Il proporzionale e l’obbligo dei due forni

Il timido sussulto dei sindaci è un primo segnale che può esistere un’opposizione all’esecutivo in carica. Non ancora nei numeri parlamentari che, anche con qualche scricchiolio al Senato, restano saldi. E ancor meno sul piano partitico, dove Forza Italia e Pd sono ancora in balia di se stessi. Ma ci sono due fronti in movimento, e non vanno sottovalutati.

Il primo è istituzionale. È probabile che la rivolta dei primi cittadini non avrà subito un seguito rocambolesco. Ma se, come appare probabile, le occasioni di attrito col superministro degli Interni dovessero moltiplicarsi ed acuirsi, va messo in conto che l’incidente – e lo scontro aperto – ci scappino. Soprattutto se sarà il pretesto per innescare o amplificare disordini sociali latenti. Con quello che sta succedendo in Francia, è un miracolo che nelle piazze italiane non stiano scoppiando scintille.

Inoltre, non è da escludere che i sindaci possano trovare – se si muovono con le dovute cautele – una sponda nel Capo dello Stato. Nel suo messaggio di fine anno, Mattarella – con il mix di understatement e fermezza che lo contraddistingue – ha marcato alcuni paletti oltre i quali nessuna maggioranza di governo può azzardarsi ad andare. E se, fino ad oggi, il Presidente non ha messo bastoni tra le ruote, si comincia a capire che il futuro potrebbe prendere una piega diversa. La vicenda – ancora recentissima –  di Napolitano ha messo in chiaro che i poteri del Colle sono – da Costituzione – a fisarmonica. Possono, cioè, ampliarsi, e di molto, nel momento in cui i partiti alleati comincino a litigare, offrendo varchi – più o meno palesi – di intervento.

È questo il secondo fronte in cui le crepe gialloverdi potrebbero accentuarsi. Finora, l’alleanza tra Lega e Cinquestelle si è retta su due pilastri: l’arrembaggio al potere e l’assenza di alternative. Il primo continua a funzionare. Certo, non mancano le tensioni interne, soprattutto tra i grillini che vedono il partner ingrossare i consensi mentre i propri diminuiscono. Ma è tale la scorpacciata di posti in tutti i gangli del potere che contano, che il sodalizio potrebbe andare avanti all’infinito. Sempre, però, che il secondo pilastro resistesse a oltranza come il primo. Invece, si cominciano a notare segnali di cedimento.

La Lega, fin dagli esordi, non ha fatto mistero di volere attingere – andreottianamente – ai due forni. A Roma, coi Cinquestelle. Nelle città e nelle regioni, con Berlusconi. In questo modo, si tiene buona Forza Italia, che – combinata come sta – si accontenta delle briciole in periferia. E tiene sotto ricatto i grillini, che sanno che – al momento opportuno – Salvini può staccare la spina. Un momento che potrebbe essere vicino, se ci fosse un exploit leghista alle europee e se alcune regioni importanti finissero, al prossimo round, in maglia verde.

Finora, di fronte a questa tagliola, i grillini se ne sono stati immobili. Un po’ per imperizia politica, un po’ perché troppo occupati a tamponare le proprie beghe. Da qualche giorno si comincia a veder qualche tentativo di reazione. Con delle aperture a sinistra non più lasciate solo alla buona volontà del Presidente della Camera, e talora in contrasto palese con l’alleato di governo. Parlare, su queste basi, di un possibile avvio di dialogo col Pd è del tutto prematuro. Però, la logica del proporzionale spinge con forza in questa direzione.

Certo, nell’immediato i democratici devono ancora finire di scannarsi nelle assise congressuali. E i cinquestelle, in campagna elettorale, ribadiranno la – finta – posizione di andare avanti da soli, duri e puri. Ma, una volta consumati questi riti, quali saranno le carte in tavola? Per il Pd, chiunque sarà il leader, si tratterà di indicare se restare in eterno all’opposizione o se iniziare a prendere atto che, per arrivare al cinquantuno per cento, un accordo con i grillini è obbligatorio. Di converso, per Di Maio e Di Battista – al netto delle intemperanze verbali che non ci verranno risparmiate – sta arrivando il momento di decidere se farsi cuocere a fuoco lento da Salvini sul braciere in cui oggi si ritrovano, o se, invece, aprire un altro forno. Con quali ingredienti e ricette, resta, ovviamente, tutto da decidere. E forse, alla fine, rimarrebbero ciascuno sulle proprie posizioni. Ma almeno i grillini allenterebbero la morsa al collo che oggi si ritrovano. E i democratici ricomincerebbero a – provare a – fare politica.

(“Il Mattino”, 7 gennaio 2019).

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