Renzi lascia il PD. Uno sbocco prevedibile e annunciato

Rispondo alla sollecitazione del Direttore di commentare la decisione, per altro annunciata, di Matteo Renzi di lasciare il PD con il proposito di formare una nuova aggregazione. Una scelta che non mi sorprende. Persa la guida del ‘suo’ partito e non essendo in grado di immaginare per sé un ruolo di minoranza o, peggio, un lavoro di gruppo, ha operato la scissione per tornare a ‘capo’, vedremo di che cosa. 

Ho fatto parte della minoranza dei Democratici di Sinistra che, nel 2007, non condivise la confluenza, insieme ai cattolici della Margherita, nel Partito democratico, in quanto riteneva necessario per la sinistra italiana costituire, finalmente, anche nel nostro paese, un partito che facesse parte a pieno titolo del Socialismo europeo. E non la realizzazione, fuori contesto e in misura ridotta, del “compromesso storico”. Una formazione priva di una comune storia e memoria che, per questo, non è stata in grado di costruire una propria identità e ha finito di assemblare gruppi e progetti disparati.

Per dirla con Giorgio Ruffolo: “Il nobile e ambizioso proposito di realizzare la confluenza in una nuova forza politica di due grandi correnti sociali, una sinistra laica e una sinistra cattolica, avrebbe richiesto la elaborazione di un progetto di società come fondamento ideologico del nuovo partito.”[1] Dove il termine ideologia, come ricorda Bobbio, va inteso nel suo significato originario, di interpretazione della storia e di ispirazione ideale ed etica della politica.

“Ora – proseguiva Ruffolo –  nella tormentata vita del Partito democratico, non si ha neppure la minima traccia di un investimento culturale e politico inteso a costruire una ideologia moderna, una proposta di società, un progetto di riforme economiche, istituzionali e sociali capace di concretarla. Ciò che alla sinistra manca – concludeva – è la fiducia nei propri valori, spesso sacrificati all’opportunismo delle convenienze immediate e alle ragioni del potere. E,  soprattutto, la capacità di tradurre quei valori in un concreto progetto di società.”

Sono riflessioni e analisi di qualche anno fa, ma che mantengono una indubbia attualità.
Le cose che sono accadute in seguito, compresa le leadership di Renzi, sono frutto di quel ‘peccato originale’. Di un partito di sinistra che sotto la guida del ‘fiorentino’ ha prodotto l’ossimoro di un governo di centro sinistra avversario del più grande sindacato italiano e capace di cancellare le conquiste più emblematiche del movimento operaio: dallo Statuto dei lavoratori, all’introduzione dei licenziamenti collettivi, alla possibilità per le aziende di licenziare senza una giusta causa o giustificato motivo (Art.18). Impresa che non era riuscita neppure al governo più di destra degli ultimi decenni, quello di Berlusconi.    

Adesso, più prosaicamente, ci si interroga sulle conseguenze che l’abbandono di una parte dei parlamentari dal PD può determinare nei confronti dell’appena nato governo Conte-due. Governo che, giova ricordarlo, deve la sua nascita, se non tutto, almeno in parte alla mossa del senatore toscano che, da irriducibile avversario del Movimento 5 Stelle, si è adattato ad essere suo alleato. E qui, nonostante le assicurazioni fornite al premier Conte di continuare a sostenere il suo governo anche con la nuova formazione e l’evidente interesse che Renzi ha di guadagnare tempo per formare la sua nuova ‘creatura’, dubbi e preoccupazioni sono più che giustificati. Infatti chi interpreta la politica sotto la prevalente e spregiudicata chiave della tattica, può determinare, come è successo, improvvisi successi, ma anche altrettanto repentine cadute.

Nel contempo la decisione di Renzi libera Zingaretti dalla scomoda situazione di un segretario che non può contare sull’appoggio dei suoi parlamentari. Ma sbaglia chi ritenesse ciò bastante a ridare spazio politico e nuovo ruolo al PD. Sarà necessaria quella elaborazione e ricerca progettuale, aperta al concorso di molti, la cui mancanza denunciava Ruffolo. Un progetto aggiornato di società tanto più necessario dopo che le teorie del liberismo e le pratiche del finanzcapitalismo hanno soggiogato prima e indebolito poi i principali e storici partiti socialisti e socialdemocratici dell’Europa. Un compito certamente arduo, ma ineludibile per una formazione politica impegnata a combattere povertà e diseguaglianze, riaffermare l’universalità dei diritti sociali e il ruolo fondamentale del pubblico, ponendo al centro il valore del lavoro e l’obiettivo della piena e buona occupazione, unita alla sostenibilità ambientale ed ecologica. Un compito difficile, ma possibile se l’antico e glorioso termine di ‘socialismo’ sta tornando di moda e appassiona i giovani persino là, negli Stati Uniti, dove rappresentava una pericolosa eresia.                

 

Alessandria, martedì 17 settembre.

 

[1] Giorgio Ruffolo: “la Repubblica”, 22 settembre 2010

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