PNRR delle mie brame….

Come è noto, in ballo ci sono più di 220 miliardi di euro che solo in piccola parte sono realmente arrivati in cassa alle amministrazioni pubbliche o agli uffici commerciali di grandi e piccole aziende private. Ma che sta succedendo? Ricordiamo che proprio ad inizio di quest’anno, qualche settimana prima dell’aggressione russa all’Ukraina, il “Laboratorio Synthesis” , gruppo di analisi e di studio spesso collegato all’associazione CittaFutura, nel Salone Ansaldo 2 di Genova fece presente quali sarebbero dovuti essere gli obiettivi da raggiungere. Ricordando ciò che Luca Mercalli (nella sua funzione di responsabile del tavolo scientifico di Europa Verde nazionale) aveva appena reso pubblico Molto semplici e sintetici i punti, in tutto dieci, che caratterizzavano quella proposta, che ebbe la giusta eco nel convegno di Genova.

Come primo punto venne segnalata la necessità dell’acquisto di 500 nuovi treni per pendolari per trasporto regionale, comprensiva della sostituzione totale dei 256 treni diesel ancora circolanti. Gli attuali 456 treni circolanti hanno, infatti,  un’età media di circa 30 anni: costo 6,25 miliardi di euro. L’attuale proposta di PNRR prevede, invece,  l’acquisto di 80 treni per un costo di 1 miliardo di euro.

Come secondo punto qualificante veniva preso in considerazione l’cquisto di 15.000 nuovi autobus: costo 9 miliardi di euro. Si ricorda che il parco autobus italiano per il trasporto pubblico locale è composto da 42.000 veicoli, di cui quasi il 90 % a benzina, diesel e a doppia alimentazione e più del 40 % veicoli ad alte emissioni (ad esempio Euro 0, Euro 1, Euro 2, Euro 3, Euro 4). La fonte è, ovviamente, dello stesso Ministro dei Trasporti. Inoltre, ma era prevedibile immaginarlo, la flotta italiana di autobus per il trasporto pubblico presenta un’età media notevolmente superiore alle omologhe dell’UE: ossia 10.5 anni contro 7 anni in media per gli altri ed è quindi caratterizzata da un elevato consumo di carburante e da costi di manutenzione rilevanti. L’attuale proposta di PNRR prevede l’acquisto di 5.139 nuovi autobus.
La  commissione competente, ai tempi, ormai circa un anno fa, si espresse per la costruzione di 300 km di nuova rete attrezzata per i servizi di trasporto rapido di massa come tram e filobus: costo 4 miliardi di euro. A che punto siamo?
Sempre nella stessa parte di documentazione inviata a Bruxelles a firma pluriministeriale e con l’avallo del presidente Draghi, si stabiliva di realizzare 2.000 km di vie ciclabili nelle aree urbane e 3.500 km di piste ciclabili turistiche. Le piste ciclabili urbane e metropolitane dovrebbero essere sviluppate nelle 40 città che ospitano le principali università, scuole secondarie ed in prossimità di uffici pubblici, centri direzionali e commerciali in modo da essere collegate a nodi ferroviari o metropolitani. Anche per queste iniziative vi era una indicazione di spesa precisa: costo 2,4 miliardi di euro.
Non solo…il lungo elenco, fatto di lettere di accompagnamento, files excel e questionari interattivi ufficializzava anche l’acquisto di unità navali veloci, di  traghetti, con alimentazioni innovative anche ad  idrogeno, adibite al servizio trasporto merci e ferroviario per realizzare quelle che vengono definite “autostrade del mare”: costo 1,1 miliardi di euro.
Sempre nelle cinque spedizioni succedutesi a tamburo battente nei mesi precedenti la crisi di governo si faceva riferimento a provvedimenti atti a limitare (o interrompere) le autorizzazioni comportanti il consumo suolo o l’uso di motori o caldaie alimentate a diesel, benzina e simili. Non solo, nella parte di scheda  riguardante la mobilità si afferma ” …con i seguenti impegni di legge: a)divieto di immatricolazione di auto diesel e benzina a partire dal 2035. Legge sul consumo di suolo sul tipo della “Strategia dell’UE per il suolo per il 2030” (comprendente, tra l’altro, il seguente illuminante, passaggio “Investire nella prevenzione e nel ripristino dei suoli degradati è un’azione sensata anche dal punto di vista economico. Essendo il più vasto ecosistema terrestre dell’UE, un suolo sano sostiene molti settori dell’economia, mentre il suo degrado costa all’UE decine di miliardi di euro ogni anno 11 . Le pratiche di gestione che sostengono e migliorano la salute del suolo e la biodiversità sono più efficienti in termini di costi e riducono la necessità di elementi esterni (ossia i pesticidi e fertilizzanti) per mantenere invariati i rendimenti. Arrestare e invertire l’attuale tendenza di degrado potrebbe generare fino a 1 200 miliardi di EUR di benefici economici a livello mondiale ogni anno 12 . Il costo dell’inazione rispetto a questo fenomeno, che in Europa supera di almeno sei volte il costo dell’azione 13 , va ben oltre il calcolo economico: non solo porterebbe a una perdita di fertilità a discapito della sicurezza alimentare mondiale, ma avrebbe anche un impatto sulla qualità e sul valore nutrizionale dei prodotti”. Nell’ultima scheda inviata, (quella dei 52 impegni su cui l’Italia è chiamata ad impegnarsi) campeggiano a chiare lettere obiettivi inequivocabili: “ Reperire i fondi, condurre e portare a termine le bonifiche dei SIN”. Con un riferimento chiaro alle popolazioni: “Sei milioni di persone vivono in siti altamente inquinati come Taranto, Priolo, Gela, Milazzo, Brescia, Porto Torres, e altri territori non bonificati come la Terra dei fuochi, Valle del Sacco, Val d’Agri, e le falde inquinate del Veneto e del Piemonte da PFAS” . Con  il sottinteso impegno a fare di tutto per trovare soluzioni adeguate. E poi ancora, nelle prime due spedizioni, “Tutelare e valorizzare la Natura d’Italia e fermare la perdita della biodiversità finanziando un programma di investimenti nelle 6 aree strategiche per la riconnessione ecologica del Paese: Alpi, Corridoio Alpi-Appennino, Valle del Po, Appennino Umbro-Marchigiano, Appennino Campano Centrale, Valle del Crati – Presila Cosentina, realizzando progetti per il risanamento naturale e idrogeologico ed estendere questi inteventi anche alle aree costiere e marine in corrispondenza delle zone a maggiore biodiversità e a maggiore rischio per le pressioni antropiche”.  Le precedenti richieste erano state accolte mentre furono cassate le seguenti. “ Nella versione definitiva del PNRR, chiediamo – è sempre il Direttivo nazionale di EV a chiederlo –  sia inserito un esplicito riferimento al raggiungimento degli obiettivi delle Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” indicando la priorità dell’incremento della superficie agricola certificata in agricoltura biologica, lo sviluppo di filiere del “Made in Italy” biologiche e la creazione dei biodistretti, con priorità nelle aree naturali protette. Vanno individuate risorse e percorsi condivisi per ridurre l’uso sistematico di fertilizzanti chimici e pesticidi”. Come, allo stesso modo, venne ammacquato – è proprio il caso di dirlo – il seguente pressante allarme che, in una Nazione colabrodo come la nostra,  dovrebbe trovare facili rispondenze…”Ogni secondo in Italia si perdono 104 mila litri di acqua potabile a causa della rete idrica obsoleta. La nostra rete idrica perde il 41% mentre il PNRR prevede un investimento di 2,36 mld di euro con cui si dichiara di voler intervenire su 25.000 km di rete di distribuzione idrica con una riduzione delle perdite del 15%. Proponiamo che la riduzione delle perdite sia portata al 30%. 

Invece no. Le questioni veramente importanti restano “al palo”, oscurate da pazzie da megalomeni come il ponte sullo Stretto di Messina o un improbabile ritorno al nucleare produttivo italiano…

 

Di fatto il PNRR piove come una pioggia attesa da tempo ma senza avere avuto la previsione dell’ombrello. In Italia, come ben sanno un po’ tutti, investitori stranieri inclusi, non cambia mai praticamente nulla. Fra le “ddificoltà” che si frappongono, vere o false che siano, di sicuro c’è  la mancanza di organizzazione ex ante per la decisione strategica di opere e di infrastrutture. I fondi europei serviranno, al più, per avviare e concludere progetti in cantiere già previsti da decenni. Invece dovremmo chiederci se i progetti sono veramente necessari. Esistono molte infrastrutture fantasma, abbandonate da prima dei fondi PNRR, molto prima dell’ondata della transizione verde. Quindi che farne? Una semplice analisi economica non servirebbe sempre a dimostrare la reale fattibilità. Se ad esempio ci focalizziamo sulla strada Pontina (giusto per uscire dalle solite cosette di casa nostra), ci si rende conto che la sua storia è alquanto amara e rispecchia un’Italia che non è per nulla cambiata negli ultimi 30 anni. L’Italia è un Paese pieno di opere incompiute, …. col passare del tempo, modificano le leggi, ma il gioco resta sempre uguale. Il dibattito sulle infrastrutture si accende ad ogni tornata politica (ricordiamoci la Legge Obiettivo). Oggi, ci ritroviamo con i fondi dell’Europa che sono sicuramente una grande fonte di rilancio per infrastrutture in difficoltà o da realizzare. Ciò che manca, è un’assegnazione razionale dei fondi in base alle esigenze territoriali. Ma come possiamo constatare, le amministrazioni all’arrivo dei fondi si sono fatte trovare impreparate. Progetti, oltretutto,  che – a monte – sono soggetti a giochini di cambio gestione aziendale o scioglimento delle stesse imprese. Insomma, piuttosto che seguire il beneficio collettivo seguiamo il valzer dei cantieri. In tutto ciò, rimangono i disservizi e le infinite attese di portare il livello della qualità della vita a standard europei. Da notare che gran parte dei fondi per le infrastrutture sono destinati a RFI. Altro dato interessante, rilevabile dall’ultimo invio delle schede di impegno, è che  il Mezzogiorno riceverà circa il 40 % complessivo delle risorse “territorializzabili” (cfr. Osservatorio CPI) con, in teoria, un possibile adeguamento di mobilità e vivibilità relativa. L’unico ostacolo da superare dovrebbe essere l’accelerazione dei processi amministrativi di Enti e Aziende che ne richiedono l’utilizzo ma non è così automatico. Il neo eletto parlamentare di EV Bonelli su questo è perentorio: “Evitare l’effetto immobilizzazione per i ritardi di scelta è un rischio che non possiamo perdere. Soprattutto se ragioniamo in termini di incentivazione della qualità della vita (benessere, qualità dell’aria, mobilità, scuola, educazione). Certamente non si vuole affrontare un altro discorso sul divario tra Nord e Sud, ma bisogna sottolineare la scarsità delle infrastrutture adeguate nel Mezzogiorno rispetto alle aree a nord dell’Italia.” (1) Il suo riferimento va ad  infrastrutture, stradali e ferroviarie, con una necessità di rimodernamento “per poter parlare di competitività”.  Tutto vero ma il problema è che questa massa di schede , questi quasi cento miliardi a fondo perduto e altri più di cento “agevolati” non hanno ancora una definizione chiara in termini di priorità, di obiettivi generali e particolari. Soprattutto con il rischio di andare a turare falle precedenti senza poter rilanciare, sul serio, nulla di veramente innovativo e concreto. Così stanno le cose.

 

  • Dal discorso di venerdì 23 settembre tenuto a Roma, in chiusura di campagna elettorale.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*