale sociale”,  ma anzi con le loro dichiarazioni creano le condizioni per cui chi non paga le tasse non mette a rischio la propria reputazione, ma anzi rivendica il proprio diritto a fregare uno “stato avido”. E noi, a differenza dei nostri padri, non abbiamo nemmeno la possibilità di sapere chi non contribuisce a fare i lavori di manutenzione alle strade!

Confesso di non avere per nulla le idee chiare su quale sia la forza politica da cui possa convintamene  sentirmi rappresentato. Sarò costretto a votare scegliendo il meno peggio?

[1] https://www.huffingtonpost.it/entry/italia-viva-continua-a-provocare-m5s-raffica-di-emendamenti-al-decreto-fiscale_it_5dcae39ce4b0e07d9cbebe3e

[2] A chi sostiene che i nostri avi toglievano la ghiaia dai fiumi consiglierei di provare a caricare un carro usando il badile tenendo presente la quantità massima di ghiaia che un bue riusciva a trainare in quelle condizione non arrivava a ½ metro cubo!  Quanto materiale potevano portar via da un fiume?

[3] “La minaccia del gossip riguardava la reputazione puramente pubblica di un individuo, ma in un mondo culturale la reputazione è tutto. L’effetto è cosi forte che il semplice fatto di essere osservati tiene in riga la maggior parte delle persone per la maggior parte del tempo, come si evince da molte ricerche svolte sugli esseri umani contemporanei in contesti molto diversi ..….” (Michael Tomasello -Storia naturale della morale umana – Raffaello Cortina Editore)

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