Provaci ancora, Pd

Tanto tuonò, che piovve. Partono con Bonaccini le primarie Pd, dopo due mesi di zig-zag che si sarebbero potuti saltare. Ma tant’è, il Pd è l’ultimo sopravvissuto dell’età dei partiti-dinosauro. E continua a custodirne i simulacri. Il noi come prima persona singolare, e relativi sinonimi: la comunità, il popolo, e ovviamente il partito cui prestare umilmente servizio. Poi, il circolo-sezione, vale a dire radici e territorio, e la liturgia del dibattito. Infine, il programma che viene sempre al primo posto, e soprattutto prima dei nomi. Perché contano i contenuti, le persone – come l’intendenza – seguono.

Questo tipo di identità, l’unica fino ad oggi legittimata tra gli iscritti e dirigenti Pd, appartiene – secondo qualsiasi manuale di sociologia – al secolo scorso, e alla prima metà più che alla seconda. L’accanimento terapeutico con cui il Pd la ha tenuta in vita lo ha condannato al declino che tracima – secondo molti – in estinzione. Per capire dove andranno a parare le primarie, ciascun candidato – o candidata – va misurato con queste coordinate: più le riproducono, maggiori sono le chance di vittoria. E minori le possibilità di cambiare qualcosa.

L’esordio di Bonaccini sembra iscriversi perfettamente negli schemi della tradizione. La sede è l’avito circolo da cui partì per il partito, il paese natio con i compagni di tante battaglie, la provincia rossa dei buoni amministratori, una medaglia che giustamente il governatore rivendica. E il discorso di autoinvestitura è in rigoroso politichese: si parla degli altri partiti, soprattutto dei fratelli coltelli spuntati a sinistra come a destra e di come recuperare qualche punto, gronda di buone intenzioni e di rispetto per gli avversari. Per qualche idea sull’Italia e sul mondo, si rinvia alla prossima puntata. Insomma, nessuna traccia della terapia d’urto per un partito a rischio di scioglimento.

In un passaggio, però, il velo dell’ortodossia sembra squarciato. Nell’esplicito attacco alle correnti – «Io non mi sono mai iscritto a una corrente (…) Non negozierò o chiederò l’appoggio di nessuna corrente» – Bonaccini prende le distanze dal gruppo dirigente attuale – «mi è chiaro che non mi sosterranno» – promettendo la discontinuità. Possibile che il candidato più ligio ai simboli del passato si trasformi in alfiere della rottamazione?

Secondo alcuni osservatori maliziosi, lo scontro coi capicorrente romani nascerebbe dalla loro intenzione di appoggiare l’outsider Elly Schlein. Una operazione gattopardesca – cambiare tutto perché niente cambi – che userebbe il volto più innovativo del Pd di questi ultimi anni per sbarrare la strada a Bonaccini, più pericoloso perché incarna una nuova supercorrente, quella degli amministratori locali. Se e quando la Schlein scenderà in campo, sapremo su quali appoggi può contare. Il meccanismo elettorale non l’aiuta, dato che al primo turno voteranno soltanto gli iscritti al partito, dove lei è più debole. Solo se risulterà tra i primi due, avrà accesso alla sfida dei gazebo, dove la sua personalità le consente di attrarre consensi a tutto campo. Ma se il prezzo del ballottaggio sarà l’avallo dei maggiorenti, avrà ancora l’appeal iconoclasta che è la sua risorsa principale?

A proposito di appeal iconoclasta, andrebbero osservate attentamente le mosse di Vincenzo De Luca. Non si sa ancora se si candiderà. Condivide con Bonaccini il pedigree di amministratore instancabile e come – e più di – lui non ha mai lesinato bordate alzo zero al gruppo dirigente. Ha l’handicap di rappresentare il Sud, certo non paragonabile all’Emilia come serbatoio di voti e iscritti Pd. Ma è portatore di un’istanza fortissima di rottura sociale. Un’istanza che il Pd non ha raccolto, facendosi scippare dai grillini la rappresentanza delle aree più disagiate – e arrabbiate – del paese. Inoltre, De Luca può contare su una vis comunicativa che si staglia nel panorama amorfo del Pd. Ancor più con la sua capacità di innestarsi con successo – come si è visto nella pandemia – nei canali di interazione social. E la Campania – come ci racconta una ricerca su I Giovani nell’Infosfera di Amalia Caputo e Mirella Paolillo – oltre a essere la regione più giovane d’Italia è anche «la prima per uso dei social media».

L’ingresso in campo di De Luca potrebbe forse contribuire a rompere il tabù che è oggi il solco più profondo tra il Pd e l’Italia reale: l’incapacità di capire che la rete non è solo comunicazione, ma il codice identitario più importante delle nuove generazioni. È un dato che conosce bene Elly Schlein, che ha fatto il suo apprendistato nelle campagne digitali di Obama, mettendolo a frutto nell’exploit di voti di preferenza conquistati con i propri spot virali. Le primarie non basteranno a cambiare in pochi mesi un partito che è fermo da decenni. Ma se almeno riuscissero a innescare la scintilla creativa della Rete, il partito della Ztl potrebbe cominciare a dialogare con i nativi digitali. E col futuro.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 21 novembre 2022)

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