Il Partito Democratico a congresso. Il 3 marzo le primarie per eleggere il Segretario Nazionale

Ha ragione il Sindaco di Milano, Giuseppe Sala, quando dice che il PD è un partito troppo lento. Dal voto del 4 marzo scorso, che ha segnato una delle più cogenti sconfitte elettorali della storia del Partito, è trascorso quasi un anno e non abbiamo ancora concluso l’iter per l’elezione del nuovo segretario. Il gruppo dirigente, formatosi attorno alla figura di Matteo Renzi, è restio a farsi da parte per consentire l’inizio di un nuovo percorso che presenti forti elementi di discontinuità nei confronti  della gestione renziana, caratterizzata da incomprensibili rotture con il mondo sindacale, nostro tradizionale riferimento sociale, con il ceto medio produttivo: artigiani, commercianti, operatori agricoli, professionisti alleati storici del mondo del lavoro, con il complesso e multiforme mondo intellettuale, in particolare quello accademico, ignorato e maltrattato in occasione del dibattito sulla Riforma Istituzionale, che ha segnato, con la sonora sconfitta, la caduta politica ed elettorale del PD.

Il 3 marzo, finalmente, è stata fissata la data per le “Primarie” che dovranno eleggere il nuovo Segretario nazionale del Partito Democratico. Tra i diversi candidati in corsa, il Governatore del Lazio, Nicola Zingaretti presenta, per la sua storia personale, l’esperienza politica ed amministrativa, il modo di affrontare i problemi, la capacità di dialogo unitario, il candidato più idoneo a guidare il PD in questa fase così delicata. E’ stato Presidente della provincia di Roma e in seguito Governatore della Regione Lazio eletto per la seconda volta, sostenuto da un’ampia maggioranza che comprende anche il partito Liberi E Uguali.

Lo attende – se sarà eletto – un compito tutt’altro che facile. C’è bisogno di un impegno unitario e convergente di ogni iscritto e di tutte le componenti del Partito. E’ necessario superare ogni atteggiamento polemico e discriminatorio e ogni proposito correntizio e divisorio.

In dieci anni il Partito Democratico ha perso 6 milioni di voti, di cui 350.000 passati a formazioni di sinistra.

Se dovessimo sinteticamente connotare la crisi della sinistra, troveremo una generalizzata caduta delle tensioni ideali e il venir meno dei fondamenti di un pensiero forte, con i grandi temi che confluiscono in un nichilismo che può essere efficacemente riassumibile nelle parole di Nietzsche, quando lo descrive come “Un processo dove i valori supremi si svalutano, dove mancano lo scopo e una risposta ai perché”. Non abbiamo più i tradizionali strumenti di dibattito, di orientamento e di propaganda. La struttura organizzativa: sedi e circoli si va sfarinando. Calano gli iscritti. Il collegamento con l’opinione pubblica e gli elettori è affidato a rapporti saltuari o di tipo personale o clientelare. All’interno del Partito, le scelte si sono polarizzate attorno alla figura dei Sindaci, i quali, decidendo sulla formazione delle liste, sulla composizione delle giunte e sulle nomine degli amministratori negli Enti di secondo livello, hanno di fatto, negli ultimi decenni, determinato la formazione degli stessi gruppi dirigenti. La scelta ha seguito criteri elettoralistici, ma soprattutto di fedeltà a chi promuoveva ed assegnava l’incarico. Il criterio correntizio ha privilegiato il potere e la fedeltà al capo a scapito del merito. Così il militante e il simpatizzante, i soggetti politici e sociali che per decenni, con le loro lotte, hanno animato, trasformando la società italiana, da protagonisti di un disegno di rinnovamento sono stati declassati a tifosi di questo o quel capo corrente. In tal modo i conflitti d’interesse legati ai vari centri di potere, più o meno palesi e più o meno occulti, hanno intaccato i valori di fondo sui quali diverse generazioni di donne, uomini e giovani, avevano concorso a realizzare.

Concentrando l’attenzione esclusivamente sulle istituzioni e sugli enti locali, il distacco dal mondo del lavoro è stato l’inevitabile conseguenza di questo processo di svuotamento degli archetipi fondanti. Ha eluso le risposte ai problemi imposti dalla globalizzazione finanziaria, ritirandosi dai suoi insediamenti tradizionali, e ha perso la sua vocazione ideale che è quella si fare scelte significative di un campo sociale.

Al grande racconto del Novecento si sono sostituite una pluralità di narrazioni che si riflettono nell’idea che la sinistra abbia perso il senso di una missione da compiere, di un progetto da portare avanti, impossibilitata ad organizzare il passato e il futuro in un’esperienza coerente, una strana miscela di iperdemocraticismo e di iperpersonalizzazione, senza veri fini, con dotazione solo di pacchetti di problemi alimentate da pulsioni provvisorie e fluttuanti.

Negli studi effettuati il tema dell’europeismo non segnala uno spostamento di consensi a favore dei partiti euroscettici. L’Euro-barometro della Commissione europea ha rilevato che i favorevoli alla Moneta unica continuano a rappresentare una netta maggioranza rispetto ai contrari seppure in un quadro di crescente criticità. E ancora più ampia è la maggioranza degli italiani favorevoli all’Unione. Il tema dell’Europa non era quindi discriminante per spiegare i comportamenti di voto.

Il filo conduttore che tiene insieme i focolai dei flussi elettorali – e che spiega con maggiore senso le dinamiche elettorali – è rappresentato dalla crisi economica e dagli effetti della globalizzazione finanziaria, che hanno mutato profondamente la configurazione sociale e le dinamiche di rappresentanza, il tema del lavoro risulta centrale.

Il voto delle classi lavoratrici è stato determinante nelle ultime elezioni.

Negli Stati Uniti, lo fu per Obama nel 2012 e per Trump nel 2017.

In Italia il voto dei lavoratori del Sud (insieme a quello dei disoccupati e dei precari), nel 2013 è stato decisivo per far diventare il M5Stelle, dal nulla, il primo partito. E ancora di più lo è stato il 4 marzo. Così come per la Lega il voto dei lavoratori delle fabbriche del Nord ha rappresentato il bacino di consenso importantissimo nell’affermazione elettorale.

Per quanto possa apparire contradditorio, il voto del 4 marzo esprime un rafforzamento di domande tipicamente di sinistra: il lavoro, lo sviluppo di qualità, la sanità pubblica, l’assistenza ai più deboli, la sicurezza sociale, l’uguaglianza.

Nel voto delle ultime elezioni politiche c’è il messaggio di riscatto dei penultimi e degli sconfitti dalla crisi e dalla globalizzazione, che da troppo tempo vivono in apnea e vogliono tornare a prendere in mano le redini del proprio futuro. C’è la volontà di ricostruzione sociale ed economica fondata su scelte politiche chiare.

Una grande quota di popolazione ha perso speranza e coraggio e non riesce più a puntare verso l’alto della piramide sociale, anzi si sente risucchiata verso il basso e sfiora pericolosamente la soglia della povertà.

Si tratta di quel corpo sociale che per anni ha rappresentato il motore economico dell’Italia e il grande incubatore della fiducia nel futuro.

Bisogna riavvicinare la politica alla società. Uscire dal vuoto di un divorzio fatto di reciproca ostilità; la politica espressione mediocre di una classe dirigente mediocre, che ritiene di poter fare a meno dei corpi intermedi, e la società che coltiva il suo disprezzo demonizzando allo stesso tempo, e spesso in modo generico, ceto politico e istituzioni. “Se allunghiamo  lo sguardo alla realtà, – dicono Giuseppe De Rita e Antonio Galdo – alla vita vera del Paese, siamo e restiamo un popolo continuista per definizione. Dotato di un codice genetico che ne esalta la capacità di adattamento. Insomma, con tutti i suoi limiti, l’Italia senza retorica, può essere l’avamposto di una pacifica rivoluzione contro il presentismo. E prendere atto di ciò che ha portato una vera crisi di civiltà, è già un primo utile risultato”.

Pensando al PD e alla Sinistra italiana, si può assumere l’auspicio contenuto in una frase di Piero Gobetti, riportata nel libro di Carlo Cottarelli: Come non bastano le antiche glorie a darci la grandezza presente, così non bastano i presenti difetti a toglierci la grandezza futura, se sappiamo volere, se vogliamo sinceramente rinnovarci”

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