Chi è il più leader del reame

Conoscendo il temperamento di Conte, avrebbe fatto volentieri a meno della fotografia della sua leadership pubblicata ieri sul Corriere. Pagnoncelli ha provato ad ammorbidire i dati del sondaggio IPSOS, con le cautele metodologiche del caso. E tutti sanno che né l’uno né l’altro dei due scenari ipotizzati vedrà mai realmente la luce. Il partito di Conte – che col 14% diventerebbe il quarto in Italia, superando addirittura i Cinquestelle – farebbe, se mai provasse a nascere, rapidamente la fine ingloriosa del partito personale di Monti. E l’idea che il premier diventasse il leader degli (ex) grillini, potrebbe forse davvero riportare il Movimento al primato nazionale (con il 24% e un bacino potenziale del 30). Ma questo riguarderebbe gli elettori. Gli oligarchi gli sbarrerebbero la strada prima che solo pensasse di imboccarla, come Dibba si è precipitato a fare nel giro di poche ore. Però, intendiamoci. I dati sono questi. E indicano che, al di sotto – e al di sopra – del chiacchiericcio mediatico occupato a impallinare di complotti il premier, Conte è oggi l’unico leader con ampio seguito sulla scena italiana. E, quel che conta forse ancora di più, con un riconosciuto standing internazionale. Come i tanto vituperati Stati generali hanno, in questi giorni, consacrato.

Pensare che, in questa situazione, si possa aprire una crisi di governo, è fantapolitica. O meglio, porterebbe – come il Capo dello Stato ha in più occasioni ripetuto – dritti alle urne. E al caos. Il che non significa che il Presidente del Consiglio possa sentirsi in una botte di ferro. La situazione resta molto critica. Ma per motivi che – in gran parte – trascendono i limiti dell’azione di governo. E sono, sostanzialmente, tre.

Il primo è l’instabilità sociale, la cui portata – al momento – nessuno è in grado di prevedere, e tanto meno controllare. Anche se qualcuno può essere tentato di cavalcare. Travolti dallo tsunami covid, tendiamo a dimenticare che il dibattito – e lo scontro – degli ultimi anni è stato dominato dall’antipolitica. E che in molti paesi europei i populisti – per lo più sovranisti – sono andati al governo, e ci restano. L’obiettivo è stato mancato – per un pelo – in Italia e Francia. Senza il Papeete, e l’invenzione di Macron, l’Europa si sarebbe schiantata ben prima della pandemia. E oggi, letteralmente, non sapremmo in che baratro saremmo. Se questo era lo scenario sociale prima del tracollo economico inflittoci dal coronavirus, come reagiranno le masse disoccupate e impoverite se le condizioni sanitarie tornassero ad aggravarsi? E, qualora il virus ci graziasse, se comunque – come è molto probabile – la ripresa tardasse ad arrivare?

Certo, si fa presto a dire che il governo deve riuscire, e subito, a voltare pagina. Ma – ecco la seconda incognita – Conte non dispone delle leve semipresidenziali che hanno consentito a Macron – buona fortuna… – di concentrare su pochi interventi la massa di fuoco finanziaria. Né ha il polmone creditizio per la mossa ardita dei tedeschi – descritta ieri da Lucrezia Reichlin – che hanno varato un pacchetto di stimoli fiscali per 130 miliardi di euro. Gran parte delle risorse che riuscirà a mettere in pista dipendono dalla disponibilità – apprezzamento, fiducia – che i nostri partner europei dimostreranno. Ed è bastato che il Presidente del Consiglio accelerasse su questo tasto, perché subito venisse accusato di lesa maestà partitica.

Col che veniamo al terzo fattore – il più critico – che inceppa l’azione del premier. Più Conte appare insostituibile, più cresce il malumore dei suoi – cosiddetti – alleati. Mettetevi nei panni – lo so che proprio non ne avete voglia – di uno che faccia di mestiere il politico. State sgobbando da una vita per fare carriera in un partito, e, se si va bene, un ministero. Se state in un movimento populista, magari l’avete fatta ben più in fretta, ma adesso pende sulla vostra testa l’alea di una non-rielezione. Insomma, siete preoccupatissimi. Nell’uno e nell’altro caso vi trovate con una valanga di quattrini da distribuire (date uno sguardo agli emendamenti per ogni votazione in parlamento), e il vostro sacrosanto interesse è fare gli interessi di questo o quel gruppo di interesse, corrente, lobby, impresa, sindacato, area sociale o territoriale. Insomma prendere e barattare microprovvedimenti, che sono – da che mondo è mondo – il lavoro del ceto politico. E vi trovate di fronte – anzi in testa – un professore universitario, venuto letteralmente dal nulla, reo per giunta di un cambio di casacca, che si erge a difensore del popolo e a protettore della nazione. E che intenderebbe dirottare – così gli chiede l’opinione pubblica – i fondi su un numero ristretto di macro policies ad alto impatto, e visibilità. Roba, appunto, da farvi impazzire.

Ecco, il vero pericolo per il futuro di Giuseppe Conte è l’impazzimento dei partiti. Il rischio che perdano la testa. E chiedano la testa di Conte. A costo di rimetterci la propria.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”15 giugno 2020.)

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*