“Nulla volere, sapere, avere. I sermoni di Meister Eckhart”

NULLA VOLERE, SAPERE, AVERE. I sermoni di Meister Eckhart. Francesco Roat, edizioni Le Lettere. Presentazione di Marco Vannini.

Ci sono, come i frutti, tempi acerbi, tempi maturi e tempi che stanno maturando, come quello che stiamo attraversando.

E in questo maturare sbocciano aiuti inaspettati per noi api dell’invisibile , fiori che solo in apparenza sembrano aprirsi in quel momento, ma che in realtà siamo noi a coglierne il nettare solo nell’ora del bisogno.

E il nettare di questi fiori, così naturalmente diversi, feconda mirabilmente culture tradizioni e intuizioni religiose differenti, offrendo quel nutrimento comune che ci nutre e sostanzia.

In questi tempi di troppo pieno, il vuoto sta tornando a parlarci.

Sazi di tutto, l’altro piatto della bilancia si muove per ricordarci la necessità di fermarci per ridare voce agli esiliati, per far sì che gli esodi abbiano senso e le arche possano essere pronte al necessario diluvio.

In questi tempi di troppo rumore, il silenzio ci ricorda il suo ristoro.

Lao Tse scende dalla montagna, Jung riannoda il filo tra vivi e morti, Panikkar scioglie i dogmi e i monopoli delle religioni e Meister Eckhart torna in questo ultimo libro di Francesco Roat per ridonarci l’essenza della sua predicazione che gioca in quel “fondo dell’anima” capace di portare pace, se non sulla terra, perlomeno nei nostri cuori.

Spesso quando si legge, arrivano altri libri che, in modi differenti, ricuciono lo strappo del presente.

Nella nostra quotidianità la presenza di Dio è spesso resa ridicola, un retaggio d’altri tempi, superstizione e magia.

Qui si vive nella società dello spettacolo! Che posto può avere Dio, se intorno a lui abbiamo spento ogni riflettore?

Abbiamo così poco tempo per tutto che nemmeno ci chiediamo : ma che cosa diciamo quando diciamo Dio?

Nell’ultimo libro di Paolo Scardanelli “ I vivi e i morti “ l’autore scrive: “ credevamo che droga e flusso libero di coscienza aprissero le porte della conoscenza, col cazzo cara sorella ! Dio solo ha le chiavi dell’oltre e le conserva gelosamente “.

Proprio così.

E nei sermoni, Eckhart – come bene sottolinea Roat – ci rammenta continuamente questa difficoltà e, proprio per questo, offre molte immagini per dare ad ognuno di noi la serratura per quelle chiavi gelosamente custodite, ma non certo perdute.

La mistica è una dimensione umana. La nostra dimensione di profondità, esperienza integrale della vita, ci indica Raimon Panikkar, maestro del nostro tempo.

Profondità che i mistici d’ogni tempo – come Panikkar e Eckhart – tentano di raccontare, non certo per bisogno di esibizionismo, ma per eccesso di stupefacente stupore.

Hai provato e trovato qualcosa che vorresti che tutti provassero, certo tutti quelli che la tentano questa profondità. I famosi “Besucher” di Hermann Hesse, più che ricercatori, mi convince la parola “visitatori “.

Dio è come “il chiaro nel bosco” di Maria Zambrano, lo si può vedere solo di spalle: un attimo fuggente, ma presente se apri l’occhio della Fede, inseparabile dagli altri due, trinità che sa che la Fede non ha oggetto.

La fisica quantistica usa altre immagini e nomi per dire che non esistono certezze, ma probabilità, che ogni cosa si tocca e ci tocca, che la Creazione la si fa facendola nuova ogni giorno.

E’ in questo cammino pacificato ,in primis dentro noi, che vive la Pace, Vita piena, quella Beatitudo che Gesù, uno non facile a dire trombonate, ci ha lasciato in eredità e promessa.

Sant’Agostino dice che la Speranza ha due figli: l’indignazione e il coraggio.

Io credo che occorrano sia la madre che i figli di cui parla Agostino, per intraprendere questo viaggio, un viaggio dove Roat ci accompagna attraverso l’esperienza viva di Eckhart.

Come sempre non si tratta di copiare, men che meno di imitare.

Si tratta di provare, di rischiare il nostro salto dal trampolino, senza sapere naturalmente cosa c’è sotto!

“Nulla volere, sapere, avere “ è il titolo del libro di cui sto parlando, pagine che ci fanno affacciare sull’abisso salvifico e che ci fanno vedere chiaramente quel che non vogliamo vedere: la perdita di ogni riferimento, un egocentrismo sfrenato, un malessere continuo e senza nome in cui ci troviamo e non certo per “ il tanto pregar sul pavimento” di pascoliana memoria.

L’ego – scrive Panikkar nei suoi Diari – è un Io senza amore.

La sottile mistificante e mortificante propaganda del sistema in atto ci vuole deprivare della nostra capacità di amare, ci vuole esiliare dalla generosità che l’amore ha in sé, un’accoglienza caritatevole e gentile che, scrive Eckhart :

“ fa perfetto un uomo e si amano tutte le cose secondo la loro bontà”.

L’amore ha questa capacità risanatrice, fa trovare ad ogni cosa il suo giusto posto.

“Il risultato è un libro che ” – scrive nella presentazione un grande conoscitore di Eckhart, Marco Vannini – “in diciannove brevi capitoli di agevole lettura, illustra i temi principali nei quali si può, per quanto possibile, riassumere la lezione di quello che i contemporanei avvertirono appunto come magister per eccellenza. E non solo per la cattedra universitaria che tenne a Parigi, che lo faceva Lesemeister, ovvero professore, ma per la sapienza che dispensava ai suoi ascoltatori e che lo faceva Lesemeister, ovvero Maestro di vita”.

E oggi ci mancano questi Maestri di vita. Ci manca l’umiltà per chiedere aiuto e perdono, oggi che crediamo di non avere più limiti, di vivere in uno sviluppo infinito dove chiamiamo “sostenibile” il disastro cosmico perpetrato, senza più alcuno sguardo di pietas.

Roat ha sempre avuto questo sguardo, non a caso ci ha fatto rincontrare nei suoi libri pensieri di autori a noi necessari come Robert Walser, Rainer Maria Rilke, Holderlin, Goethe, Angelus Silesius, Nietzsche. E non a caso ci ha oggi riportato al cuore Echkart, già ostracizzato nel tempo da quella insana ignoranza che rigetta tutto quello che la ragione non sa ragionare e che invece

sta li , imperituro, a rammemorarci che ogni ambito della realtà è relazione e rivelazione.

Oggi, dove finalmente le scienze si sono indisciplinate, hanno potuto fare esperienza che coscienza e materia nascono insieme, che l’origine di tutto è quel “vuoto pieno” : potenza organizzatrice e creatività intelligente.

Ne Il silenzio è cosa viva, Chandra Candiani scrive : La parola sanscrita sunyata, che viene tradotta con “vacuità”, probabilmente proprio per distinguerla dl vuoto come lo intendiamo noi occidentali, vuoto di qualcosa o di qualcuno, mancanza. La sua radice si trova nel termine sanscrito shvi, che significa “gonfiarsi”. Come si gonfia un seme.

Ne La continuità dell’essere , Epstein usa queste parole: “la traduzione letterale di sunyata è quella di un utero gravido: vuoto, nutritivo, fertile e pieno dell’intero mondo “ .

E Lao Tse nel Tao Te Ching ancor più illumina:

Il Dao è vuoto, ma usandolo appena non trabocca.

Insondabile!

Sembra essere l’antenato dei diecimila esseri .

Smussa le punte, scioglie i nodi,

attenua lo splendore, si unisce con la polvere.

Profondo ! Sembra essere appena presente.

Io non so di chi sia figlio.

La sua immagine è più antica del cielo.

”Il vuoto è la introvabilità di una qualsiasi cosa isolata” , ci dice Stephen Bachelor .

Il Dao di cui si può parlare non è l’eterno Dao

I nomi che si possono nominare non sono nomi eterni

Senza nome, l’origine di cielo e terra

Con nome, la madre dei diecimila esseri

……………….

Questi due sorgono insieme ma hanno nomi diversi

Ecco che la parola Dio ci appare in tutta la sua manchevolezza e contemporaneamente invisibile potenza invitandoci a fare silenzio.

Se Wittgenstein , alcuni secoli dopo Eckhart, ci consiglia che “ di ciò di cui non si può parlare bisogna tacere”, siamo forse dei figli disubbidienti ?

O forse dobbiamo arrenderci e, accettando il nostro primo sentimento di sconforto, aprirci finalmente all’esistenza che trascende la nostra mente e il potere di definizione delle parole:

Perciò costantemente senza desiderio ne contempli il mistero,

costantemente con desiderio ne contempli i limiti.

Abbiamo voluto dare al Mistero la parola Dio, ma Eckhart subito ci avverte con le sue parole :

prego Dio che mi liberi da Dio !

Come nel gioco del telefono senza fili, ne abbiamo perduto l’origine, tanto che – come scrive nel libro Roat a proposito della risposta di Martin Buber a chi gli chiedeva se far ancora ricorso alla parola Dio :

..non possiamo ridonare purezza alla parola Dio e non possiamo lasciarla integra, possiamo però sollevarla da terra e, così com’è macchiata e lacera, innalzarla sopra un’ora di grande angoscia “.

E questa è l’ora.

 

Di Patrizia Gioia

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