Il prezzo della colpa

Uscendo di casa dopo giorni di clausura, la luce e l’aria leggera mi stordivano da far girare la testa. Il viale deserto e il silenzio intorno favorivano la concentrazione su un paesaggio cittadino diverso da come lo ricordavo. E mi è apparsa bella persino Alessandria dai colori accesi e un cielo tanto azzurro da far pensare a un orizzonte esteso oltre la pianura fino a scorgere il profilo delle colline.

E’ come se la Natura maltrattata, dopo averci avvertito con pressanti segnali rigettati con colpevole arroganza, ci stia mostrando la sua Bellezza rubata per farcela ricordare. Poi, nel silenzio inusuale che accompagnava la visione, è stata la malinconia a prendere il sopravvento come sottotitolo d’un bel film destinato a finire, dal prezzo altissimo del biglietto. Un’incognita per tutti il domani.

Vicino alla chiesa della Pista manifesti listati a lutto sono testimoni d’una sofferenza celata con pudore sotto ogni nome e d’un tratto, la precarietà dell’esistenza che cerchiamo di allontanare come pensiero molesto, prende il sopravvento.

Ogni giorno il bollettino dei contagi, delle guarigioni e dei decessi è offerto con l’evidenza dei numeri e i numeri sono privi d’emozioni. Li ascoltiamo tenendoci a distanza, sollevati per non far parte di quegli scarni conteggi, per disumano (umano?) istinto di conservazione. Ma ieri, come un risveglio improvviso, sono entrata nel dolore di un lutto collettivo rivivendo circostanze e riaprendo cicatrici come le migliaia di persone che hanno storia e identità. E ho pensato che la cosa più devastante della perdita non si limita all’impossibilità di dire parole mai dette e darsi consolazione.

Il dolore si vive in solitudine non per pudore ma per l’inutilità d’un conforto. Il dolore d’un lutto non si può spiegare ne comprendere… più della presenza fisica e del sentimento che vengono a mancare è non avere l’opportunità di esprimerlo, il sentimento… più dell’amore ricevuto è il proprio che ti viene impedito di dare.

Il rimpianto per il tempo sprecato per mancanza di consapevolezza o per distrazione è la pietra da portarsi addosso, tanto più pesante in assenza d’un commiato. Per chi resta è più difficile la rassegnazione.

Mi voglio oggi sottrarre, per sincera condivisione, al legittimo bisogno di leggerezza, alla fuga da una realtà ignota, un nemico tra noi dalle imprevedibili armi d’offesa di fronte alle quali ci sentiamo inadeguati e all’ipocrisia di frasi di circostanza, un’insopportabile cacofonia di voci rivolte soprattutto agli anziani bistrattati.

Marina Elettra Maranetto

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